Giorno della memoria. “Mettetemi in un mondo dove non c’è la Shoah”(Cfr.: La stampa, p.28)
Da parecchi anni l’Italia il 27 gennaio commemora l’Olocausto, il Giorno della memoria, 14 anni fa perché in questa data le Forze Alleate liberarono Auschwitz dai tedeschi. Al di là di quel cancello, oltre la scritta «Arbeit macht frei» (Il lavoro rende liberi), apparve l’inferno. E il mondo vide allora per la prima volta da vicino quel che era successo, conobbe lo sterminio nella sua realtà. Il Giorno della Memoria non è una mobilitazione collettiva per una solidarietà ormai inutile. È piuttosto, un atto di riconoscimento di questa storia: come se tutti, quest’oggi, ci affacciassimo ai cancelli di Auschwitz, per riconoscervi il male che è stato. Auschwitz è il nome tedesco di Oswiecin, una cittadina situata nel sud della Polonia. Qui, a partire dalla metà del 1940, funzionò il più grande campo di sterminio della inumana «macchina» tedesca denominata «soluzione finale del problema ebraico». Auschwitz era una metropoli della morte, composta da diversi campi - come Birkenau e Monowitz - ed estesa per chilometri. C’erano camere a gas e forni crematori, ma anche baracche dove i prigionieri lavoravano e soffrivano prima di venire avviati alla morte. Gli ebrei arrivavano in treni merci e, fatti scendere sulla cosiddetta «Judenrampe» (la rampa dei giudei) subivano una immediata selezione, che li portava quasi tutti direttamente alle «docce» (così i nazisti chiamavano le camere a gas). Solo ad Auschwitz sono stati uccisi quasi un milione e mezzo di ebrei. Con Shoah- una parola ebraica che significa «catastrofe», e ha sostituito il termine «olocausto» usato in precedenza per definire lo sterminio nazista, perché con il suo richiamo al sacrificio biblico, esso dava un senso all’ evento e alla morte, invece insensata e incomprensibile, di sei milioni di persone. La Shoah è il frutto di un progetto d’eliminazione di massa che non ha precedenti, né paralleli: nel gennaio del 1942 la conferenza di Wansee approva il piano di «soluzione finale» del cosiddetto problema ebraico, che prevede l’estinzione di questo popolo dalla faccia della terra. Lo sterminio degli ebrei non ha una motivazione territoriale, non è determinato da ragioni espansionistiche o da una per quanto deviata strategia politica. È deciso sulla base del fatto che il popolo ebraico non merita di vivere. È una forma di razzismo radicale che vuole rendere il mondo «Judenfrei» («ripulito» dagli ebrei). L’odio antisemita è un motivo conduttore del nazismo. La Germania vara nel 1935 a Norimberga una legislazione antiebraica che sancisce l’emarginazione. Tre anni dopo l’Italia approva anch’essa un complesso sistema di «difesa della razza», rinchiudendo gli ebrei entro un rigido sistema di esclusione e separazione dal resto del paese. Ma tale storia ha dei millenari precedenti. Prima dell’Emancipazione, ottenuta in Europa nella seconda metà dell’Ottocento, gli ebrei erano vissuti per millenni come una minoranza appena tollerata, non di rado perseguitata e cacciata, e sempre relegata entro i ghetti. Tanto nel mondo cristiano quanto sotto l’Islam. Visti con diffidenza e odio per la loro fede tenace (il loro guaio principale fu che non si sono mai voluti assimilare alle culture degli altri popoli, per rimanere fedeli all’unico Dio di Israele) , perciò hanno sempre rappresentato il «diverso», la presenza estranea. Anche se da millenni vivono in mezzo a noi e si sentono europei. Naturalmente la Shoah è un evento unico, perché mai, nella storia, s’è visto progettare a tavolino, con totale freddezza e determinazione, lo sterminio di un popolo. Studiando le possibili forme di eliminazione, le formule dei gas più letali ed «efficaci», allestendo i ghetti nelle città occupate, costruendo i campi, studiando una complessa logistica nei trasporti, e quello che- purtroppo- tutti conosciamo. La soluzione finale non è stata solo un atto di inaudita violenza, ma soprattutto un progetto collettivo, un sistema di morte. L’umanità ha capito l’orrore perpetrato agli ebrei da parte degli stessi fratelli e con l’istituzione de Il Giorno della Memoria non vuole misconoscere gli altri genocidi di cui l’umanità è stata capace, ma é una presa di coscienza collettiva del fatto che l’uomo si è reso capace di questo. Non è la pietà per i morti ad animarlo, ma la consapevolezza di quel che è accaduto. Che non deve più accadere, ma che in un passato ancora molto vicino a noi, nella civile e illuminata Europa, milioni di persone hanno permesso che accadesse, purtroppo.
