ARGOMENTI PROPOSTI DA Mario PULIMANTI: 1) LE ORE DELLA NOTTE 2) POVIA ANTIGAY?
1) LE ORE
Lavoro troppo, sono sottopagato e socialmente disadattato. E sono un paranoico ipocondriaco. Se per caso sento un dolorino al braccio, penso di essere sull'orlo dell'infarto anche se il braccio è quello destro. Certi disturbi comportamentali non spariscono così, in un amen. Simonetta e Alessandro sono andati da mia suocera. Gabriele è uscito con gli amici. Accendo la tivvù. C'è un dibattito sulla sette.
Così vengo a sapere che i capi di queste associazioni esercitano un controllo assoluto sugli adepti, che sono tenuti a rinunciare al loro passato. Scelgono preferibilmente individui vulnerabili e giocano sulle loro insicurezze. Cercano in preferenza soggetti solitari e li convincono ad abbandonare gli amici e la famiglia.
Gli adepti cominciano a vedere in loro l'unica fonte di sussistenza mentale. Fare il leader di una setta è molto impegnativo: devono mantenere un controllo ininterrotto sugli adepti, intuire i dissensi e stroncarli sul nascere. Quindi, qualora possano sussistere influenze esterne per strada o in luoghi pubblici, rimangono particolarmente cauti. Nel loro ambiente, al contrario, sono più rilassati. I leader di una setta detengono il potere al cento per cento; sono loro a stabilire come gli affiliati trascorrano ogni minuto del loro tempo. Assegnano loro compiti di ogni genere, anche solo per tenerli impegnati ed evitare che abbiano tempo libero, tempo per pensare. I capi-setta si creano la loro etica, definita esclusivamente in base a ciò che è bene per la setta e per mantenere in vita il culto; leggi e moralità esterne sono irrilevanti. Loro convincono i seguaci che è eticamente giusto fare ciò che loro dicono, o suggeriscono loro di fare. E' perciò pericoloso affidarsi a questa sette organizzate. Ci rimetti troppo: non ti lasciano pensare come vuoi. Ti controllano. So che sembra stupido, ma non mi piace l'idea di predatori che approfittano della vulnerabilità altrui. Sette. Comunque sia, le sette non vanno confuse con le religioni. Religioni. Per molti la religione non ha una posizione centrale nella loro vita. Sì, celebrano Pasqua e Natale, anche se in quei casi i simboli delle feste sono un coniglio e un ometto allegro vestito di rosso. Queste persone preferiscono trasmettere ai figli la propria etica: regole solide e incontrovertibili, comuni quasi a ogni fede e hanno la fastidiosa sensazione che la religiosità portata all'estremo possa essere molto pericolosa. Hanno una filosofia di vita sorprendentemente semplice: non credono nel bene e nel male, tantomeno in Dio e Satana. Per loro, queste sono astrazioni che distraggono dalla realtà.Improvvisamente un rumore mi allontana da queste meditazioni. Riesco a recuperare i popcorn dal forno a microonde un attimo prima che si trasformino in un'arma di distruzione di massa, com'è successo la settimana prima. Bevo un sorso di passito. Vino da meditazione. Mi avvicino la mia piccola pila di quotidiani e settimanali, dando un'occhiata alla foto di Nicole Kidman. Ho comprato un pollo in rosticceria. Ma quando lo guardo, il mio stomaco si rivolta. Lo metto in frigo per domani, preparando al suo posto un gin tonic bello carico. Prendo fiato e ne mando giù un sorso. Mah. Forse per oggi può bastare Il mio stomaco non gradisce nemmeno quello, ma il cocktail mi aiuta a eliminare un po' di tensione. E infatti quando lo termino mi metto a sbadigliare. Incoraggiato da questo fausto presagio, mi dirigo in camera da letto. Mi spoglio, lasciando cadere i vestiti dove capita. Poi mi infilo sotto le coperte e spengo la luce. Sospiro, rassegnato a un'altra notte insonne. Intanto penso. Ricordi, sensazioni, cose così… Non so perché. Collevecchio. Ripenso a un giorno di primavera. Mi trovo nell'impossibilità di distinguere la fantasia dalla realtà. Oltre il Parco della Rimembranza, ai margini del cimitero, il mare delle vette d'albero che ondulavano al vento. La fragile luminosità pomeridiana s'incupiva e rischiarava sugli occhi di mia madre secondo il passaggio delle nuvole. E poi, oltre la linea dei campi, il rumore dei trattori che transitavano cigolando a brevi intervalli. Un altro debolissimo ricordo mi attraversa la memoria, un esile guizzo reminiscente… Erano i tempi di Jimi Hendrix e Janis Joplin. Non vedevo l'ora di andare all'università; per quanto mi riguardava, era lì che la vita diventava davvero emozionante, a differenza del noioso e vecchio liceo.
