Maremoto: “Fuori di questo mondo non possiamo cadere” (S. Freud)?
LA PAROLA DEGLI ESPERTI
Secondo gli esperti, il terremoto del 26 dicembre 2004 non verrà
ricordato solo per la terribile tragedia che ha devastato l'Asia
causando migliaia di morti, ma anche per un cambiamento epocale
che ha mutato la geografia della Terra. Ne sono convinti gli
scienziati e lo confermano i dati. Dopo il sisma, infatti, il
nostro pianeta avrebbe non solo modificato il suo assetto con
uno spostamento dell'asse di rotazione di 6 centimetri, ma
avrebbe anche innalzato la catena dell'Hymalaya, ridotto la
durata del giorno di tre microsecondi e, infine, modificato la
topografia delle isole Andamane , Nicobare e Sumatra.
Tecnicamente si tratterebbe di variazioni epocali che non
influenzeranno però le stagioni, il clima, la flora e la fauna (intanto la gente comincia a immaginare disastri peggiori…).
Ad esempio, lo spostamento dell'asse terrestre, noto dal 1875,
in realtà è un fenomeno che sulla Terra si ripete di continuo e
che in questo caso ha però subito uno scarto improvviso che
potrebbe aiutare a conoscere meglio le dinamiche meccaniche
della Terra.
"Dal 26 dicembre la Terra ha un altro asse, che non è più quello
di un'ora prima dell'evento sismico. E' ovvio però che il
pianeta ha subito ritrovato una situazione di equilibrio
dinamico", dice Enzo Boschi, presidente dell'Istituto nazionale
di geofisica.
Diversa è l'ipotesi di una riduzione della durata delle
giornate. Secondo Richard Gross, esperto del Jet propulsion
laboratory della Nasa, il terremoto in Asia potrebbe aver
causato un infinitesimale rallentamento della velocità di
rotazione della Terra con una conseguente diminuzione delle
giornate nell'ordine di tre microsecondi. Quanto al presunto
innalzamento della catena Hymalayana, gli esperti hanno spiegato
che il terremoto ha esercitato una forte pressione a margine
della placca indiana che spinge verso nord scontrandosi con
quella birmana. Non sì è saputo stimare il reale innalzamento
della catena, ma sul suo probabile cambiamento sono tutti
d'accordo.
Il terremoto ha cambiato,
forse,
un po’ gli uomini e le donne
Per certi, infine, sono dati anche la trasformazione delle coste
dell'India e i leggeri spostamenti delle isole Andamane e di
Nicobare, oltre che quello di Sumatra. Ciò contribuirà a
ridisegnare le carte geografiche del pianeta.
In altre parole, il terremoto del 26 dicembre ha cambiato la
Terra e, forse, un po’ gli uomini e le donne che l’abitano e che
mai come stavolta hanno compreso che davvero sono tutti parte
della stessa umanità.
Però la cosa più strana che induce a riflettere è che non si è
sentito quasi da nessuno “accuse” contro Dio per aver permesso
l’immane catastrofe. Quelle popolazioni ci hanno spezzato il
cuore: hanno perduto tutto, hanno pianto i loro cari, ma non
hanno mai imprecato. Persino i “salvati”, specie gli italiani
hanno parlato spesso di “miracolo”.
Forse che tutti, vicini e lontani, sono consapevoli che la
natura va rispettata, non sfruttata fino all’impossibile?
I disastri nella storia umana, ovvero il Diluvio e simili.
L'umanità era corrotta al punto da apparire agli occhi di Dio
come irrecuperabile. C’era un solo giusto, un uomo di nome Noé a
cui Egli ordinò di costruire un’enorme arca in cui far entrare a
coppia le specie di animali e attendere che la terra venisse
sommersa, che sparissero i suoi depravati abitanti.
Quando finalmente la pioggia cessò l’arca si arenò sui monti di
Urartu e cioè sui primi contrafforti del Tauro orientale. Da Noé
e dalla sua famiglia sarebbe ripartita un’umanità non migliore
di quella che era stata sterminata, se ripensiamo a ciò che è
successo dopo.