Allora, perché un titolo così estraniante, che proprio nulla ha a che vedere con la Shoà? Me lo sono chiesto più volte nei giorni scorsi, da quando su La Stampa del 16 gennaio 2014, è stato pubblicato un articolo dal titolo “Contro il Giorno della memoria” di Elena Loewenthal, in cui si parla in modo ambiguo e poco comprensibile di quanto all’autrice farebbe piacere non parlare più del Giorno della Memoria, ma addirittura di rinascere in un mondo dove non c’è più la Shoà. Cancellare tutto per rimanere senza più nulla? Ma non si ripete dai più alti studiosi che le radici, la memoria va conservata per crescere più sani e sicuri? Sarebbe come se i cristiani volessero cancellare e vivere senza la Memoria di Cristo, gli islamici senza Allah, i buddhisti senza Buddha, gli indù senza Visnù e le altre divinità, gli animisti senza i loro Totem e così via… Che sciocchezze si vanno scrivendo pur di far parlare di sé ! Purtroppo, è anche vero che in certe date memorabili si scrive e si produce di tutto. Ma l’oculatezza e la responsabilità di cui ancora sono dotate molte persone, permette di sorridere di fronte a certe provocazioni e di guardare e incuriosirsi su quanto hanno il coraggio di arricchire la nostra vita con la loro fantasia. Anche il Giorno della memoria, potrà essere non un luogo di pianto e disperazione, ma un’attesa del mondo buono che verrà.
Maria de falco Marotta
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A Chiavenna: Aldo Vitale
In occasione della “Giornata della Memoria”, il 27 gennaio alle ore 11.00 in Piazza Don Bormetti a Chiavenna, si terrà una breve cerimonia per l’intitolazione del parco giochi, comunemente indicato “di Via Picchi”, al bambino di religione ebraica Aldo Vitale, che nel 1943 - a soli 11 anni d’età - è stato arrestato a Chiavenna con altri componenti della sua famiglia e deportato nel campo di sterminio di Auschwitz, dal quale non ha fatto più ritorno.
Come da deliberazione di Giunta Comunale n. 166/2013, il parco giochi verrà intitolato “Parco giochi Aldo Vitale, vittima della Shoah”, a ricordo di tutte le vittime dei campi di sterminio.
Alla cerimonia sono invitati a partecipare tutti i cittadini che vorranno unirsi alla commemorazione delle vittime dello sterminio del popolo ebraico durante il Secondo Conflitto Mondiale. (Maurizio De Pedrini Sindaco)
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A Sondrio eventi per non dimenticare
«È una tradizione del Comune di Sondrio conferire al Giorno della Memoria un significato particolare di riflessione civile, dare valore a un momento voluto per ricordare i progetti di genocidio che purtroppo hanno accompagnato tutta la nostra storia. È per questo motivo che quest'anno, nel giorno dedicato alle vittime dello Shoah, oltre a ricordare l'Olocausto vogliamo allargare lo sguardo ad altri drammatici genocidi. Ricordiamo, per non dimenticare, quello che è stato il genocidio prototipale sotto ogni drammatico punto di vista: il genocidio Armeno. Ne parleremo in diversi momenti e grazie all'intervento di due intellettuali armene, Antonia Arslan e Sonya Orfalian, che con il loro lavoro rivendicano il diritto alla memoria» spiega Marina Cotelli, assessore comunale alla Cultura, durante la conferenza stampa che si è tenuta oggi, mercoledì 22 gennaio, per descrivere gli appuntamenti in programma per lunedì 27 gennaio.
