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Donazione del cordone ombelicale: la grande sconosciuta di Stefano CareddaRiceviamo. Argomento proposto da CLAUDIA ROSSI

Le cellule staminali del cordone ombelicale già oggi
guariscono molte malattie del sangue, ma in Italia solo
15 centri le sanno conservare e solo una donna su
quattro riesce a donarle al momento del parto. Via ad
una grande opera di sensibilizzazione.


Mettiamola così: c’è una strada che oggi consente di
curare le malattie del sangue. Tante persone, bambini e
adulti, percorrendola potrebbero contrastare e anche
sconfiggere – ad esempio - la leucemia e la talassemia.
Lo potrebbero fare, se solo ci fosse un po’ più di
informazione e di voglia di fare. Lo potrebbero fare, se
solo si sapesse in giro che nel cordone ombelicale,
proprio quello che ci è stato reciso alla nascita,
proprio quello che generalmente viene buttato fra i
rifiuti speciali ospedalieri, c’è una potenzialità di
vita e di guarigione di forza inaudita.


Si chiamano cellule staminali, e ne abbiamo sentito
parlare spesso, soprattutto a proposito di quelle
estratte dagli embrioni umani e utilizzate da molti
scienziati come materia prima per la loro ricerca
scientifica. In questa occasione non parliamo di
staminali embrionali (il cui prelievo, come noto,
solleva rilevanti dubbi di carattere etico), ma di
staminali adulte (esenti da ogni rilievo di questo
tipo). Estratte dal sangue presente nel cordone
ombelicale, queste cellule staminali sono dette appunto
“cordonali” e sono capaci di generare gli elementi
fondamentali del nostro sangue: piastrine, globuli
bianchi e globuli rossi. Un trapianto di cellule
cordonali – proprio come può accadere con un trapianto
di midollo osseo – può consentire cioè una guarigione
completa dalle malattie del sangue. A patto naturalmente
che vi sia un donatore compatibile (da ricercare nei
familiari del paziente o nei registri internazionali che
censiscono le donazioni).


Ecco, l’importanza della donazione. Ogni anno nel nostro
paese ci sono 600mila parti. Ma solo una donna su
quattro è a conoscenza della possibilità di poter donare
il cordone ombelicale. E non tutte lo possono
materialmente fare, visto che in tutta Italia le
“banche” del cordone ombelicale (cioè il luogo in cui il
tutto si conserva) sono solo 15. Il risultato è che ogni
giorno se ne vanno in fumo centinaia e centinaia di
occasioni uniche, di possibilità concrete di guarigione.


Ogni cordone donato entra a far parte di un unico
registro internazionale, che verifica la compatibilità
delle cellule donate con quelle del potenziale paziente.
Cordoni “italiani” hanno già determinato la guarigione
di bambini e adulti affetti da malattie ematiche, in
Italia ma anche in altri parti del mondo (la Corea, il
Canada, gli Stati Uniti). E viceversa, naturalmente. Una
realtà concreta, già presente, ancora ignorata dalla
gran parte dell’opinione pubblica.


Per dare effettiva attuazione alla legge 219/2005
(banche del cordone ombelicale) serve insomma una mossa.
Quella che si ha intenzione di dare nei prossimi mesi,
con progetti a livello regionale volti da un lato ad
aumentare l’aspetto dell’informazione alle donne che si
preparano al parto e dall’altro a garantire sul
territorio un più alto numero di banche del cordone
ombelicale. Con in aggiunta il terzo obiettivo di
favorire l’arrivo nelle banche esistenti dei cordoni
ombelicali raccolti nei tanti ospedali italiani. Un
modello quest’ultimo egregiamente messo in atto in
Sicilia dalla banca del cordone ombelicale di Sciacca,
da dove ogni giorno partono tre automobili che
raccolgono i cordoni di 90 ospedali siciliani per
portarli al sicuro.


Come detto, anche l’informazione alle donne che devono
partorire è importante, e questo perché il sangue del
cordone ombelicale può essere usato solo se è privo di
agenti infettivi. Una condizione per valutare la quale
occorre procedere a due analisi del sangue della donna,
uno al momento del parto e l’altro sei mesi dopo. In
virtù di ciò la donna deve dare il suo assenso alla
donazione e la sua disponibilità a sottoporsi alle
analisi di controllo. Un fastidio minimo, per una scelta
di grande generosità.


Non sarà sbagliato ricordare infatti che in Italia, in
seguito ad una ordinanza del Ministero della salute
dell’11 gennaio 2002 (poi rinnovata il 25 febbraio 2004)
è vietato conservare il sangue del cordone ombelicale
per uso autologo. Non si può cioè – come avviene altrove
– conservare il cordone ad esclusivo beneficio proprio o
dei propri figli, e ciò in virtù di una sentenza del TAR
del Lazio (dicembre 2002) secondo la quale la donna può
liberamente esprimere la volontà di donare per uso
terapeutico le cellule staminali rinvenibili nel sangue
del cordone ombelicale ma “non può in alcun caso
predeterminare la persona del ricevente, per ragioni di
solidarietà sociale costituzionalmente rilevanti”. Una
disposizione che in molti contestano, ma che in assenza
di una normativa in materia rimane al momento
vincolante.


Al di là di questi aspetti, però, ora conta partire,
conta espandere la diffusione della conoscenza e della
cultura della donazione. Per sostenere le banche del
cordone ombelicale servono fondi, e ognuno può
partecipare inviando il proprio contributo al c/c
bancario n° 108606/36 della Banca di Roma – agenzia 112
– ABI 3002 CAB 3256 intestato a M3V Arte &
Comunicazione, specificando nella causale “Banche
cordone ombelicale”. Per lanciare il progetto sono scese
in campo numerose associazioni. L’evento più rilevante
si è svolto martedì scorso a Roma, dove ACLI, Forum
delle Associazioni Familiari, Movimento per la vita
romano e altre realtà presenti sul territorio hanno
presentato “Nel grembo di una donna”, spettacolo
teatrale di Francesca Giordano, con l’attrice Silvia
Brudi e la cantante Antonella Ruggiero. Nel corso della
serata, presentata da Fabrizio Frizzi e registrata da
Radio Vaticana per la messa in onda nei prossimi giorni,
è iniziata in grande stile quell’opera che dovrà portare
nel più breve tempo possibile all’aumento del numero
delle donazioni dei cordoni ombelicali.



GdS 20 XII 2005 - www.gazzettadisondrio.it

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