SONDRIO: Uno sguardo dal ponte al Teatro Sociale

di Nello Colombo
C’è un tempo per vivere e uno per morire. C’è un tempo per cadere in tentazione, marcendo nell’intimo, e uno per pagare il fio delle proprie azioni malvagie ispessite da un fato crudele a cui non si sfugge.  Quasi un ponte delle Cassandre sulle nefandezze e meschinità della vita, quello che sovrasta dall’alto la scena del Teatro Sociale, nell’interpretazione del capolavoro di Arthur Miller “Uno sguardo dal ponte” che incontra l’estro registico di Massimo Popolizio. Storie di intrighi e di passioni farneticanti e malsane ai tempi della grande emigrazione italiana Oltre Oceano. Il portuale newyorchese, Eddie Carbone, (l’uno e trino Popolizio che si destreggia bene con Valentina Sperli, Michele Nani, Raffaele Esposito, Lorenzo Grilli, Gaja Masciale, Felice Montervino, Gabriele Brunelli e Adriano Exacoustos) vive i suoi giorni inquieti a Brooklyn con la moglie Beatrice e l’avvenente nipote Caterina, appena diciottenne – sottigliezza non da poco per la puritana America - della quale è morbosamente e insanamente preso. In un gioco d’ombre cinesi si snoda il pullulare del porto all’arrivo dell’ultimo bastimento che strombazza alla grossa proprio forse per scaricare l’ultima zavorra umana venuta da lontano. Marco e Rodolfo accolti prima paternamente da Carbone, gli fanno poi svaporare il senno alle prime avance di Rodolfo sulla sua salmodiante ed effervescente preda in vena di spassi e fox-trot. Basta una piccola radio gracchiante con gli ultimi successi di una dixieland sfavillante a far saltellare amenamente la bella Caterina in un gioco seduttivo che irretisce e fa sbarellare ogni buona intenzione. E Otello si monta da solo il suo mostruoso piano di aberrazione e dolore, colto dal raptus insaziabile e insanabile di una gelosia corrosiva. Luccicante insegna come la mela avvelenata di Eva, cala d’alto la subdola  tentazione dell’immagine del “PHONE” che irretisce e corrompe in un velenoso disegno di codarda vendetta nella denuncia al gelido e spietato ufficio immigrazione dei due malcapitati che vengono malmenati di brutto per ricacciarli nel loro inferno quotidiano. Vendetta è fatta. A danno, purtroppo, di innocenti. Ma il tarlo dell’ossessione per le giovani carni e il magnetismo sensuoso di Caterina condurranno Eddie fino in fondo al baratro. Baci promiscui somministrati a destra e manca seminano soltanto l’orrore di una devastazione intima ingabbiata da troppo tempo. Scontata la condanna finale. Uncinato da fendenti assassini, Eddie cadrà infine vittima della sua colpevole follia. Canto funebre della morte che cala in un silenzio irreale, quasi statico, in freeze. E intanto s’ode fragoroso il passaggio locomotore sul ponte che sferraglia assordante, incurante delle umane miserie. E l’illusione scenica del teatro che si picca di farsi anima cinematografica è già lontana dalla realtà in cui si consumano sviamenti ben più mostruosi, semplicemente tacciati di “Scandalo”.  
Nello Colombo

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