Matrimonio all’italiana condito dall’anatra all’arancia

di Nello Colombo
Un ménage stanco che marcia sui cocci di una routine che si sbrodola addosso mentre sonnecchia il fuoco dell’amore sotto la cenere, un’anatra all’arancia che non vuole saperne di cuocere a puntino, e tanto pepe e paprika dal sapore sensuale, sono gli ingredienti giusti per gustare un classico feuilleton come “L’anatra all’arancia” che ha deliziato, divertito e fatto riflettere gli spettatori del Teatro Sociale di Sondrio gremito. Rutilante la regia di Claudio Greg Gregori, come le ampie vetrate ingabbiate di blu della scena che mette in risalto personaggi d’autore in grande smalto. Anzitutto un superbo Emilio Solfrizzi, incantatore della parola che si piega alle volute fumose di una comicità ironica fida della sua disarmante simpatia che da accalappiatore seriale di un lungo carnet di donne “leggere” ne fa il “gentiluomo” irreprensibile che, per tutelare il buon nome della moglie fedifraga, non esita a “sacrificarsi” beatamente tra le lenzuola con l’avvenente segretaria, risvegliando infine l’ “antico” amore. Al suo fianco un’algida mogliettina (una perfetta Carlotta Natoli) che vuole godersi “una botta di vita” col suo allampanato aristocratico conte (un convincente Ruben Rigilli) in viaggio in vagone letto per Parigi. Ma è il terzo incomodo a scombinare le carte con tutto il suo seducente charme: la sensuosa e vanesia Patrizia (Beatrice Schiaffino ci mette beatamente del suo sfoderando un sex-appeal magnetico) che in négligé “vedo e vedo” mette in mostra tutto il suo “corposo” armamentario femminile con le sue gambe flessuose che danzano al ritmo voluttuoso della seduzione. Sulla pedana del ring trasgressivo che rievoca il duello Vitti-Tognazzi del Film di Salce “L’Anatra all’arancia” si muove anche un’avveduta servetta (una caratterista deliziosa Antonella Piccolo) prodiga di giudiziosi consigli a destra e manca, una Titina De Filippo sentenziosa, ma rispettosa del suo ruolo. Lunghi applausi del pubblico del “Sociale” a scena aperta tra orzate annacquate e whisky lisci che giocano un ruolo fondamentale dopo i primi dissapori notturni tra i due coniugi non più in cerca di effusioni ma solo di esternazioni fedifraghe che avvelenano l’anima. E allora eccolo l’Emilio Solfrizzi dal multiforme ingegno, pronto a destreggiarsi bene tra una partita a tennis e una difficile di scacchi a seminare un dubbio nell’algido conte, “il coniglio con le bretelle” che si consolerà presto tra le morbide braccia della sexy Patty, ma soprattutto a insinuarsi nel desiderio rancido di Lisa di infrangere la routine matrimoniale rendendo pan per focaccia, ammorbidendo infine le sue resistenze all’infedeltà. E alla fine il cerchio si chiude in quel “Non parto!” anticamera quel accettato “è andata così!” che sancisce la ricucitura dei cocci con il mastice di Zi’ Dima con un abbraccio liberatorio sottolineato dall’ovazione del pubblico. Una pièce esilarante, amarevole, che sa insinuarsi tra le lubriche pieghe di mille adulteri finiti chissà come in cui le colpe non sono mai solo da una parte. L’importante non è “finire” come cantava Mina, ma è “ricominciare”. Nonostante tutto. Chissà!
Nello Colombo

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