Una seconda e alternativa versione del Diluvio fu scoperta nel
poema di Gilgamesh, molto più antico della Genesi e di
eccezionale fascino. Sir Leonard Woolley agli inizi del secolo
scorso credette di aver trovato lo strato sedimentale del
diluvio biblico in un banco di argilla alluvionale dello
spessore di quattro metri nella bassa valle del Tigri e
dell’Eufrate che è stata soggetta a massicce sedimentazioni nel
corso dei millenni. Il problema, in questo caso, è capire come
l’alluvione avesse coperto “tutta la terra.”
L'arca e Atlantide
Al giorno d’oggi c’è ancora chi va cercando l’arca in cima al
monte Ararat in Anatolia orientale, un montagna di oltre
cinquemila metri, dimenticando che non c’è tanta acqua sul
pianeta da portare i livelli dei mari a quelle altezze. Sono
state date più risposte al problema. Secondo alcuni sarebbe il
ricordo di un evento di enormi proporzioni: l’irrompere delle
acque del Mediterraneo, alla fine dell’ultima glaciazione, nella
vasta depressione che oggi è colmata dal Mar Nero e il cui fondo
all’epoca era occupato da un grande lago di acqua dolce. Sulle
sue rive viveva una numerosa popolazione in condizioni di grande
prosperità che avrebbe tramandato per bocca dei superstiti la
tremenda inondazione. Più probabile invece è che il ricordo del
diluvio, diffuso presso le antiche civiltà, non sia che la
memoria storica dei cataclismi che fecero seguito alla fine
dell’ultima glaciazione che provocò l’innalzamento dei mari e
degli oceani e disastrose alluvioni per lo sciogliersi di
immensi ghiacciai.
Un altro cataclisma molto famoso è narrato da Platone nel Timeo,
un racconto che ha generato uno dei miti più affascinanti della
nostra civiltà: l’inabissamento di un intero continente posto
“fuori dalle colonne d’Ercole”: Atlantide. Da secoli si va alla
sua ricerca, sede di una civiltà superiore, di una potenza e di
una grandezza straordinarie, annientata in una sola notte dal
dio Poseidone a causa della corruzione dei suoi abitanti.
Già Aristotele non lo riteneva vero: « Platone l’ha suscitata
dal mare, e lui ve l’ha inabissata».
Gli scienziati hanno cercato Atlantide dovunque: dal
Mediterraneo all’Atlantico; dalla Scandinavia al deserto del
Sahara, dalle Canarie alle Azzorre, addirittura all’Antartide.
Senza esito.
In realtà oggi noi sappiamo benissimo che non è mai esistito un
continente “più grande dell’Asia (cioè dell’Anatolia) e della
Libia (cioè il Nord Africa) messe assieme” nell’Oceano
Atlantico. Atlantide è probabilmente un collage: voci di terre e
di grandi civiltà al di là dell’Oceano; ricordi di catastrofi
naturali come quella di Santorini, l’antica isola di Thera. Le
ceneri dell’eruzione sono state scoperte nei ghiacci dell’Artico
e datate con precisione. Nel 1600 a.C. un terremoto scosse
l’isola che è di origine vulcanica. Si aprì una crepa nel fianco
della montagna e il Mediterraneo precipitò a cascata dentro la
fenditura direttamente sul magma che risaliva, ciò deflagrò come
una bomba: chilometri cubi di ceneri e lapilli s’innalzarono in
un fungo mostruoso che oscurò il sole; un’onda anomala alta
decine di metri si abbatté sulle coste di Creta spazzando via la
civiltà minoica e disponendo il terreno all’invasione dei
micenei. Dell’isola di Thera rimase solo l’anello esterno: il
resto sprofondò con i suoi villaggi e i suoi abitanti sul fondo
del mare.
