DIBATTITO DOPO BERLUSCONI
 Il berlusconismo
 Il direttore del Riformista, Polito, ha avuto il merito di 
 aprire il dibattito sul dopo Berlusconi. Il provocante 
 articolo che invita Berlusconi a scegliere il successore è 
 infatti un modo di porre il problema cui tutti pensano ma di 
 cui nessuno parla. Ma il suo articolo ha un limite, 
 probabilmente inevitabile in un primo passaggio: che il vero 
 problema non è Berlusconi ma il berlusconismo, e che quindi 
 la questione politica che sta di fronte al centro destra non 
 è la persona che succederà a Berlusconi ma la linea politica 
 che seguirà. 
 L'impronta più forte il Governo l'ha data in questi anni 
 nella difesa ad oltranza degli interessi aziendali della 
 Fininvest e nella protezione del Premier e dei suoi amici 
 nelle questioni giudiziarie. Il giorno in cui Berlusconi si 
 ritirerà questo cesserà automaticamente, a meno che il 
 successore non sia Previti o Confalonieri. Ma che cosa verrà 
 al suo posto è tutto da vedere. Perché ci sono tre punti in 
 cui si è caratterizzata la politica di questi anni. 
 L'interruzione del processo di privatizzazione, ed anzi in 
 certi campi, vedi fondazioni bancarie, il ritorno a forme di 
 pubblicizzazione. Una politica istituzionale incentrata 
 sulla devolution di Bossi, con un accentramento di poteri 
 nelle regioni a scapito, non solo dello stato nazionale, ma 
 dei comuni. Una politica estera che ha abbandonato il 
 tradizionale europeismo per allinearsi progressivamente alla 
 nuova politica estera di Bush.
Assente una politica liberaldemocratica
 In nessuno di questi tre campi si può parlare di una 
 politica liberaldemocratica. Non nel settore economico, dove 
 la spinta alla riduzione dello statalismo si è fermata, e 
 caso mai riprende proprio in settori dove più è discutibile, 
 come la vendita ai privati dei beni artistici e culturali 
 (consiglio la lettura di un bell'articolo a 
 firma Fisichella e Melandri, due ex ministri dei Beni 
 Culturali di opposti partiti, comparso qualche giorno fa sul 
 "Corriere della Sera"). Non in quello istituzionale, dove la 
 spinta della Lega crea un nuovo accentramento mortificando 
 la vera autonomia che è quella dei comuni. Neppure nella 
 politica estera, dove l'allineamento alla linea di Bush, 
 così diversa da quella tradizionale americana, ha più 
 l'aspetto di un nazionalismo mal inteso che di un nuovo 
 corso liberaldemocratico.
Il vuoto da riempire
 Noi proponiamo una inversione di linea. Siamo europeisti 
 convinti, ci battiamo per il federalismo municipale, 
 vogliamo una grande liberalizzazione della società italiana, 
 anche se siamo convinti che questo non coincide con il 
 liberismo totale, ma richiede uno stato forte e 
 intelligente. Ma è in grado la coalizione di centro destra 
 di fare oggi questa svolta? No assolutamente. Non lo è 
 perché la alleanza con Bossi è in contrasto con una politica 
 liberale. Non lo è perché parte di AN è rimasta a vecchie 
 pregiudiziali stataliste. Non lo è soprattutto perché manca 
 un motore in questo senso. Avrebbe dovuto esserlo Forza 
 Italia, che si proponeva di diventare un partito 
 liberaldemocratico di massa. Non lo è stato perché un 
 partito azienda non può essere liberale. 
 E' questo il vuoto da riempire. Ecco perché noi proponiamo 
 un ritorno al grande pensiero liberale laico e cattolico. 
 Attorno a quelle idee, con un campo che fosse sgombro dal 
 partito azienda, si potrebbe ricomporre una grande alleanza 
 liberaldemocratica, il fulcro di una alternativa alla 
 sinistra moderna ed europea.
Mario Segni
 GdS 18 XII 03  www.gazzettadisondrio.it