Sacro Cuore dai salesiani, al ginnasio e Socrate, al liceo. In questi posti mi trattavano ancora come un ragazzino e nessuno si interessava a quello che pensavo del mondo. All'università sono diventato un vero studente. Partecipavo alle manifestazioni di GS e a cose di quel tipo.
Ricordo i miei primi giorni di lavoro.
Neoassunto e infimo nella gerarchia.
Con uno zelo da ultimo arrivato profondevo su quelle antiche pratiche settimane di fatica, e ancora mi stavo arrovellando su quali fossero necessarie e quali superflue quando mi chiamarono dalla direzione e mi dissero che c'era un lavoro importante di un collega in malattia.
Io avrei dovuto sostituirlo, il che comportava la piacevole incombenza di redigere relazioni su prestigiosi istituti di ricerca italiani. No, non devo pensare. Smetto di farlo. Devo avere la mente vuota. E' quello il trucco. Se non avessi niente a cui pensare, non ci sarebbe niente che mi tenga sveglio. Immagino un immenso campo di grano, mosso dal vento, circondato da un alto recinto. Fuori dal recinto ci sono milioni di pensieri: la famiglia, il lavoro, i soldi, eccetera eccetera. Ma il mio recinto è troppo alto, troppo solido, e io non li lascerei entrare. Sono proprio sull'orlo del sonno, pronto a caderci dentro senza riserve, quando il telefono squilla."Pulimanti." "Mario? Vedo che sei ancora sveglio." Batto le palpebre per un paio di volte. Per quanto brami il sonno, ci sono cose più importanti. "Ciao, mamma. Va tutto bene?" "Va tutto a meraviglia, Mario. Non è che ti ho svegliato vero? So che sei un animale notturno e dopo le ventitré le telefonate costano meno." Sbadiglio. "Sono sveglio. Lo sai che puoi chiamarmi quando vuoi, mamma." Poi parliamo del più e del meno. Poi riattacca. Adesso il sonno è lontanissimo. Ricordo mio padre. Per poco non mi usciva di bocca una parola che non pronuncio da diciassette anni. La prima in assoluto che ho imparato a formulare, quando ancora non ero nemmeno capace di stare in piedi. Da quando è morto, nella pasquetta del novantadue, non mi sono più capacitato dal non riuscire più a rivederlo davvero. Papà. Piango, tanto non mi vede nessuno. Ma mia madre…la mamma è tutto per me. E' stata la mia migliore amica, la mia giuda, la mia eroina. E' stata lei la ragione che mi ha fatto essere quello che sono ora. Alle madri non dovrebbe essere permesso diventare vecchie e fragili. Scaccio con decisione quel pensiero dalla mia testa, per evitare di scivolare nella svenevolezza. Nel frattempo, rientra Gabriele. "Dove sei stato" gli chiedo quando entra in soggiorno con i suoi jeans chiari e una maglietta rossa. Ha gli occhi un po' stanchi, ma a parte questo sembra che stia bene. "Che bella accoglienza" replica. "Vuoi rispondermi?" "Se proprio lo vuoi sapere, sono stato al Boa." "Dove si trova?" "Vicino al Pontile". "E che succede lì?" "Non succede un bel niente. C'è birra buona. La gente canta canzoni e si diverte." "Puzzi di fumo." "E' un pub, papà. La gente fuma. Senti se hai intenzione di assillarmi in questo modo, me ne vado a letto. Devo andare all'Università domani, non te lo ricordi?" E con questa ultima frase Gabriele va a passi pesanti nella sua stanza. Faccio per andargli dietro, ma poi ci ripenso. Per quanto sia agitato, capisco che non è il caso di intraprendere una lunga discussione con mio figlio. Me la vedrò con lui domani. Lo sento fare rumore in cucina, tirare l'acqua del bagno e chiudere la porta della sua camera da letto.Ormai è impossibile tornare a dormire, malgrado la stanchezza.
