“In hoc signo vinces”: la via della speranza nel canto di Spero Bongiolatti

(Nello Colombo)   “In hoc signo vinces”.  Quello della vita sulla morte nel segno della speranza. Nel sigillo di Spero Bongiolatti che si segna nella croce di Papa Woytila, è uscito l’ultimo album, “La nostra terra”, del tenore di razza che porta la Valtellina in ogni angolo del mondo. Bagnato nel fonte battesimale dei “nuovi presbiteri” che innalzano al cielo la loro eccelsa preghiera, unto dal crisma delle parole salvifiche del Santo Pontefice romano, Bongiolatti, folgorato dallo Spirito che effonde la sua luce sugli eletti di un Eden terreno, ha forgiato nelle emozioni più pure il suo canto ispirato al disegno poetico e profetico del Papa polacco. 
Era l’8 aprile del 2005. Venerdì di Passione a Piazza San Pietro per il mondo intero che piangeva il suo mite Pastore, quell’umile “Signore del Bene” che aveva retto con smisurato coraggio le sorti della Chiesa col mandato apostolico di Simone “Il Pescatore”. “Consummatum est”. Quel giorno, nel silenzio assordante della commozione covata nei cuori, un vento improvviso, quasi un estremo anelito di vita, soffiò imperioso sull’oscura falce della gelida Signora della Notte turbinando tra le pagine eterne del Vangelo che sembrarono vibrare prima di serrarsi di colpo. L’estremo saluto di Papa Woytila ai suoi figli diletti.  Il prode nocchiero della Cristianità era sceso dallo scranno di Pietro per camminare in mezzo agli uomini come umile servo nella Vigna del Signore lasciando il suo canto d’amore e dolore.  A lui Bongiolatti rivolge l’accorato incanto delle sue melodie purissime, vestite di luce, sfoderando una maturità e una pienezza espressiva veramente uniche. “Terra, Terra, Terra, la nostra Terra”, è il refrain che ti rimane appiccicato addosso, inciso nella pelle e nell’anima col suo dilagante fiume di emozione, quell’amore che oltrepassa la morte, un inno a quella terra che ha accolto il nostro primo vagito e a cui, presto o tardi, faremo tutti irreparabilmente ritorno. Un ritorno predestinato alla luce, per chi crede. “Nella tua luce” riflette infatti tutta “la forza e l’immensa poesia, il sorriso che rinfranca e dona tenerezza e umiltà, la sofferenza per amore nel silenzio dei giorni più bui”, l’esempio da seguire nella luce immortale della Santità. Ma è nell’ultimo affido del “Totus tuus” del grande Karol alla Vergine Madre che mai abbandona i suoi figli che Spero traccia la rivelazione dell’umana redenzione che Maria, “La Vergine”, ci lascia presagire “nella favola più dolce e più vera dell’umanità”. Né manca una dolcissima “Ave Maria”, il saluto dell’“Angelo dell’Annuncio” a cui la Madre di Dio rispose col suo “Ecce Ancilla Domini”, magnificata tra le genti perché ha incarnato il Verbo compiendo il disegno voluto dall’alto. “La nostra terra” si rivela allora uno scrigno di perle preziose in un perenne “Hallelujah” della schiera dei cherubini, ed è “Dolce sentire” la pienezza de “La Libertà”, sapendo che infine “L’amore vince sempre”, sempre, perché “la sua luce sorprende e risplende e, mentre il silenzio parla di tutto, il dolore svanisce, e una luce di gioia bussa dentro di te”. Snaturato delle umane fattezze, l’uomo, ammalato di un Dio amorevole e misericordioso che lo bracca nel profondo perché non si perda, si è elevato al cielo attraverso il suo canto trasfigurato che si è fatto preghiera. Ieratico segno di omaggio che Bongiolatti innalza umilmente nella Casa del Padre.
“In hoc signo vinces”: quello della speranza che canta le sue lodi immortali al Dio del creato.  

Nello Colombo
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