Anche quest'anno, dunque, il Comune di Sondrio, in collaborazione con le Parrocchie di Sondrio e con l'Istituto sondriese per la storia della resistenza e dell'età contemporanea, onorerà il Giorno della Memoria con appuntamenti e incontri pubblici.
- Alle 10.30 al Parco delle Rimembranza (via Cesare Battisti), parco della memoria a tutti i caduti delle guerre, vicino al quale è stata deposta la lapide dedicata agli oltre 60 ebrei che vennero catturati in provincia di Sondrio, si terrà la cerimonia pubblica.
- Alle 17.30 al Cinema Excelsior si terrà l'incontro pubblico con le scrittrici Antonia Arslan e Sonya Orfalian sul tema “Genocidi dimenticati: l'olocausto del popolo armeno”. Due intellettuali armene che con il loro lavoro rivendicano il diritto alla memoria e a poter piangere le vittime di un genocidio spesso dimenticato.
- Infine alle 21.00, alla Sala Polifunzionale Don Vittorio Chiari (ex Don Bosco) sarà in scena lo spettacolo teatrale “Una cena armena” di Paola Ponti, regia di Danilo Nigrelli e con Danilo Nigrelli e Rosa Diletta Rossi. Lo spettacolo, che prende spunto dal lavoro di Sonya Orfalian, parla del drammatico e dimenticato genocidio armeno, perché, come afferma la descrizione stessa “I nazisti prima di fuggire dai campi di sterminio distrussero i forni crematori, abbatterono i famigerati camini: l’ultimo ipocrita tentativo di negare; gli aguzzini del popolo armeno hanno fatto di meglio, li hanno massacrati facendoli camminare senza cibo né acqua nel deserto, una specie di negazione preventiva: nessuno ha visto, nessuno sa, nessuno saprà... non è mai successo. E tutto è rimasto vacuo, indefinibile, non credibile”.
«Al doveroso ricordo dello Shoah, si unisce quindi la memoria di altri genocidi, in particolare il primo grande genocidio del Novecento. Per non dimenticare ciò che è stato e guardare a ciò che avviene» conclude l'Assessore Cotelli.
ANTONIA ARSLAN. Scrittrice e saggista italiana di origine armena, é autrice di saggi sulla narrativa popolare e d’appendice e sulla galassia delle scrittrici italiane. Attraverso l’opera del grande poeta Daniel Varujan, ha dato voce alla sua identità armena. Ha curato un libretto divulgativo sul genocidio armeno (Metz Yeghèrn, Il genocidio degli Armeni di Claude Mutafian) e una raccolta di testimonianze di sopravvissuti rifugiatisi in Italia (Hushèr. La memoria. Voci italiane di sopravvissuti armeni).
Nel 2004 ha scritto il suo primo romanzo, La masseria delle allodole, che ha vinto il Premio Stresa di narrativa e il Premio Campiello e nel 2007 è uscito nelle sale il film tratto dall’omonimo romanzo e diretto dai fratelli Taviani. La strada di Smirne è del 2009. Nel 2010, dopo una drammatica esperienza di malattia e coma, scrive Ishtar 2. Cronache dal mio risveglio. Nel 2010 esce Il cortile dei girasoli parlanti. Il libro di Mush, sulla strage degli armeni di quella valle avvenuta nel 1915, è pubblicato nel 2012.
SONYA ORFALIAN. Figlia della diaspora armena, è nata in Libia dove ha trascorso la sua infanzia come rifugiata. All’età di undici anni, dopo il colpo di stato di Gheddafi, ha trovato asilo a Roma. Artista, scrittrice e traduttrice, ha dedicato una grande parte del suo impegno e della sua ricerca al ricchissimo patrimonio culturale e alle tradizioni antiche della sua gente. Attualmente vive e lavora a Roma. Nel 2009 ha pubblicato La cucina d’Armenia. Viaggio nella cultura culinaria di un popolo.