'GLI INDIFFERENTI?' 11 2 20 45

di Mario Segni

In un paesino laziale, un guasto di un distributore ha permesso di fare benzina senza pagare. La notizia si è sparsa immediatamente e decine di persone si sono precipitate a fare il pieno,alcuni con varie macchine. Sino a che il proprietario non se ne è accorto moltissimi lo hanno derubato e nessuno, ripeto nessuno, si è sentito in dovere di avvisarlo.

Mi chiedo se questo piccolo episodio di disonestà c ollettiva non abbia qualche nesso con il fenomeno cui assistiamo: alludo alla sostanziale indifferenza di una larga parte degli italiani di fronte allo spettacolo avvilente della politica. Al di là delle manifestazioni pro o contro Berlusconi una larga parte del paese rimane apatica, indifferente, come è spesso accaduto in questi anni. Considero questo il fenomeno più grave dell'Italia di oggi, perché denota non tanto il male ma la incapacità di reagire, cancella la speranza di una svolta. Perché un paese che vent'anni fa reagì con impeto allo sfascio oggi è spento?

Molti se lo sono chiesto. Beppe Severgnini ha scritto un bel libro (Berlusconi spiegato ai posteri) che ha appena presentato in Sardegna. Mi soffermo su una delle ragioni, di cui non si è parlato abbastanza. Mi chiedo se alla base di questa rassegnata indifferenza non vi sia la quasi totale scomparsa dalla politica (per fortuna vi è qualche eccezione) di leaders autentici, cioè di persone che si battono per intero per le idee e i valori in cui credono, che dedicano con coerenza la propria attività al raggiungimento di questi obiettivi. E' nel perseguire le cose in cui si crede e non quelle che convengono che consiste, io credo, la vera moralità della politica. Anche qui si mescolano virtù e difetti, passioni e cinismi. Ma un movimento, un partito, un paese ha bisogno di punti di riferimento, di leaders autentici, e la pubblica opinione ha una straordinaria capacità di cogliere la genuinità di un uomo pubblico. Spesso gli preferisce il cinico e il mediocre, ma nei momenti difficili ha bisogno di aggrapparsi a qualcosa di solido.

Molte nazioni hanno superato i momenti più drammatici affidandosi a uomini del genere, persone che incarnavano le idee in cui credevano: pensiamo alla Francia con De Gaulle e alla Gran Bretagna con Churchill. Ma anche la nostra storia è piena di figure di questa integrità. Quando entrai in Parlamento nel 1976 noi democristiani fr onteggiavamo un partito comunista che aveva raccolto un terzo dei voti e da cui, in politica, ci divideva tutto. Ma nessuno di noi dubitava che Berlinguer e altri loro capi fossero mossi da una convinzione profonda della loro missione, che si dedicassero in pieno a ciò in cui credevano; così come altrettanto avveniva per loro verso Moro e altri laeders democristiani. Gli italiani sentivano che nella turbolenza delle passioni vi erano uomini che lottavano solo per le loro idee, e questo dava nobiltà alla politica e fiducia nella possibilità che questa risolvesse i problemi.

Quasi nulla di tutto questo esiste oggi. Una serie lunghissima di episodi, il trasformismo, il mercato dei parlamentari, il repentino e continuo cambiamento di opinioni, la incapacità di dare nella crisi economica segnali di altruismo, come sarebbero stati i tagli al finanziamento dei partiti e alle indennità, ha trasmesso l'idea di una politica rinchiusa nei suoi giochi. Ne è nata la sensazio ne che lì siano tutti uguali, e che quindi sia inutile provare a cambiare. Sono stato fra i primi a denunciare il disastroso effetto psicologico delle leggi ad personam di Berlusconi. Ma la visione di tanti oppositori che avevano perseguito le stesse pratiche ha cancellato in tanti ogni speranza.

Ancora più che la difficoltà di una alternativa politica, cioè le divisioni e la inconcludenza della sinistra, è forse la mancanza di una alternativa morale la causa profonda del veleno che ci tramortisce. Da questa amara conclusione traggo un motivo di speranza. Perché se la crisi è al vertice, un cambiamento del vertice può ridestare il paese. Una ventata di uomini nuovi non solo nelle idee, ma soprattutto nei comportamenti e nella linearità può riaccendere la speranza. Se poi è vero, come mi ha detto Severgnini dopo i suoi incontri sassaresi, che i più reattivi sono i ragazzi dei licei, la speranza aumenta.

Mario Segni

Mario Segni
Politica