LO SPORT E’ VITA
Quintessenza dello spettacolo “L’essenza dei colori” presentato da un “Paese di Sportivi” come Albosaggia
(Nello Colombo) Fede, speranza e carità. Come tralci abbarbicati alla vite. La Vita. Le stesse virtù di un’antica morale racchiuse nel mondo dello Sport. E’ questa la quintessenza dello spettacolo “L’essenza dei colori” presentato da un “Paese di Sportivi” come Albosaggia decantata dal Primo Cittadino, Graziano Murada, “sindaco della gente per la gente” onnipresente nel cuore della sua comunità. La palestra comunale nel suo pieno vigore tra attrezzi ginnici e di arrampicata, avvolta nei colori del nostro tricolore, si anima per raccontare le storie importanti di uno sport vissuto come metafora delle più ardue imprese che hanno fatto storia. Come l’essenza dei colori racchiusa nella luce prismatica della vita che racchiude le imprese di immensi atleti che hanno lasciato la loro scia fatta di esaltanti vittorie, ma soprattutto di grande umanità. “Sport e consapevolezza. Le imprese agonistico sportive non sono solamente delle manifestazioni di capacità e prestazioni fisiche di altissimo livello. A volte, al loro interno, senza programmare, senza prevedere nascono situazioni che generano comportamenti decisamente costruttivi per l'intera umanità. L'importante è saperne cogliere il significato profondo che va oltre il semplice vedere ed attuarlo al fine di creare una consapevole e cosciente disciplina verso noi stessi e gli altri. "L'essenza nei colori" vuole essere proprio questo: alimentare le nostre vite di colore e trasparenza attraverso le esperienze di singoli uomini e di singole donne che hanno proiettato il loro senso etico e civile verso gli occhi del mondo, senza necessariamente salire sul numero uno del podio”, spiega “la voce” della serata, in impeccabile blu, Gianfranco Busi, coach di rango che abbriva la sponda felice di un’epopea dei giochi olimpici del ’68 a Città del Messico. Il rumoreggiare tempestoso della folla sugli spalti evoca l’ultimo poderoso sprint sui 200 metri di Tommie Smith, “The Jet”, a cui arride il record mondiale con 19''83. Ma la sorpresa è quanto avvenne sul podio che consacra la fede nell’uguaglianza dei diritti umani, non ancora pronta per il popolo statunitense. E per il mondo intero. Forse. Emblematico il finale della storia quando l’australiano Norman vituperato in patria fu salutato come un eroe da due afroamericani che portano la sua bara sulle spalle. Erano i tempi in cui l’uomo nero non poteva bere la stessa acqua della fontana, prendere lo stesso pullman, frequentare la stessa scuola con l’uomo bianco. La mesta riflessione è affidata all’estro chitarristico di Joe Valenti accompagnato alle percussioni di Ivan Romeri con “Astral weeks” di Van Morrison. Un effluvio di strane sensazioni batte allo stomaco. Altro episodio edificante è quello del portabandiera peruviano Roberto Carcelen ai Giochi Olimpici di Vancouver, pur giunto penultimo nella “Tecnica libera”, che diventa suo malgrado simbolo della sua patria dove crea una fondazione benefica a favore dei giovani e viene osannato come un eroe per aver partecipato per i propri colori pur con due costole rotte correndo per 15 km trovando ad attenderlo con rispetto il vincitore della gara, lo svizzero Dario Cologna. “Impara, guadagna, restituisci”. Una grande lezione. Spazio ancora alla musica con Joe Valenti che inneggia con “Sky full of stars” dei Cold Play mentre Romeri vibra tutt’uno col suo cajon disegnando ampie volute raffinate su piatti e djembe. La libertà è invece incarnata dalla fascinosa e intraprendente nuotatrice siriana Yusra che partecipa ai campionati mondiali di Istambul a soli 14 anni. Poi giunge la guerra a devastare tutti i suoi sogni, distruggendo la sua casa, il centro sportivo, la sua quotidianità, i suoi affetti più cari, per farne una rifugiata in cerca di luce e di pace, annichilita su quel gommone nel viaggio dei disperati consumando la sua odissea fino a Lesbo. Parteciperà infine ai giochi olimpici di Rio De Janeiro vincendo la sua avversione contro il mare a cui era miracolosamente scampata. La crisalide siriana aveva vinto contro se stessa, contro la nera spirale di morte evocata da “Le vent nous portera” dei Noir Desir. E’ la tenera voce di Sara Moroni, curatrice artistica della performance, a dare la rorida emozione delle donne “che non sanno parlare, ma sanno solo piangere, che sopportano gli schiaffi senza osare renderli. Tremano di rabbia e la reprimono come leoni in gabbia che sognano la libertà”. La siriana Maram-Al-Masri non ha abbandonato la cetra della sua poesia: "Scrivere è imparare a conoscere se stessi. Quando scrivo, il mio io è quello dell’altro e questa certezza mi aiuta a liberare me stessa, mettermi a nudo. Scrivere è essere la nave che salverà gli annegati. Scrivere è vivere sull’orlo della scogliera e aggrapparsi a un filo d’erba. Libera la tua liberta!”. Imperioso a questo punto giunge il tema della fratellanza. Giochi olimpici di Berlino del ’36. Finale del salto in lungo dinanzi a 100.000 spettatori in visibilio alla presenza del dio della razza germanica, Hitler, quasi assiso in trono. In lizza il tedesco Carl Ludwig Hermann Long e lo statunitense di colore Jesse Owens, “figlio di Mercurio” che inanella due salti nulli. E’ allora lo stesso Long a suggerirgli l’espediente per l’impresa che avviene gelando lo stadio berlinese. Il secondo atto della storia si consuma il 14 LUGLIO 1943 in Sicilia dove Long viene trafitto da una pallottola. Nello stesso momento il postino consegna una lettera dell’amico a Owens: “Dove mi trovo sembra che vi sia soltanto sabbia e sangue. Non ho paura per me ma per mia moglie e il mio bambino. Il mio cuore mi dice che questa potrebbe essere l’ultima lettera che ti scrivo. Se così dovesse essere ti chiedo solo questo: quando la guerra sarà finita, vai in Germani a trovare mio figlio e raccontagli che neppure la guerra è riuscita a rompere la nostra amicizia. Tuo fratello Luz”. “When you got a good friend” di Eric Clapton sembra piangere mentre scorrono le levigate immagini del “Mago del Video”, Maurizio Gusmeroli. E si giunge al gran finale che assurge alla speranza, quel filo indistruttibile che unisce tutti a uno. Protagonista dell’ultimo atto è l’Africa con una prolusione sulla XXV edizione dei Giochi Olimpici di Barcellona nel 1992 con la presenza di atleti sudafricani esclusi dal 1964 dall’apartheid. Siamo alla finale dei 10.000 metri con Elena Mayer sudafricana e l’etiope Derartu Tulu che supererà per prima il traguardo, bissando il suo successo alla maratona di New York dopo aver cercato con far play di incoraggiare la rivale britannica Paula Radcliffe. Qualcosa è cambiato per l’Africa. Uno degli artefici è stato certamente Nelson Mandela, figura carismatica dalla grande saggezza a cui viene dedicata il “Mandela Day” dei Simple Minds. La pièce si chiude sui colori dei cerchi olimpici riflesso dell’intero universo, essenza di luce primordiale, che invita a sognare e lottare sempre per realizzare il proprio sogno di vita. Lo stesso messaggio che campeggia su una bianca tela distesa sugli spalti della palestra comunale di Albosaggia: “Crederci sempre, mollare mai!”.
Nello Colombo