ARGOMENTI PROPOSTI DA Mario PULIMANTI: 1) PRIMO 2) SECONDO

1) PRIMO

Chiudo le finestre e il rumore del traffico si spegne come fosse la tivvù.

Mi passo la mano sui miei capelli.

Bianchi.

Ho delle priorità e, per quanto mi riguarda, la vanità non ne ha mai fatto parte.

Esco.

Sono un po' teso, ultimamente.

Camminare sul lungomare mi rilasserà i nervi.

Pontile.

Gabbiani.

Tra 30 anni, sarò in riva al mare a dar loro da mangiare.

O non ci sarò più.

Odio le formalità.

Preferisco dare del "tu" alle persone.

Incontro un'amica.

Ha un accento che non sono mai riuscito a identificare.

Probabilmente ucraina.

Ha qualche problema con i verbi, che nelle frasi occupano i posti più impensati.

E' alta, con lunghi capelli neri macchiati di grigio.

Parliamo del più e del meno.

Poi dell'ennesimo morto in occasione di una trasferta di tifosi di calcio.

Dalle testimonianze raccolte finora, sembra che i tifosi juventini siano stati aggrediti con calci e pugni sulle fiancate del bus e lanci di bottiglie, di qui la precipitosa partenza del pullman.

Ma i tifosi del Parma smentiscono.

Il calcio sta morendo?

Diamogli un calcio.

E' stato deciso di rafforzare il piano di sicurezza sulle autostrade, di adottare più rigore nella vendita dei biglietti, di fare attenzione alle trasferte.

Nei piccoli provvedimenti c'è l'ammissione dell'impotenza: non più soltanto gli stadi da controllare, ma anche i piazzali degli autogrill.

Dicono che l'area dell'autogrill di Asti dove Matteo Bagnaresi è morto non fosse tra quelle considerate a rischio.

Si parla di situazione critica, ma c'è una sola certezza: il tifoso parmense è stato travolto dal pullman dei tifosi juventini.

Troppe versioni non coincidono, ancora una volta si seminano sospetti e si dimostra l'incapacità di affrontare le situazioni difficili con responsabilità.

Il problema è uno solo: basterebbe trovare il coraggio di abolire le trasferte.

E allora?

Vedo che la mia amica non é più in vena.

Le porgo un cioccolatino.

Sorride.

"Grazie".

Mi saluta.

E se ne va.

Mi viene incontro Gabriele.

Mio figlio.

Il grande.

Lui riesce ad andare dritto al cuore della questione.

Mi chiede i soldi.

Per la benzina.

30 euro.

Rimango interdetto.

E poi lo accontento.

"Bé, allora ci vediamo, papà".

Entro in un bar.

La tivvù é accesa.

Sta parlando dell'Expo 2015.

Cosa dobbiamo aspettarci, noi italiani, dalla designazione di Milano per l'Expo 2015?

Sono precoccupato: esiste il rischio di trasformare questa occasione da un lato in un'ennesima compravendita di aree, spazi e privilegi e dall'altro in un palcoscenico dove, ne sono certo, l'ansia di esibizione e di approvazione avrà la meglio sulla sostanza. Quando squilla il cellulare, sussulto.

Mia moglie.

Mi aspetta a casa.

Dobbiamo andare a cena con una coppia di amici.

Silvia.

E Ferruccio.

Brillanti.

Simpatici.

Molto.

Perfetto.

Simonetta é di Collevecchio.

Un paese molto tranquillo.

Lì, certe volte mi sorprendo ancora ad ascoltare il silenzio.

Lì, mi illudo di sentire le voci dei miei nonni.

E' un attimo di speranza che pago con una fredda delusione, e che si dirada con il passare del tempo e lo sbiadire dei ricordi.

Meglio non guardare più solamente al passato e a ciò che ho perduto.

Conviene guardare, invece, al presente e al futuro.

E va bene.

Sono un frustrato pendolare di Ostia.