A quel disastro seguirono drammatici mutamenti climatici che si
protrassero per secoli determinando una serie di squilibri
ambientali: alluvioni disastrose e interminabili siccità,
inondazioni e carestie: convulsioni di una natura che faticava a
ricuperare il suo equilibrio.
Vesuvio
Qualcosa di simile, anche se in scala molto più ridotta, avvenne
nel 79 d.C. quando il Vesuvio eruttò improvvisamente una mattina
di agosto distruggendo tre città e molti villaggi, seppellendoli
sotto uno strato di cinque metri di cenere e di lapilli. Il
comandante in capo della squadra imperiale alla fonda a Miseno,
Gaio Plinio Secondo, tentò di uscire con l’ammiraglia, forse per
studiare la possibilità di un intervento soccorritore
dell’intera flotta, primo esempio nella storia dell’impiego
delle forze armate con scopi di protezione civile, ma restò
bloccato nel sud del golfo per il vento contrario e morì.
Potenza smisurata della natura
E’ purtroppo una lunga storia che sarebbe complicato raccontare
per esteso: è la storia della potenza smisurata della natura che
l’uomo si illude di avere imbrigliato. L’uomo moderno, per di
più, ha aggiunto agli inevitabili disastri naturali, come quello
che ha devastato il Sud- Est asiatico, quelli dovuti alla sua
assurda violenza e colossale stoltezza: le bombe nucleari che
hanno esordito sulla inerme popolazione civile di Hiroshima e
Nagasaki per poi continuare a seminare devastazione nei paradisi
dell’Oceania. E non c’è tanto da illudersi: vi saranno
cataclismi prossimi venturi: distruzione delle foreste pluviali,
inquinamento dei fiumi, dei laghi, degli oceani, dell’atmosfera,
scioglimento dei ghiacci artici e antartici, deviazione della
Corrente del Golfo… Da tempo gli scienziati lanciano l’allarme (anche noi, più volte, abbiamo riportato i loro richiami che
nessuno ascolta). Si preferisce studiare come costruire l’arca,
invece che evitare il diluvio, cioè, in termini terra terra,
come tappare il buco, piuttosto che risalire all’origine che
l’ha provocato.
Chissà, forse è più semplice dire che la natura è vendicativa.
Natura: come?
Madre natura, natura matrigna, indifferente e crudele. Da
Lucrezio, da Voltaire a Leopardi, a Pascoli, fino ad un
contemporaneo pensiero ecologico- panteista, il rapporto con
l’ambiente che ci circonda, il problema delle sue forze
incontrollate, del destino, del male, riceve risposte diverse,
spesso desolate o impegnate a convincere che le catastrofi
naturali reggono il marchio rovinoso dell’uomo.
Per la Chiesa,
invece, la natura non è né madre, né matrigna, ma segnata dal
peccato e dalla caduta, corrotta: si ribella all’uomo come
l’uomo si è ribellato a Dio. E oggi, come ai tempi di Plinio il
Giovane, con l’eruzione del Vesuvio e la distruzione di Pompei
ed Ercolano, la reazione è la stessa. L’uomo si risveglia
bruscamente e scopre di vivere sull’orlo di un baratro, su una
terra che d’un tratto può aprirsi, scuotersi, dilaniarsi e
inghiottire ogni forma di vita. Cosa pensare? Secondo un
ecologismo esasperato, che tende a incarnarsi in una sorta di
panteismo religioso, la terra (l’antica Gea) è Madre, la grande
Madre, perfetta e buona; se accadono disastri e cataclismi, ciò
e dovuto all’arroganza tecnologica umana, introdotta dalla
civiltà, che tutto distorce, inquina, sovverte. La terra è solo
vittima di tale violenza. E molti leggono in simili disastri un
monito, cioè quello di non dimenticare la potenza della natura,
il suo terribile potere.
Ecologia: divergenze e
convergenze
Ahi, il dente che duole. Bisogna che ancora una volta si diano
linee chiare in questo campo immerso e sommerso della scienza
che la maggior parte dell’umanità vuole ignorare.
