Piccole Donne
PICCOLE INCANTEVOLI DONNE
di Nello Colombo
Chiusura col botto del Sondrio Teatro del Comune di Sondrio con il più classico degli adattamenti della narrativa della Alcott, “Piccole Donne”. “E’ stato un soffio – rivela l’assessore alla Cultura Marcella Fratta – ma stiamo già lavorando per la prossima Stagione per proporla quanto prima”. L’affresco newyorkese della seconda metà dell’Ottocento è ben dipinto dalla regia, anche coreografica, di Fabrizio Angelini, tra una cascata ammonticchiata di un mobilio demodé fitto fitto, tra paralumi crepuscolari e armadi tuttofare, un vecchio piano scordato, sedie alla rinfusa e comò accatastati uno sull’altro, disseminati attorno a una ripida scala che porta a due finestrelle da cui occhieggiare sulla tenuta della ricchezza ostentata dei propri vicini: l’umile dimora dei March nel mezzo della Guerra di Secessione Americana con papà March nell’esercito dell’Unione. Un cast indovinatissimo con una freschezza recitativa “naturale” delle 4 magnifiche sorelle (Meg, Amy, Beth e, naturalmente, Jo, dalla fantasia galoppante che aspira a diventare una grande attrice). Un viaggio nell’adolescenza quietata dalle dolci cure della madre che rabbonisce piccoli eccessi di una vita quotidiana semplice ma votata al più grande affetto. Superbe e contagiose le musiche di Jason Howland cantate divinamente dalle giovani interpreti con grazia ed eleganza. Toccanti le arie della madre a sera a dissipare quel velo di tristezza “povera” per il marito lontana e 4 figlie a cui insegnare la vita, e quella dei sogni estatici infine realizzati dalla giovane Josephine. Spumeggiante la narrazione scenica – unico neo la lungaggine di un racconto che, altrimenti, rischiava di menomare l’assetto drammatico della Alcott - e molto raffinati e ricercati i costumi delle tenere fanciulle che sognano ad occhi aperti il primo ballo delle “debuttanti” con cui maldestri giovanotti si fanno avanti. Il primo amore, il primo bacio, i primi ardori giovanili: niente intacca il sacro fuoco della parola che fa fuoco e faville dell’indomita e intraprendente Jo. E c’è tutto il desiderio di sentirsi “famiglia” che si rinfocola tra i due piani del proscenio e del telo in controluce che fa da sfondo animato alle vicende delle “giovani aspiranti alla vita”, in una sorta di diario intessuto dalle introspezioni caratteriali dei vari personaggi-chiave. Le 4 sorelle capitanate da una Jo strepitosa hanno conservato quell’ingenuità fanciulla che a null’altro aspira che diventare donna, senza sapere che la realtà spazzerà in un soffio le chimere effimere dei desideri giovanili. Toccante la zazzera spuntata di Jo, venduta al miglior offerente per racimolare qualche spicciolo e ingannare una povertà mai invidiosa, ma catalizzatrice del cemento affettivo di una famiglia che resiste a tutto. Splendide le voci delle interpreti che ci hanno messo del pathos emotivo che ha reso ancora più credibile e vera una recitazione dalle mille sfumature. L’età dei sogni, come la giovinezza, prima o poi sfiorisce, ma quel che conta è il viaggio che conduce alla certezza di non essere passato invano, lasciando al tempo le tracce indelebili di un ricordo affidato a pagine indimenticabili che hanno celebrato non una dinastia di eroi o di eroine, ma semplici, piccole donne che nel crogiuolo della vita hanno imparato che quel che conta veramente è non rinunciare mai ai propri sogni. E l’irresistibile Jo infine troverà la fama e l’amore. Ovazione del pubblico del Sociale che ha partecipato infine ad un simpatico siparietto fuori scena, nella hall, dove le belle sorelle March vestite di tutto punto hanno sorriso e conversato col pubblico grato per la grazia e la bellezza di uno spettacolo che ha lasciato il segno.
Nello Colombo