Certo non c'è da essere sconsolati.

Ho un bel lavoro, molte relazioni sociali e affettive, alcune importanti -come l'amore per la mia famiglia- e mi resta ancora un pò di tempo per rimediare al resto.

Cammino.

Come un vecchio.

Metto un piede davanti all'altro: un lento, regolare trascinarmi.

Riesco a malapena a mettere un piede davanti all'altro.

In mezzo alla gente.

La gente come me.

Quelli che stanno a poche fermate dalla mediocrità, quelli dei desideri irrealizzabili, e la cui realtà non é certo desiderabile.

Quelli che invidiano, ma lusingano, quelli che non vuoi conoscere, che soltanto parlarci ti sembra una perdita di tempo.

Quelli che spuntano da qualche parte, ridendo alla battute che non hai neanche ancora fatto.

Quelli che ti fanno pena e che odi, quelli che temi e che in parte ti affascinano, quelli che potresti essere tu, e viceversa: sono lora la causa di sensi di colpa, rabbia e frustazione, conflitto interno, distorsioni di personalità, manie di grandezza, paranoia, megalomania, incubi, probemi di abuso di sostanze e persino dell'emicrania.

Dovrei cambiare atteggiamento.

Dovrei affrontare la realtà, modificare il mio atteggiamento e guardare da un'altra parte.

Ma non lo farò.

Non posso farlo.

Non ancora.

Laureato. Specializzato. Sottopagato.

Tra pochi anni mi congederò con la mia brava pensione statale.

Sono dispiaciuto.

Il mio fallimento.

Mi sento disintegrato.

Mi sento come se fossi stato preso a botte fino allo sfinimento.

Ci sono pezzi di me che continuano a cadere.

Intanto frequento ricevimenti.

Come quello di ieri sera.

Gli invitati sono decisamente di serie b e molti si trovano lì soltanto perché così è stato loro ordinato.

I pochi ospiti di relativa importanza sono alcuni politici locali intervenuti nella speranza di ritagliarsi un po' di spazio sui giornali e un corpulento parlamentare, membro di una qualche commissione per i rapporti comunitari, che sembra annoiarsi più di me.

Nell'ultima settimana ci sono molte di queste serate, evento tutt'

altro che straordinario nelle settimane che precedono un'elezione, affollate di party, manifestazioni per la raccolta di fondi e riunioni con i sostenitori.

I parlamentari e i loro portaborse partecipano ogni sera a cinque o sei di questi eventi sia per scroccare da mangiare e bere sia per stringere la mano agli elettori, intascare assegni e in qualche occasione anche per affrontare argomenti di natura elettorale.

Mentre il ricevimento era in corso nei saloni di un elegantissimo Hotel, ho incontrato vecchi amici.

Hanno tutti dei bambini.

Hanno tutti un mutuo.

Hanno tutti lavoro, rughe, problemi alle articolazioni, progetti, speranze, motivi per essere ottimisti, perdono i capelli.

Sono stati tutti felici di vedermi.

Nessuno si é preoccupato di nulla.

Infatti a malapena sembravano prestarmi attenzione.

E' un sollievo così grande realizzare che a nessuno importa davvero di me.

Beh, non così tanto.

Famiglie italiane in crisi. Diamine, é vero!

Sono sempre di più le famiglie italiane in difficoltà per pagare la rata del mutuo.

Quelle con problemi di insolvenza sono circa duecentomila, mentre altre cinquecentomila sono a rischio.

A dare l'allarme, fornendo le cifre, è il presidente dell'Antitrust, Antonio Catricalà, che ha svolto alcune interessanti lezioni al corso ISLE che ho frequentato di recente.

Ha sollecitato una maggiore protezione per i consumatori.

"Siamo un Paese - ha detto Catricalà - pochissimo indebitato e i nostri risparmiatori sono tra i più virtuosi d'Europa ma bisogna intervenire per arrivare ad una tutela dei cittadini".