Se avessi un cane lo porterei a spasso.Mi alzo. Mi verso un dito di cognac. Nella stanza accanto tutto tace. Forse con Gabriele ho sbagliato. Ricevuto. Sono stato inescusabilmente malaccorto. Chiaramente. Vado in bagno. Decido di uscire, anche se è molto tardi. Esamino mentalmente il mio guardaroba. Il vestito migliore è di Armani. Normalmente non posso permettermi abiti firmati, infatti questo l'ho comprato in un outlet.
Quello di Ponzano Romano. Il prezzo era comunque alto, nonostante lo sconto, però quando lo indosso mi sento molto più sicuro di me. Poi ci ripenso, e torno a letto. Quando finalmente arriva il sonno, arrivano anche gli incubi.
2) POVIA
Stasera mi sento di schifo. Un perfetto idiota. Ormai sono maturo per qualche ospedale psichiatrico per lungodegenti. Gabriele mi consiglia di riposarmi, finendo di parlare con un sorrisetto. Liturgia. Alzo le spalle. Tanto sono sicuro che non servirebbe a nulla. Grazie al cielo a Sanremo c'è Roberto Benigni. Così mi limito a sedermi davanti alla TV ad aspettarla e, detto per inciso, a godermi lo spettacolo. Sono sicuro di aver piazzato il colpo mortale alla tristezza. Giusto. Ogni tanto ho l'impulso di cambiare canale, dopo aver ascoltato canzoni belle, canzoni ballabili basate su ritornelli accattivanti e canzoni bruttine ma cantate da famose star, quando eccolo arrivare sul palco dell'Ariston. Roberto Benigni: un grandissimo talento unito ad una vivace intelligenza. Inutile dire di più. Termina di recitare. Rimango in silenzio ancora per qualche minuto, poi rimetto a posto il cuscino del divano e mi alzo. Uscendo dalla sala da pranzo, mio figlio Alessandro mi chiede cosa ne pensi di Povia. Non so cosa rispondergli. Ho ascoltato la contestata canzone "Luca era gay", la storia di un omosessuale che diventa eterosessuale. Mah…Povia racconta semplicemente una storia di confusione, ed è anche apprezzabile sul piano musicale, ma Sanremo è un amplificatore tremendo e distorcente. Quindi ci sono state manifestazioni antipovia da parte di associazioni gay e del "Comitato di liberazione da Povia" che ritengono il testo offensivo. "I diritti non si barattano per quattro soldi: venduto". "L'unico malato sei tu". "Benigni, coraggio: schierati contro l'omofobia". A sollevare i primi cartelloni anti-Povia davanti all'ingresso dell'Ariston sono stati alcuni rappresentanti della federazione giovanile dei Comunisti italiani. Dichiarazioni attribuite a Povia in interviste a varie riviste in verità non hanno facilitato la distensione. Sabato, poi, sarà la volta della manifestazione dell'Arcigay. Vabbè, però ritengo eccessivo tutte queste polemiche su una semplice canzone.I problemi sono ben altri, come quelli affrontati da Benigni che a un certo punto del suo bell'intervento ha detto che "gli italiani non hanno bisogno della certezza della pena, bensì della certezza della cena", alludendo chiaramente alla continua perdita d'acquisto dei nostri salari. Poi spengo le luci e vado a letto. A dormire, o a provarci. Nella penombra, penso a tante cose. Penso che mi è piaciuta più la canzone di Marco Carta di quella di Povia. Cavolo, non sarò mica gay?