MOSTRA A SONDRIO: "IL CONFINE DEI SOGNI" (Artista: Alessandro Docci) 11 5 30 14
Riceviamo:
Luogo: Sala Ligari - Palazzo della Provincia- Corso XXV Aprile, 22 - Sondrio
Durata: dal 29 Maggio al 12 Giugno 2011
Orario: martedì - venerdì 10,30/12,30 - 15,30/19,00
sabato e domenica 10,30/12,30 - 15,30/18,30
Una dimensione interiore metabolizzata dal colore, l'organizzazione di forme definite o
del tutto fluide in un impianto che ammicca all'astratto, riprodurre immagini dei sogni
e dell'inconscio, lascia facilmente accostare il lavoro di Alessandro Docci a ricerche
neoespressioniste mediate da interferenze transavanguardiste.
La produzione dell'artista, già dai primi anni Settanta, segue due strade parallele: quella del
contenuto e quella della forma. Il contenuto è palesemente evocato nei titoli di alcune opere -
capaci di svelare il doppio volto dell'uomo -Paesaggio dell'anima, Esistere e di alcune recenti
mostre, "Labirinti dell'inconscio" Arezzo, 2006 e "Nelle pieghe dell'anima" Bergamo, 2008.
Titoli che testimoniano la poetica di una pittura intimistica vissuta dall'artista da uno stato di
conflittualità permanente attraverso un'analisi lucida dei ricordi, dei sogni. In questo modo Docci
si riappropria del ricordo, del sogno, per mezzo della memoria che ridiventa l'oggetto che l'ha
suscitato: l'opera possiede così tutta l'attitudine a suggerire piuttosto che descrivere o svelare quel
senso di fragilità esasperata nella forma, nel contorno di un volto, nel ripetersi ossessivo di motivi
iconografici, secondo un'attenta preoccupazione per la composizione formale. Il segno muove
seguendo percorsi automatici e gestuali tracciando volti caustici, sospesi in un'attesa carica di
panico, appannati dall'esuberanza del colore dalle crudezze acerbe, mediatore al pari del segno.
E' bene ricordare come tutto il percorso di Docci sin dagli esordi sia contraddistinto dalla
coerenza delle ragioni morali che lo occupano e lo sollecitano anche quando muta registro
formale, abbandonando l'intonazione sottotono, il tessuto pittorico frondoso, per un colore più
acceso, spesso piatto, monocromo, ma sempre fedele al suo "fare anima", cioè a fare dell'anima
attraverso l'immaginazione dei segni, nel senso in cui ne parla James Hillman.
Mauro de Giosa