Mi incammino sul lungomare, aggiro Piazza Rendina, passo per via grenet e supero infine l'incrocio di Corso duca di Genova.

E qui che abito.

Al 253.

Il cielo è nero come l'inchiostro, punteggiato di stelle e con qualche spruzzata di nuvole.

E' macchiato dalle scie degli aerei che atterrano e decollano dal vicino Aeroporto di Fiumicino.

Citofono.

"Ho capito" dice Simonetta "Scendo subito".

Salgo in macchina.

Accendo lo stereo.

Billie Holiday.

Chiudo gli occhi.

Penso a stamattina.

In ufficio.

Un collega.

E' alto quasi un metro e ottanta, magro e porta occhiali da vista con una sottile montatura metallica.

I suoi capelli biondo-rossicci tendenti al grigio sono decisamente lunghi e lo fanno assomigliare a un hippy avanti negli anni.

Ma ha negli occhi un che di malizioso che gli da un'aria giovanile.

E' single e, dal database dei dipendenti statali, che sono andato a consultare, ho scoperto che ha 40 anni, ma gliene sarebbero dati cinque di meno.

Mentre io, purtroppo, i miei anni li dimostro tutti, e i miei capelli neri, dopo essere ingrigiti, chissà perché, ora sono tutti bianchi.

Interrompe i miei pensieri.

"Stai ingrassando".

"Non faccio moto e conduco una vita troppo sedentaria".

Da oltre un mese ha preso l'abitudine di fare un salto nel mio ufficio a chiacchierare del più e del meno con una giovane consulente assegnata al mio ufficio.

Ma adesso vuole spingersi oltre e in quel momento sta cercando di escogitare qualcosa che attiri la sua attenzione.

Li lascio soli.

Davanti a me non c'è più la consulente, giovane, né il collega, quarantenne.

C'é Simonetta.

Forte, imbattibile, nulla può ostacolare la sua volontà.

Accende la macchina e si lascia andare a un grido d'entusiasmo.

Partiamo.

Un giovane motociclista ci taglia la strada.

"Paralitici. Vecchi" ci urla.

Accostiamo davanti a un bar.

"Hai perso la lingua?" le chiedo.

Simonetta si volta verso di me "Scusami. Ho bisogno di un caffè"

Certo, per vivere bene é necessaria la comunicazione , e per comunicare servono capacità d'ascolto e tolleranza.

Qualità indispensabili.

Sono questi i temi su cui dovrebbere insistere la scuola.

Ma in una fase storica come l'attuale caratterizzata da conflitti, incertezze e polemiche é difficile anche per gli educatori svolgere il proprio mestiere.

Basti pensare al bambino di 8 anni deriso a scuola perché colpevole di avere una mamma napoletana.

Il bambino sarebbe stato sottoposto ad angherie da parte dei compagni sull'onda dell'emergenza-rifiuti in Campania e anche a violenze fisiche, che hanno spinto i genitori a cambiare scuola al figlio.

Dopo l'ultima agressione l'alunno aveva minacciato il suicidio qualora non fosse stato trasferito in un'altra scuola.

Bullismo. Teppismo. Nonnismo...e poi... delinquenza.

Dietro la cassa, una grande foto di Wojtyla.

Il Papa Santo. Subito.

Il 2 aprile Benedetto XVI ha celebrato, sul sagrato della Basilica Vaticana, la Santa Messa con la Curia Romana nell'anniversario della morte di Giovanni Paolo II, in una piazza San Pietro gremita da quarantamila fedeli, inneggianti a Wojtyla.

Papa Ratzinger ha sottolienato le "qualità soprannaturali" di Giovanni Paolo II, di cui è in corso il processo di beatificazione e ha parlato del suo predecessore in termini così commossi e appassionati, che sembrava già considerarlo un santo.

Giovane, vigoroso e sportivo.

Poi ferito, ammalato e curvo.

Fino a che si è spento nel dolore.

Come dimenticarlo?

