Pasqua, il sapore della salvezza
Un
trionfo di giallo
Aprendo il finestrone della veranda, appena qualche giorno fa, i
miei occhi sono stati colpiti da un trionfo di giallo.
Guardando meglio, il cuore mi si è strizzato per la gioia.
L’albero di mimosa, alto, maestoso, era tutto fiorito.
Quasi accecante, nella sua bellezza di luce che si spinge verso il
cielo.
Ho pensato che la mimosa più che la palma potrebbe rappresentare
la Pasqua del Signore che ci apprestiamo a celebrare, sia pure tra
minacce terroristiche di ogni genere che vorrebbero distruggere la
nostra civiltà per “ricostituire l’antica Costantinopoli” (Cfr:
quotidiani di fine marzo, primi di aprile 2004).
Naturalmente ciò farebbe inorridire la Chiesa e, forse, potrebbe
far credere che il mio cervello vaneggi.
Però ciò indicherebbe, ancora una volta quello che da secoli è
scritto nei libri e che cioè la gerarchia ecclesiastica non si
discosta troppo dal modo di fare delle altre strutture religiose
sempre indicate come le peggiori che vedono nel sesso femminile
qualcosa di diabolico, da evitare (Cfr. Convegno Le Donne di Dio, Poggibonsi, 5- 6 marzo 2004), però anche da amare se vogliono
onorare Dio.
LLe
donne sono essenzialmente empatiche
Il tempo cammina, vola e le donne, ieri come oggi e domani, sono
essenzialmente empatiche, cioè strutturate in modo da entrare in
risonanza emotiva con quello delle altre persone, di essere capaci
alla comunicazione, alle relazioni interpersonali ( Cfr.: Simon
Baron-Cohen, Questione di cervello. La differenza essenziale tra
uomo e donna, Mondadori 2004), tant’è che Gesù ha scelto proprio
una donna per annunciare la sua risurrezione: quella Maria di
Magdala, risanata da Lui che lo seguiva e lo serviva con grande
affetto (Lc. 8,3).
Infatti, il giorno di Pasqua Gesù apparve a lei e la mandò ad
annunciare la sua risurrezione ai discepoli (Mc. 16,9; Gv
20,11-18).
Apparizione di Gesù alla Maddalena
APPARIZIONE DI GESU' ALLA MADDALENA (Giovanni 20, 1-18; Marco 16,
9-11).
Il mattino del primo giorno della settimana Maria Maddalena si
reca al sepolcro di Gesù. Colà giunta «vide la pietra tolta dal
sepolcro». Con uno sguardo gettato all'interno, si rende conto
che la salma non è più lì. Torna subito in città in fretta
lasciando le altre donne sul posto, per annunziare il fatto a «Simon Pietro e all'altro discepolo, che Gesù amava» con queste
parole: «Han tolto il Signore dal sepolcro, e non sappiamo dove
l'abbiano posto». Questi immediatamente si portano di corsa alla
tomba.
«Correvano ambedue assieme; ma l'altro discepolo corse innanzi più
presto di Pietro, e giunse primo al sepolcro; e chinatosi, vide i
lini giacenti, ma non entrò» Quando giunse Simon Pietro, entrò
all'interno del sepolcro, passando attraverso la bassa
imboccatura d'entrata e «scorse i lini giacenti», ma anche «il
sudario che era stato sul capo di Gesù, non giacente coi lini, ma
rivoltato in un luogo a parte».
Questo fatto del sudario fece sì che entrasse anche Giovanni che
«vide e credette».
Ma dovette credere anche Pietro, perché subito l'evangelista dice:
«perché non avevano ancora capito la Scrittura, secondo la quale
egli doveva risuscitare dai morti». Il riferimento è fatto a
quella testimonianza che si trova sottolineata in 1 Corinzi 15, 4:
«(Gesù) risuscitò il terzo giorno secondo le Scritture» e cioè al
Salmo 16, 10: «tu non lascerai l'anima mia nell'Ade, né
permetterai che il tuo Santo vegga la corruzione» (cfr. 2, 27); ad
Osea 6, 2: «In due giorni ci risarà la vita; il terzo giorno ci
rimetterà in piedi, e noi vivremo alla sua presenza»; e a Giona 2,
1: «E l'Eterno fece venire un gran pesce per inghiottire Giona; e
Giona fu nel ventre del pesce tre giorni e tre notti». Quindi i
due «discepoli se ne tornarono a casa».
Giunta di nuovo al sepolcro «Maria se ne stava di fuori a
piangere», quando «chinandosi per guardare dentro al sepolcro,
vide due angeli vestiti di bianco, seduti uno a capo e l'altro ai
piedi, là dove era giaciuto il corpo di Gesù».
I due angeli le chiedono il motivo delle sue lacrime: «Donna
perché piangi? ed ella risponde: Perché han tolto il mio Signore e
non so dove l'abbian posto». Ma, volgendosi d'un tratto dietro «vide Gesù in piedi, ma non sapeva che era Gesù», il quale le
chiese: «Donna perché piangi? Chi cerchi?».
Maria aveva scambiato Gesù per il giardiniere, il quale a parer
suo, doveva aver trafugato il corpo di Gesù, insofferente di
saperlo nella tomba.
Così Maria rispose al supposto giardiniere od ortolano: «Signore,
se tu l'hai portato via, dimmi dove l'hai posto, e io lo prenderò».