Il problema ecologico si può considerare sotto due aspetti: lo
studio della situazione ambientale del nostro pianeta, il
degrado ecologico a cui vanno incontro, le sue cause, gli
interventi che bisogna porre in atto sia per non aggravarlo
ulteriormente, sia per cercare di migliorare la situazione,
l’incidenza economica e sociale di tali interventi, le autorità
che devono realizzarli( non trascurando l’ideologia o le
ideologie che sono alla base dei movimenti ecologici,
ambientalisti e «verdi»).
Il secondo riguarda le religioni e per noi europei, in modo
specifico, il cristianesimo.
L’ideologia ecologista nei suoi tratti essenziali scorrendo le
numerose opere pubblicate di cui è impossibile proporre un
elenco, postula, come assoluta «priorità», un rapporto diverso
tra uomo e natura, tra uomo e ambiente , investendo direttamente
il modello di produzione e di vita delle società
industrializzate. E’ in realtà una ideologia propriamente
europea e americana, poiché è in Europa e nell’America del Nord
che l’industrialismo è maggiormente sviluppato e ha provocato i
guasti maggiori all’ambiente.
Riduttivamente si può dire che il movimento ecologista tende a
porsi, nel dibattito sullo sviluppo, sia in contrapposizione con
lo schema neo-liberista, proprio del capitalismo avanzato, sia
in contrapposizione con lo statalismo pianificatore marxista,
poiché insiste sul decentramento delle decisioni e sulla
partecipazione.
In realtà, quello che caratterizza l’ecologismo
nelle sue varie tendenze e sfumature è la necessità di
realizzare un rapporto «nuovo» tra l’uomo e la natura. Rapporto
nuovo, che è di natura epocale, nel senso che non può consistere
nell’apportare alcuni correttivi all’attuale sistema di
produzione, nell’imporre maggiori vincoli , nell’aumentare le
pene e i controlli per gli inquinatori. Si tratta di apportare
cambiamenti profondi e radicali.
Anzitutto, un cambiamento culturale, che metta in discussione
sia l’industrialismo, il quale privilegia sopra ogni altra cosa
la produzione della maggiore quantità di beni materiali, sia la
convinzione che il benessere consista nel consumo più grande
possibile di beni, anche se ciò avviene a danno di quei beni che
assicurano una migliore qualità della vita: un ambiente più sano
e più pulito, la minore congestione del traffico, la diminuzione
del rumore e così via.
Presa di coscienza dei «limiti
dello sviluppo»
Al cambiamento culturale, appartiene la presa di coscienza dei
«limiti dello sviluppo», cioè dei «limiti» che alla crescita
indefinita della produzione dei beni pongono sia il fatto che le
risorse energetiche non sono inesauribili, sia quello che
l’ambiente non può sopportare una tale crescita senza esserne
danneggiato gravemente. Il cambiamento culturale richiesto
dall’ecologismo esige che la categoria della «quantità» venga
sostituita dalla categoria della «qualità» e che alla categoria
della «crescita» indefinita sia sostituita quella del «limite
dello sviluppo», ricorrendo alle forme di energia rinnovabili e
non inquinanti (energia solare, eolica, geotermica, marittima…)
e diminuendo il consumo di energie non rinnovabili e altamente
inquinanti, come il petrolio e il carbone; abolendo l’impiego in
agricoltura di pesticidi, erbicidi e antiparassitari; riciclando
i rifiuti(ma dove!).
C’è chi prevede che la questione ecologica sarà il top del
secolo XXI (speriamo, altrimenti è inutile stupirsi per i
maremoti, terremoti e così via)
Il secondo aspetto dell’ecologismo è l’essere una miriade di
movimenti, uniti più da un comune sensibilità che da un’idea da
tutti condivisa.