Nel frattempo Simonetta si avvicina.

La stringo a me, sorridendo.

Detto questo, detto tutto.

Alla prossima.

2) SECONDO

Seccato per problemi di lavoro, lancio un'occhiataccia a un consulente. Una giovane collega si toglie gli occhiali e gli sorride con una certa civetteria. Esco dall'ufficio. Prendo la metro. Sulla strada del ritorno incrocio lo sguardo con strani tipi. Forse testimoni di Geova. Vedendoli, non posso fare a meno di pensare a una creatura di Dosytoevskij, uno di quegli emarginati che passano la vita a rimuginare, a partecipare a riunioni settarie e ad accarezzare giornali pieni di immagini subliminali. Hanno il viso fanatico di uomini posseduti da un demone. Arrivo a Ostia. Prendo l'autobus. Scendo di fronte a un vivaio. Do un'occhiata al vialetto di fronte all'entrata. Il giardino è decisamente ordinato, con i cespugli di forma e altezza identiche e i primissimi boccioli esposti nella loro armonia simmetrica e cromatica. Il muschio cresce rigoglioso attorno ai lastroni di pietra che terminano davanti a una porta a legno ad arco che da accesso sul retro. Punto verso casa. Arrivo. Mi stendo sul letto. E penso. Il Cacciatore di aquiloni. Ieri sera a Cineland. Con amici. Un film di Marc Forster. Un film forte. Commuove ed emoziona. Dopo aver trascorso alcuni anni in California, Amir ritorna nel suo paese d'origine l'Afghanistan. Cerca il figlio del suo vecchio amico Hassan. Questo viaggio è l'occasione per Amir per riandare ai tempi della sua infanzia e della profonda amicizia con Hassan sullo sfondo delle vicende storiche del suo paese in guerra. Difatti, tra Amir ed Hassan si era scavato un solco che solo un coraggio tardivo, ma riparatore, riuscirà a colmare. Non bisognerebbe mai aver letto prima il libro da cui un film è tratto. Perché, pur non volendolo, si finisce con il fare confronti che andrebbero evitati dato che si tratta di due forme di comunicazione diverse. Come molti italiani però ho letto il libro di Khaled Hosseini. Nel libro si racconta uno splendido rapporto di amicizia tra Amir, ragazzo afgano pashtun di Kabul, e Hassan, figlio del suo servo hazara. Certo, il regista, pur avendo realizzato un film più che dignitoso, non riesce a restituire l'emozione complessa che il libro suscita nel lettore. Il film, comunque, segue il libro senza rischiare personali interpretazioni che ne avrebbero snaturato il significato. Khaled Hosseini scrive in modo di incollare il lettore alle sue pagine vivendo in prima persona i travagli interiori di Amir, sentendo fischiare i proiettili russi prima e talebani poi sopra alla propria testa, ritrovandosi il viso rigato di lacrime al primo sorriso che Sohrab, il figlio di Hassan, gli rivolge. C'è anche altro. In Afghanistan se una donna chiede il divorzio perde tutto, figli compresi. Una moglie che commetta adulterio, anche se il marito l'ha lasciata mettendosi con un'altra donna, viene giustiziata e a volte sono gli stessi familiari a provvedere all'esecuzione. Gli uomini controllano le donne in tutto, si accertano che vadano a scuola, che lavorino fuori casa e decidano se possono o meno sposarsi con un certo uomo. Non sono, queste, condizioni fissate dai talebani o dall'Islam, ma ciò nonostante nessuno oserebbe violarle trattandosi di norme con profonde radici nelle antiche usanze tribali dell'Afghanistan. Ho visto il film, trattenendo il fiato. Nel cacciatore di aquiloni c'è una scoperta sconvolgente, in un mondo violento dove le donne sono invisibili, la bellezza è fuorilegge e gli aquiloni non volano più. Sì, avrei una gran voglia di rivederlo. Il film. E di rileggerlo. Il libro. E' vero.

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