BIGNOLI: «IL MIO ROCK SACRO SUL WEB»
Attivo da oltre 20 anni, Roberto Bignoli è il volto della musica cristiana d'Italia nel mondo. Pronto a tour in Australia e Brasile dopo aver toccato fra i tanti Paesi anche Canada, Argentina, Stati Uniti, ha appena pubblicato un brano dedicato a Giovanni Paolo II (Non temere), e sul web si trovano anche i suoi album Ho bisogno di te ed Una voce per la speranza. Ha lanciato da poco in radio il singolo Dulcis Maria, col baritono Diego Bragonzi Bignami e le chitarre di Luigi Schiavone, storico collaboratore di Ruggeri. Con questo pezzo andrà in ottobre a Phoenix (Usa) agli Oscar della canzone cattolica, mentre il 1 settembra sarà a Vicenza al festival Il mondo canta Maria.
Nel tempo lei si è occupato anche di divulgare la nostra musica cristiana. Con quali risultati?
«Quindici anni fa su internet non c'era nulla, ora il mio sito è un riferimento internazionale per notizie e contatti. Manca ancora la capacità di far arrivare al pubblico, che c'è, il "prodotto" disco. I cd non sono nei negozi e spesso neppure nei circoli cattolici».
Quindi rispetto all'America non c'è "industria"?
«Ci sono stati editori che hanno prodotto dischi ma poi si sono fermati: c'è penuria di investimenti. La realtà è fossilizzata, come se si potesse osare solo sulla musica liturgica, sulla musica classica sacra, su progetti colti. Mentre la musica cristiana è anche parlare della vita di oggi, dei problemi: non siamo come gli americani che riportano i versetti della Bibbia nelle canzoni, c'è una cultura diversa. E sembra che per un discografico ciò implichi prodotti più deboli».
Scusi, ma non la urta parlare di "prodotto"?
«Nel momento in cui io vivo della mia arte con sincerità e coerenza, no. Se non guadagno non posso continuare a scrivere. Tutti ci produciamo da soli».
Di questi tempi è più difficile fare arte cristiana?
«Obiettivamente no. Forse dipende da come ci si pone, se si cerca il dialogo o meno. Certo vedo quanto accede nel mondo, ma le dico che se anche dovessero esserci ostacoli nuovi andrò avanti lo stesso».
Andrea Pedrinelli