“DA FATTORI A PREVIATI” AL MUSEO DI SONDRIO

(Nello Colombo) “Se la montagna non va a Maometto …”.  Alessandra Baruta, alla entusiastica e lungimirante direzione del MVSA, è una fonte zampillante di iniziative che aprono le porte al grande pubblico. E non c’è posa per un Museo che non stagna nell’ “aurea maiestas” della sua pullulante vita dedita all’arte, ma esce dalle sue stanze antiche per proiettarsi al mondo e accogliendo nel suo seno una miriade di eventi che ne fanno la Casa della Cultura cittadina. E allora eccola Baruta farsi latrice instancabile di un’architettura organizzativa condotta con il concorso di uno staff motivato, coeso e diligente, sostenendo a spada tratta ogni singola proposta come l’ultima mostra della collezione Molo che giunge dalla Pinacoteca Giovanni Züst di Rancate al MVSA sondriese.  E nel suo fervore creativo non esita a salire in cattedra all’Unitre, L’Università delle Tre Età cittadina, per illustrare affabilmente la genesi di una esposizione di straordinari dipinti che vanno da Fattori a Previati, da Fragiacomo a Segantini, da Rusconi a Bianchi, da Conti a Delleani e Gonzato. Una disamina perfetta quella del direttore del MVSA sulla collezione di Riccardo Molo imprenditore ticinese di grido e collezionista di alto rango, protagonista assoluto di una ricerca artistica di prim’ordine ospite d’onore nella pinacoteca cantonale Giovanni Züst che ora si offre alla lettura degli ospiti del MVSA fino al prossimo 27 agosto 2023.  E lo fa passando in rassegna le 13 opere in rassegna, una ad una, svelando dettagli unici. Particolari che riaffiorano da una rilettura artistica di un attento visitatore.
La diligenza a Sesto (Giovanni Fattori)
Un vecchio muro scalcinato fa da sponda alla sosta dei cavalli. La diligenza di nero vestita con l’unico vezzo, a guarnizione, di rivoli rosso amaranto. La portiera spalancata, il cocchiere di lato, cappellaccio scuro e giacca di fustagno, sguardo perso nel vuoto. Più che gli umani, di spalle, a malapena accennati, ci sono loro: cavalli dal rozzo basto, ed armenti paciosi al giogo, tra il verde sprillante che occhieggia dall’alto, sinuoso. Solo in fondo, una lama di luce soffusa sottende nel biancore accecante forse una ruvida piazza o un atrio sconnesso di un ameno ristoro.  L’atmosfera stagnante indugia tra ombre malferme sul duro lastricato di lorica antica crepata. Il cielo d’un grigiore corrusco s’ingravida tra nubi ammatarazzate di calce.  
Masseria con pergolato (Giovanni Fattori)
Nell’antica cascina in abbandono neghittoso la natura s’è preso il suo corso serpeggiando tra l’arida zolla e tra gli archi viridescenti del pergolato che fa da schiera a una vecchia cancellata rugginosa. Portoni sprangati e finestre quiete ammarronite. Laterizi fibrosi dalle rughe grinzose a cui s’addossa un carretto dalle lunghe stanghe, in disarmo, accanto a biche che paiono canne frastagliate e affastellate volte a un cielo gravido di cirri lenticolari venati d’ocra selvaggia. Bandita la presenza umana. O forse è proprio questa l’immagine di un rustico velame d’un’antica nobiltà decadente che si sfrangia in una pittura a strie ventose. 
Slitte nella neve (Camillo Rusconi)
Saint Moritz in tutto il suo splendore alpestre. Nel biancore accecante della neve due slitte bardate di melagrana matura avanzano al piccolo passo oltre il bordo appena inciso da un lungo palo dritto, che trafigge il manto soffice issandosi fino al cielo, quasi un dardo beffardo del sole che sembra calare a perpendicolo, celato in un batuffolo chiaro di lana caprina. Custodi di frontiera o solo audaci spalloni sono in marcia in cerca di valli più lievi. Alle spalle, innanzi alle creste sfumate dei monti, s’erge, appena accennata nel ghiaccio profano del giorno, forse una vecchia malga ferita dal tempo, mesto ritiro di uomini stanchi in cerca di pace e calore. O solo la bianca dimora che tutti attende alla fine del proprio cammino.
Lago di Lecco (Giovanni Segantini)
Luci ed ombre si divaricano morbide sul pelo dell’acqua increspata di giallo chartreuse spatolato sull’azzurro cinerino del lago in cui si tuffano sinuose le balze dell’arco alpino sul cui lembo estremo come pecore pascenti si disseminano quieti paeselli dalle lunghe file di case biancastre dal cappello rosso matto, dirimpettaie di quattro trespoli di case a ridosso dell’altura che si bevono il tiepido tramonto che rifulge da lontano oltre il velo dei pensieri.
Sera fra i monti, o l’Abbeveratoio (Pietro Fragiacomo)
Scena bucolica d’una mucca pia che si disseta nell’acqua filamentosa delle sorgenti alpestri che sgorgano schiumeggiando. Solo un muro sconnesso segna l’antico passo degli armenti mentre un anonimo pastore occhieggia da lontano. Morbida la pastura verdeggiante che in fondo, baciata dal sole, intenerisce nell’opulento giallo che indora anche la fonte in rivoli concentrici che nuotano nell’oro. Pace arcadica all’ombra di pini e ruvide staccionate addossate ad un rustico rifugio da cui domina sulla piana l’arancio canario di una finestra accesa.    