Un sentimento e una speranza che il benessere
sia più legato alla qualità della vita che alla quantità dei
beni che si consumano. In altri termini, il PIL non può essere
il solo indice di misura della crescita, perché, se tiene conto
del valore aggiunto, non considera il valore sottratto, cioè del
costo, in punti di minore qualità della vita e di erosione del
patrimonio naturale, che la crescita del PIL ha comportato. Le
risorse materiali non sono inesauribili; i bisogni sono
insaziabili per la pubblicità che li fa crescere indefinitamente
e ne crea sempre di nuovi. Basta dare un’occhiata ai tanti
gadget che l’industria di telefonini ha prodotto per il Natale
2004!
L’ecologismo a “misura d’uomo” mette in risalto la
contrapposizione tra la «crescita» quantitativa e lo «sviluppo»
qualitativo e, di conseguenza, la necessità di passare dalla
«crescita» allo «sviluppo», riconoscendo che la crescita ha
limiti materiali e fisici (possibile esaurimento di alcune
risorse, aumento dell’inquinamento), ma soprattutto sociali ed
etici.
In altre parole, la crescita deve restare stazionaria,
mantenendo a livelli sufficienti lo stock dei prodotti
(certamente con modalità diverse, perché i Paesi in via di
sviluppo devono avere un periodo di crescita prima di modellarsi
sui ritmi dello stato stazionario), mentre lo «sviluppo», cioè
la qualità della vita, deve migliorare.
Barry Commoner
Scrive Barry Commoner: «Se vogliamo sopravvivere tanto
economicamente oltre che biologicamente, l’industria,
l’agricoltura e i trasporti dovranno soddisfare le ineluttabili
esigenze dell’ecosistema. Ciò comporterà lo sviluppo di nuove
importanti tecnologie che comprenderanno: i sistemi di
restituzione diretta al terreno dei liquami e della spazzatura;
la sostituzione di molte sostanze sintetiche con quelle
naturali; l’inversione dell’attuale tendenza a sottrarre terreno
alla coltivazione e ad aumentare la resa per acro con un’intensa
applicazione di fertilizzanti; la sostituzione di pesticidi
sintetici, il più rapidamente possibile, con mezzi di controllo
biologici; un’azione di scoraggiamento verso le industrie che
consumano energia; lo sviluppo del trasporto via terra che operi
con la massima resa del carburante a basse temperature di
combustione e con il minimo impiego di territorio; un
contenimento sostanzialmente completo dei rifiuti e il ricupero
dei rifiuti dai processi di combustione, fusione e operazioni
chimiche (le ciminiere devono diventare delle mosche bianche);
un riciclo sostanzialmente completo di tutti i prodotti
riutilizzabili come metalli, vetro, carta; una pianificazione
ecologicamente sana nell’amministrazione del terreno, comprese
le aree urbane» (Barry Commoner, Il cerchio da chiudere,
Garzanti, Milano 1972, 263).
F. Capra
F. Capra, professore di fisica a Berkeley, che ha avuto tanto
successo anche nel movimento spirituale della New Age,
attribuisce l’attuale crisi ecologica al prevalere, nella
scienza, della visione meccanicistica del mondo di Cartesio e di
Newton: personalmente egli si orienta verso il Tao, che non
riduce il mondo ad un insieme di oggetti esterni all’uomo,
composti di particelle fondamentali (gli atomi), ma considera la
Terra come un organismo vivente e non distingue l’uomo dal mondo
fisico (F. Capra, Il punto di svolta, Feltrinelli, Milano 1984).
La visione olistica (cioè complessiva, globale, organica, che
pone l’accento più sul Tutto che sulle parti) di F.Capra è
comune all’insieme dell’ecologismo fondamentalista, che,
infatti, considera la terra come un unico organismo vivente, del
quale fanno parte gli esseri viventi, compreso l’uomo. Questi
non si distingue dagli altri, come invece avviene nella visione
antropocentrica( che è quella che ha provocato più disastri,
ponendo l’uomo al centro, quindi…potere, sfruttamento e così
via), propria del cristianesimo. In realtà, per l’ecologismo
fondamentalista al centro non sta l’uomo, ma la vita, la
biosfera. Nella sua forma propria – il biocentrismo - esso
riconosce all’interno ecosistema e alle sue componenti un valore
in sé, oggettivo e quindi dei «diritti» che vanno rispettati
incondizionatamente, a prescindere dall’uomo e dai suoi
interessi. Esso è la norma della morale, per cui «una cosa è
giusta quando tende a preservare l’integrità e la bellezza della
comunità bioetica nel suo complesso (= tutti gli esseri viventi
e il loro habitat). Una cosa è sbagliata quando manifesta la
tendenza contraria» (A. Leopold).