Allora Gesù la chiamò per nome: «Maria!». Chiamandola così per
nome col timbro di voce che è a lei usuale, Gesù le rivela, a
guisa di lampo, chi sia colui che le parla. Lo riconosce e,
volgendosi nuovamente a lui, lo saluta col titolo di «Rabbunì»,
che nell'aramaico palestinese (e il film di Mel Gibson ora in
circolazione, ci renderà familiare tale linguaggio) antico vuol
dire "Maestro mio". Al colmo della gioia, non si accontenta del
semplice saluto "Maestro mio!", ma gli si prostra innanzi per
abbracciargli e baciargli i piedi e le ginocchia. A lei Gesù dà
l'incarico di andare dai fratelli e recar loro questo annunzio: «Va' dai miei fratelli e dì loro: Io salgo al Padre mio e Padre
vostro, all'Iddio mio e all'Iddio vostro».
L'evangelista conclude informando che Maria Maddalena ha eseguito
l'incarico affidatole: «Maria Maddalena andò ad annunziare ai
discepoli che aveva veduto il Signore, e che egli le aveva detto
queste cose»
Allora?
La Pasqua ci doni...
La Pasqua cristiana che stiamo celebrando ci doni di rinnovare la
nostra fede in Gesù principio di salvezza e di vita nuova per noi
e per il mondo. Guardiamo al Crocifisso risorto con gli occhi
pieni di fede e di amore del vescovo Melitone di Sardi in Asia
Minore che nei primi tempi della Chiesa così fa parlare Cristo
Signore:
"Sono io che ho distrutto la morte,
che ho trionfato del nemico,
che ho rapito l’uomo alla sommità dei cieli.
Orsù, dunque, venite voi tutte stirpi umane
immerse nei peccati.
Ricevete la remissione dei peccati.
Sono io, infatti, la vostra remissione;
sono io la Pasqua della salvezza,
io l’Agnello immolato per voi,
io il vostro riscatto,
io la vostra vita,
io la vostra risurrezione,
io la vostra luce,
io la vostra salvezza,
io il vostro re.
Io vi mostrerò il Padre".
(Melitone di Sardi, Sulla Pasqua, 102-103).
Insieme a Lui, balliamo per la nostra salvezza
Dappertutto il mondo, dopo anni dopo mesi, danza.
Ondate di guerra, ondate di ballo.
C'è proprio molto rumore.
Ed io, penso
Al re David che danzava davanti all'Arca.
Perché se ci sono molti santi che non amano danzare,
ce ne sono molti altri che hanno avuto bisogno di danzare,
tanto erano felici di vivere:
Santa Teresa con le sue nacchere,
San Giovanni della Croce con un Bambino Gesù tra le braccia,
e san Francesco, davanti al papa.
Se noi fossimo contenti di te, Signore,
non potremmo resistere
a questo bisogno di danzare che irrompe nel mondo,
e indovineremmo facilmente
quale danza ti piace farci danzare
facendo i passi che la tua Provvidenza ha segnato.
Perché io penso che tu forse ne abbia abbastanza
della gente che, sempre, parla di servirti col piglio da
condottiero,
di conoscerti con aria da professore,
di raggiungerti con regole sportive,
di amarti come si ama in un matrimonio invecchiato.
Un giorno in cui avevi un po' voglia d'altro
hai inventato san Francesco,
e ne hai fatto il tuo giullare.
Lascia che noi inventiamo qualcosa
per essere gente allegra che danza la propria vita con te.
Per essere un buon danzatore, con te come con tutti,
non occorre sapere dove la danza conduce.
Basta seguire,
essere gioioso,
essere leggero,
e soprattutto non essere rigido.
Non occorre chiederti spiegazioni
sui passi che ti piace di segnare.
Bisogna essere come un prolungamento,
vivo ed agile, di te.
E ricevere da te la trasmissione del ritmo che l'orchestra
scandisce.
Non bisogna volere avanzare a tutti i costi,
ma accettare di tornare indietro, di andare di fianco.
Bisogna saper fermarsi e saper scivolare invece di
camminare.
Ma non sarebbero che passi da stupidi
se la musica non ne facesse un'armonia.
Ma noi dimentichiamo la musica del tuo Spirito,
e facciamo della nostra vita un esercizio di ginnastica:
dimentichiamo che fra le tue braccia la vita è danza,
che la tua Santa Volontà
è di una inconcepibile fantasia,
e che non c'è monotonia e noia
se non per le anime vecchie,
tappezzeria
nel ballo di gioia che è il tuo amore.
Signore, vieni ad invitarci.
Siamo pronti a danzarti questa corsa che dobbiamo fare,
questi conti, il pranzo da preparare, questa veglia in
cui avremo sonno.
Siamo pronti a danzarti la danza del lavoro,
quella del caldo, e quella del freddo, più tardi.
Se certe melodie sono spesso in minore, non ti diremo
che sono tristi;
Se altre ci fanno un poco ansimare, non ti diremo
che sono logoranti.
E se qualcuno per strada ci urta, gli sorrideremo:
anche questo è danza.
Signore, insegnaci il posto che tiene, nel romanzo eterno
avviato fra te e noi,
il ballo della nostra obbedienza.
Rivelaci la grande orchestra dei tuoi disegni:
in essa, quel che tu permetti
dà suoni strani
nella serenità di quel che tu vuoi.
Insegnaci a indossare ogni giorno
la nostra condizione umana
come un vestito da ballo, che ci farà amare di te
tutti i particolari. Come indispensabili gioielli.
Facci vivere la nostra vita,
non come un giuoco di scacchi dove tutto è calcolato,
non come una partita dove tutto è difficile,
non come un teorema che ci rompa il capo,
ma come una festa senza fine dove il tuo incontro si
rinnovella,
come un ballo,
come una danza,
fra le braccia della tua grazia,
nella musica che riempie l'universo d'amore.
Signore, vieni ad invitarci (Madelaine Delbrel)
Maria De Falco
Marotta
GdS 10 IV 04 -
www.gazzettadisondrio.it