JOEY DE FRANCESCO E LA SUA CONQUISTA DEL PUBBLICO SONDRIESE

Ci mette poco, Joey De Francesco, a conquistare il pubblico dell’Auditorium Torelli. Il tempo di installare la sua massiccia corporatura nell’abitacolo dell’organo Hammond B3, di far scivolare le dita sulle tastiere accompagnando con le note basse il pianista Massimo Faraò che accenna il tema di “I could a write a book” di Richard Rodgers. Ed è fatta. L’audience è già tutta con lui e sarà insieme al fantastico trio completato da uno straordinario batterista come Byron Landham, misurato e inventivo, fino alla fine. Merito di una musicalità calda, espressiva, senza confini di genere, unita indubbiamente ad una tecnica eccezionale, ma che da sola non basta. De Francesco mescola jazz, blues, soul in un melting pot sonoro, tra svisate e vibrati, che manda in visibilio un Auditorium giustamente pieno per questo concerto inaugurale del “grande jazz” del CID. Al terzo brano, un funky indiavolato sulle note di “Mojo Working”, cavallo di battaglia di centinaia di bluesman, la gente batte le mani a tempo in visibilio mentre Joey sfodera una calda voce soul che ricorda, complici le armonie dell’Hammond, le sonorità tipiche della Stax di Memphis. Ed è capace anche di farsi crooner confidenziale in una bella versione di “Nearness of You” con Faraò in grande spolvero e il tappeto ritmico suggestivo di Landham, in cui si esibisce anche alla tromba con accenti alla Chet Baker. Il trio è al servizio assoluto della musica: niente virtuosismi fini a se stessi, un ascolto costante dell’altro, assoluto interplay tra DeFrancesco e Faraò che si scambiano rapide occhiate di intesa, ed è una continua sfida a misurarsi tra scale impervie che l’organista e il pianista fanno sembrare in discesa. La naturalezza con cui Joey si muove leggero come una piuma sui tasti dell’hammond è davvero sensazionale: lo strumento del resto, è da solo un’orchestra, con timbri che possono imitare sia la voce umana che il calore dei fiati. Così dal trio esce una varietà musicale impressionante e si spazia tra i generi con assoluta nonchalance, soluzioni armoniche mai banali. L’inevitabile assolo di batteria di Landham è un capolavoro di levità e precisione, ma anche di fantasia, non la solita dimostrazione tecnica quanto una composizione a sé stante, ben inserita tra uno standard e l’altro Bis finale, richiesto a gran voce, con un classico blues sincopatissimo, ancora battimani e la gente del Torelli tutta in piedi appassionatamente per una meritatissima standing ovation.

In apertura, un altro trio, questa volta locale, aveva scaldato a dovere la gelida sera di novembre. I Primitivo Sounds (Antonello Iannello, chitarra; Marco Xeres, basso; Paolo Xeres batteria; nome tratto da un vitigno pugliese) si sono destreggiati a meraviglia tra partiture difficili come “Solar” di Miles Davis, la classicissima “Someday my prince will come” e “Memories of tomorrow” di Keith Jarrett, rendendo omaggio doveroso a due giganti del jazz. Ottimo il livello di affiatamento tra i tre (che potrebbero diventare presto un quartetto con l’aggiunta di un sax, Bruno Soscia) con Iannello e Marco Xeres a scambiarsi i ruoli solistici e Paolo batterista onnipresente e mai risaputo. Il chitarrista sfodera anche due pregevoli composizioni proprie, “Joshua mode” e “Noster blues”, dimostrando anche notevoli capacità di scrittura. “Preferisco – ci ha detto dopo – presentare brani originali miei piuttosto che standard e in futuro lo farò sempre di più”. Bene così.

Paolo Redaelli

Joey De Francesco Trio, Primitivo Sounds Trio

Sondrio, Auditorium Torelli, lunedì 19 novembre

Paolo Redaelli
Degno di nota