Di fronte all’ecologismo
come si pone il cristianesimo? -
Per quanto riguarda i valori che l’ecologismo difende : rispetto
della natura e rifiuto del suo sfruttamento selvaggio e
irrazionale, prevalenza della «qualità» della vita sulla
«quantità» dei beni di consumo e quindi condanna del consumismo
spinto fino allo spreco e alla dilapidazione delle risorse, esse
sono considerate esigenze propriamente «cristiane».
Il cristianesimo infatti considera la creazione come una cosa di
Dio: della quale, resta il Signore, cosicché l’uomo non ne
diviene mai il padrone assoluto.
Essa non ha solo un valore economico e utilitario, ma anche uno
simbolico, religioso ed estetico: è fatta, certo, perché l’uomo
se ne serva per la sua vita e per le sue esigenze; ma è creata
anche perché, contemplandola, si elevi a Dio, e nella sua
bellezza scorga un raggio della sua infinita bellezza..
Offendere la bellezza e l’integrità della creazione è offendere
Dio che di tale bellezza e integrità è l’autore e il custode.
Va ricordato, infine, che il cristianesimo propone uno stile di
vita non consumistica e sprecone, ma semplice: «Quando abbiamo
di che mangiare e di che coprirci, contentiamoci di questo» (1
Tm 6,8).
Già, ma chi se lo ricorda???
E su quest’onda, non assassina che accenniamo al contrasto sui
alcuni punti tra ecologismo e cristianesimo, difficilmente
sanabili Il primo riguarda la concezione della natura che alcune
forme di ecologismo non solo mitizzano, ma divinizzano, tornando
così a forme di paganesimo, oppure ispirandosi a talune
religioni e filosofie orientali, come il taoismo. Per il
cristianesimo, la natura è creatura di Dio ma non è divina.
Infatti, l’atto della creazione pone una distanza infinita e
invalicabile tra Dio e la sua opera: essa riceve la sua
esistenza da Dio, ma non è né una sua emanazione né una sua
presenza. Partendo dalla contemplazione della natura, l’uomo può
salire a Dio, ma Dio non è in essa: la trascende infinitamente.
Il secondo punto di contrasto tra ecologismo e cristianesimo sta
nel fatto che taluni presentano l’ecologismo come un messaggio
messianico di salvezza, facendone in tal modo una «religione
secolare», capace di salvare l’uomo dalla distruzione a cui la
sofisticata tecnologia esasperata dei nostri giorni lo condanna.
Per il cristianesimo la «salvezza» è di ordine religioso e chi
porta e dà la salvezza, liberando l’uomo dal male e dalla morte
facendolo partecipare alla vita di Dio è Gesù Cristo. Perciò, il
cristiano approva, appoggia e incoraggia le proposte avanzate
dagli ecologisti per evitare il disastro ecologico e migliorare
la condizione dell’ambiente, nella misura in cui non sono
utopiche, irrealizzabili oppure tali da impedire il giusto e
necessario sviluppo (infatti, il cristiano rifiuta di
demonizzare la tecnica e lo sforzo umano per raggiungere
migliori condizioni di vita).
Il terzo – e più grave – punto di contrasto tra ecologismo e
cristianesimo sta nel posto che l’uomo occupa nella natura.
