Contributi esterni: argomento proposto da Simonetta D’Ippoliti: IL CLOCHARD ELIA
Eccomi qui. Anche se
sabina di nascita (Collevecchio è il mio amatissimo
paese) vivo ormai dal 1984, anno del mio matrimonio, ad
Ostia. La mia parrocchia è Nostra Signora di Bonaria. A
questo punto mi sembra di sentirvi dire che a voi di
tutto questo non vi importa nulla. Non è per
esibizionismo che sto scrivendo questo: il fatto è che
da tantissimo è accampato di fronte alla mia parrocchia
il clochard Elia, in un modo non proprio conforme alle
regole dell’igiene, tenuto conto che non è possibile
definire salubre, pulito e sterilizzato l’ambientino che
si è “costruito”. Oltretutto la parrocchia è frequentata
abitualmente da tantissimi bambini e ragazzi che
frequentano i locali dell’Oratorio. Tutto questo mi ha
fatto riflettere. Alcune mie amiche mi hanno detto che
sono circa cinquecento a Roma i cosiddetti barboni e più
di duemila le persone senza fissa dimora, dedite
all'accattonaggio. Del resto noi li vediamo, passiamo
rapidi e voltiamo la testa. Ma come passa la giornata un
senza dimora? Dove e come mangia? Parla con qualcuno, fa
la spesa, legge? Ma di che cosa hanno davvero bisogno le
persone senza dimora? Pasti caldi? Un letto al coperto?
Ernesta, mia suocera, mi ha detto che cause -e
conseguenze- più frequenti la perdita del lavoro o una
bassa retribuzione che non consente di pagare un
affitto, ma anche disturbi di tipo mentale e “da
dipendenza” (alcol, droghe). Donne e bambini, infine:
una metà del totale finisce in strada in seguito a
violenze domestiche. L’aumento della povertà e delle
disuguaglianze sociali, con il relativo insorgere di
nuovi modelli di marginalità sociale ed economica, è un
fenomeno comune a tutti i paesi occidentali. Per quanto
riguarda le povertà estreme, la presenza di un
consistente numero di persone senza casa costituisce un
elemento ricorrente di marginalità sociale nei paesi
economicamente avanzati, come l’Italia. Nell’ambito di
fenomeni di impoverimento di vasti strati della società,
della crisi occupazionale, della perdita di peso dei
sistemi tradizionali di welfare, particolare attenzione
va rivolta alla crescente diffusione di forme di povertà
che si collocano oltre la tradizionale soglia di
indigenza, sia in termini di qualità oggettiva delle
condizioni i vita, sia per quanto si riferisce all’invisibiltà
sociale ed istituzionale delle persone portatrici di
tali forme di disagio. E sembra che all’interno
dell’area delle povertà estreme si devono comprendere i
gruppi sociali e le situazioni a rischio di esclusione
sociale come le persone senza fissa dimora, gli
immigrati, i nomadi, i malati di mente, i
tossicodipendenti, i portatori di handicap, i malati di
Aids, i malati terminali, gli anziani non
autosufficienti, gli ex degenti in ospedali psichiatrici
e gli ex carcerati. Il fenomeno delle persone senza
fissa dimora va incluso in quello più vasto della
povertà economica e, in modo specifico, delle povertà
estreme però è possibile rintracciare in queste persone
senza dimora caratteristiche che differenziano tale
condizione dalle tradizionali categorie di povertà.
Assumono, infatti, particolare peso, in questo fenomeno,
i fattori legati alla dimensione affettiva e
relazionale, la presenza di disturbi psichici e di
situazioni di dipendenze da sostanze, le caratteristiche
essenzialmente urbane del fenomeno e la centralità
dell’esclusione abitativa. Ed in questi homeless e
clochard nostrani si osserva un processo di graduale
impoverimento culturale e di perdita dell’identità
sociale. E, anche se è difficile trovare questi clochard
in luoghi circoscritti e delimitati -non esistendo in
Italia dei veri quartieri-ghetto, come, invece, avviene
negli stati Uniti- alcuni luoghi risultano abitualmente
frequentati da tali categorie di persone, fermandosi
alla soglia minima di sopravvivenza, in un orizzonte che
si appiattisce sempre di più nel bisogno del momento
presente, giorno per giorno, ora per ora. Si adattano,
quindi, ad una vita fatta di espedienti, senza tentativi
di reale cambiamento, quasi a proteggersi, in quell’immobilismo,
dalla paura di nuovi fallimenti. L’accattonaggio è la
forma più diffusa per il reperimento di risorse
economiche. La fonte privilegiata per l’esercizio
dell’accattonaggio è costituita dagli Istituti religiosi
e dalla parrocchie, a cui le persone senza fissa dimora
si rivolgono. Ci sono infine una serie di espedienti che
dipendono dalla fantasia e dalla capacità psichiche dei
soggetti: la vendita di santini o di immagini sacre di
fronte alle Chiese, la richiesta di spiccioli presso le
fermate degli autobus o vicino alle parrocchie, la
vendita di beni reperiti nei centri di assistenza
(indumenti, alimenti vari, ecc.), il baratto tra
emarginati realizzato in funzione del grado di urgenza
del bisogno, ecc. E’ risaputo che il loro etichettamento
viene applicato da noi cittadini “normali” in modo
definitivo: i clochard perdono il riconoscimento di
appartenenza alla reciprocità tra persone civili,
venendo considerati oziosi o parassiti ed in tale
condizione vengono lasciati, poiché rifiutano ormai ogni
pressione al cambiamento dello stile di vita. Io ritengo
che per fronteggiare soddisfacentemente il problema, le
amministrazioni locali dovrebbero poter mobilitare una
persona ogni mille abitanti, come affiancatore di un
emarginato grave (sia un suo familiare o un volontario o
un operatore stipendiato) per far avanzare gradatamente
la persona che esce dall’emarginazione. Difatti,
riassumere in carica questi cittadini espulsi dalla
piena cittadinanza comporta certamente il costo di un
coinvolgimento tanto dell’amministrazione pubblica,
quanto delle reti di solidarietà. Ritengo che sia questa
la sola strada da seguire per aiutare persone come Elia,
permettendo loro di poter tornare a vivere come persone
normali ed evitando, tra l’altro, che loro stessi
possano diventare veicolo di gravi infezioni sai verso
loro stessi che verso gli altri.
Simonetta D’Ippoliti
GdS 30 V 2005 - www.gazzettadisondrio.it