Donna con calice (Mosè Bianchi)
Sensuosa Erodiade gaudente e discinta, nella sinuosa veste crespa già calata languidamente sul promontorio ardito del seno prospero e fecondo. Dal basso, prostrato innanzi alla beltà suadente, domina e oblatrice, s’intuisce il succubo irretito che mesce il desiderio nella coppa ialina del piacere. E lei avvolta nel morbido cascame della chioma bruna scarmigliata guizza gli occhi stralunati nel turgido richiamo dei sensi indugiando nella carezza di seriche collane d’ambra sull’incarnato pallido del volto che sembra ridere sontuoso e irriverente come una Maddalena peccatrice mai redenta che seduce senza proferir favella.
Maggio o Coppia sotto la pergola (Guido Gonzato)
Con gli occhi della mente, Gonzato dipinge tenui ritratti di nature morte e sentimenti vivi. Sotto la pergola cristallizzata di verde policromo il desco semplice imbandito d’un bicchiere d’acqua e una bottiglia che pare fiorire di tenui roselline e genzianelle alpine. Solo un filo di rossetto per lei, l’unico vezzo d’un orecchino ad occhio di pernice, l’ovale dolce e gli occhi innamorati, la chioma castana racchiusa a cipolla, la veste d’un arancio delizioso nello sfumato delle avventizie, mentre lui pare assorto nella lettura nel rosa pastello della camiciola che riverbera sul volto rugiadoso segnato dal crine e l’occhio neri.
Natura morta con due pesci (Guido Gonzato)
Distese su un piatto forse di melamina spuria due eteree alici cilestrine languono in attesa su uno scoglio appena accennato da poche linee d’azzurro sul bianco sporco d’una pietra lambita dall’onda marina. Malinconica sorte di miseri pesciolini finiti nella rete delle illusioni della vita che non aspirano certo a una miracolosa moltiplicazione, ma attendono, inerti, che si compia ineluttabilmente il loro destino. 
Nello Studio del pittore (Tito Conti)
L’atelier del nobile artista perso petrarchescamente tra la terra e il cielo. Autoritratto di un’eleganza sobria che ispira reverenza e ammirazione di un uomo domestico alla mistica dolcezza della poesia dell’immagine volta alla muliebre bellezza di fanciulle altere. E pur volto alle effimere gaiezze quotidiane che sembrano emergere nella vernice scabra delle scarpe dal risvolto torbido del fango. Tra fieri damascati dell’oro e il lapislazzulo setoso, la docile schiena d’una Venere imperiale imprigionata nel marmo e l’intero scibile umano nella pila scompaginata di libri. Uno aperto sulle pagine d’una ispirazione colta a mezz’aria, mentre l’artista siede accovacciato su una morbida Chippendale dal velluto verde spigato, innanzi all’effigie d’una donna amante e sposa, e all’elmo e l’armi d’un cavalier d’alta tenzone. Sacro e profano in affanno nel serioso connubio curiale della sera tra l’adagio cantabile di una mandola e l’elsa guerriera degli antichi padri. 
Inverno (Lorenzo Delleani)
Scheletri adunchi di alberi dormienti sul materico tratturo solitario brancicano i rami contorti nell’aria aspra e pungente. Ombre farraginose di cenere e piombo accatastate nel cielo livoroso d’uno squallido inverno. Poche foglie avvizzite che attendono l’uzza serotina per l’ultimo volo nell’attesa di una rinascita non concessa agli umani. Eppure, oltre i sentieri impraticabili di fango e di sterpi solcati da linee marcate nel fosso, ancora s’illude il verde brunito dell’estrema stagione in un rigurgito di maturità non doma.  La sorte comunque l’attende al calar della sera.   
San Bernardino (Camillo Rusconi)
Forse del tramonto l’autore ne ha fatto la transumanazione dell’età serena della senilità adagiata nella conca montana innevata. Qua e là la rada l’abetaia fa capolino giocando a rimpiattino tra scarni rifugi addormentati. Soltanto lassù sulle giogaie arroventate il sole indugia ancora con la sua vertigine dolosa lungo l’isobara più alta, marcando una linea mediana curva che si colora di miele e zucchero filato. E’ l’ora dell’Ave e del ricordo.
Autoritratto (Gaetano Previati)
Austero e gentile, gentiluomo di rango, la scrima ordinata, di lato, mostacchi e pizzetto curati, la bianca camicia incravattata, lo sguardo che fissa atarassico l’osservatore con quell’aria dal nobile volto dai tratti sfumati del carboncino e del gesso su tavola. Allo specchio il peso dell’età compassata della matura stagione che ha raccolto i suoi frutti gustosi ma in serbo ne ha ancora i migliori nascosti nel bavero e nel fondo delle tasche rigonfie di sogni.    
Vendemmia (Gaetano Previati)
Antesi copiosa di chicchi dorati dell’uva che splendono nella cesta di vimini sorretta da gaie fanciulline tessute da fine pennello che ondeggiano piano nell’ora fatata della vendemmia. E ancora altri tralci gorgheggiano al sole col frutto maturo della vite. Tenere bambine sciorinate al vento sono un tutt’uno col cielo d’azzurro cromato, le manine distese nell’umore d’un nettare antico, il corpo flessuoso che già si tinge d’un viola perlato. L’età vagheggiata dei sogni che canta nella piana gioiosa.

Nello Colombo

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