L’ecologismo è biocentrico, nel senso che l’uomo fa parte della
natura ed è un vivente alla pari con gli altri viventi, con gli
stessi diritti: è abolito, quindi, ogni dualismo tra uomo e
natura. Perciò, se si parla di diritti dell’uomo, si deve anche
parlare di diritti degli animali, ai quali non possono essere
inflitte sofferenze, perché l’uomo ne ricavi benefici per la sua
salute. Il cristianesimo, invece, è antropocentrico, nel senso
che pone l’uomo al «centro» e al «vertice» della creazione.
L’uomo( per fortuna mai la donna!) appartiene alla natura sotto
l’aspetto biologico, ma si distacca da essa per quello
spirituale. Egli, infatti, è un essere non puramente materiale,
come gli altri esseri viventi, ma è spirituale, dotato di
coscienza, intelligenza e libertà( quando li usa) In lui lo
spirito si incarna nella materia e, perciò, per un verso è
immerso nella natura materiale, ma, per un altro , emerge da
essa in quanto spirito. Ha un carattere che gli è proprio e che
non si può attribuire a nessun altro essere vivente. L’uomo è
unico e di lui Dio conosce il nome. Ma, essendo persona (così si
accontentano anche le donne) è per ciò stesso soggetto di
diritti fondamentali e inalienabili. Solo, quindi, in
riferimento all’uomo/donna in quanto «persona» si può parlare di
diritti.
Gli animali, non essendo persone, non possono essere soggetti di
diritti. In quanto creature di Dio devono essere trattati con
ragionevolezza e bontà, non sottoposti a sofferenze inutili e
irragionevoli. Così un cristiano potrebbe ragionevolmente essere
contro la caccia, quando questa sia non un a necessità di vita,
ma solo una forma di svago (come non ricordare che il referendum
sulla caccia fallì?). Tuttavia gli animali sono donati da Dio
all’uomo: «Quanto striscia sul suolo e tutti i pesci del mare
sono messi in vostro potere. Quanto si muove e ha vita vi
servirà di cibo: vi do tutto questo» (Gn 9, 2-3). Ciò significa
che tutta la creazione è per l’uomo: in quanto essere materiale,
la creazione gli è donata perché se ne serva per la vita e le
sue esigenze materiali; ma in quanto essere spirituale, le
creature gli sono donate per la sua crescita spirituale e, in
particolare, per lodare e glorificare Dio. Infatti, secondo la
fede, la creazione esiste per la lode e la gloria di Dio e le
creature raggiungono il fine per cui sono create quando lo
lodano e lo glorificano. Ora, le creature inanimate e animate
proclamano con l’ordine meraviglioso della loro struttura e con
lo splendore della bellezza di cui sono dotate la «gloria di
Dio», cioè la sua sapienza e la sua bellezza: «I cieli
proclamano la gloria di Dio e l’opera delle sue mani annunzia il
firmamento» (Sal 18,2). Ma non hanno la «voce» per lodare Dio.
E’ l’uomo(qualche volta, anche la donna), in quanto essere
spirituale, e dunque cosciente e intelligente, che si fa «voce»
della creazione.
Ma non è sempre così: questo è il guaio.
E un altro grossissimo guaio è nel trattare, tanto per essere
nell’amara realtà odierna, con i popoli orientali dove esiste
una forma di “panteismo” spirituale tra loro e “dio”, dove il
cristianesimo non attecchisce (tanto che l’India ha rifiutato
gli “aiuti” del mondo occidentale, proprio per l’orgogliosa
convinzione che tutto è “Atman”, cioé l’Assoluto che così vuole e
così sia), se non in quelle forme sporadiche di solidarietà
umanitaria.
Istintivamente, sono portata ad un’amara considerazione che
avevo proposto ad Avvenire nel suo Forum sul maremoto e che,
ovviamente, è stata eliminata come un insetto molesto: bisogna,
una volta per tutte, non continuare a porre al centro del cosmo
l’uomo che “domina la terra”, ma un essere umano che rispetta
ogni forma di vita, che non si creda, soprattutto, il re. Tanto,
prima o poi, la natura lo punisce.
Maria De Falco Marotta
GdS 10 I 2005 -
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