Pasqua. L'omelia del Vescovo di Como e Sondrio mons. Cantoni
L’OMELIA DEL VESCOVO MONSIGNOR OSCAR CANTONI NELLA MESSA CRISMALE DEL GIOVEDÌ SANTO MATTINA IN CATTEDRALE
Un cordiale, fraterno saluto a tutta questa santa assemblea, a partire dai nostri padri vescovi, qui presenti, ai laici e alle laiche, e in particolare a voi, carissimi sacerdoti, ai diaconi, ai membri della vita consacrata, maschile e femminile, ai giovani del nostro Seminario (compresa la Propedeutica). Vorrei raggiungere idealmente, anche a nome vostro, quanti con rammarico non sono qui, ma ci stanno seguendo spiritualmente. Alludo in particolare ai fratelli sacerdoti anziani e ammalati, alcuni dei quali si sono fatti presenti in questi giorni. Un saluto ai nostri missionari fidei donum in Perù, a tutti i missionari e le missionarie, distribuiti nel mondo, alle nostre sorelle contemplative, ai tanti laici e laiche, che in questo momento esercitano il loro sacerdozio nel proprio lavoro, o sono impediti da malattia o dalla vecchiaia.
Un ricordo speciale ai ragazzi cresimandi e di prima comunione qui presenti. Nelle scorse settimane molti di loro si sono succeduti, in questa nostra cattedrale e in altre parti della diocesi, per vivere un momento di fede e di comunione con tutta la nostra Chiesa locale, riuniti attorno al vescovo.
Questo è un giorno speciale, unico, in cui nonostante le distanze, facciamo di tutto pur di partecipare a questa celebrazione, che manifesta e dà senso alla nostra comunione ecclesiale.
Siamo qui per una “esigenza del cuore”, perché ci sentiamo segretamente attratti dal buon profumo di Cristo, il consacrato del Padre, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra. Lasciamoci avvolgere e impregnare dall'olio di letizia, dall’olio che santifica, dall’ olio che profuma, dall’olio che risana le ferite,
dall’olio che sgorga da Cristo, sacerdote profeta e re, e che Egli espande con larghezza su tutta questa assemblea, mediante il suo Spirito Santo.
Diveniamo così, a nostra volta, buon profumo di Cristo dentro le singole realtà nelle quali esercitiamo il nostro sacerdozio, in virtù del Battesimo, quando offriamo noi stessi nel sacrificio spirituale che ci viene richiesto, facendo amorosamente la volontà di Dio. È il sacerdozio che accomuna tutti i fedeli, in virtù del loro Battesimo. E inoltre, noi sacerdoti, attraverso il sacerdozio ministeriale, dono del sacramento dell’Ordine, prolunghiamo il buon profumo di Cristo dentro tutte le realtà pastorali in cui esercitiamo con ardore apostolico il nostro ministero a vantaggio di tutto il popolo di Dio.
Nel corso di questa celebrazione prendiamo coscienza di essere anche un popolo profetico e regale, chiamato a stare nel mondo, senza fuggire dalle sfide che attualmente lo attraversano, ma cercando di operare con uno stile di presenza diverso. Siamo un popolo che annuncia la santità di Dio mediante azioni e gesti coi quali rendere il mondo più umano; siamo discepoli del Messia Signore che trasformano ogni realtà in occasione di fraternità, di partecipazione, di solidarietà e di accoglienza, mediante il servizio e il generoso dono di noi stessi.
Lo scorso anno, a partire dal Vangelo secondo Luca, in cui Gesù, ha qualificato la sua missione messianica, operata con i doni dello Spirito Santo, ho sottolineato come il discepolo del Signore debba sempre manifestare il lieto annuncio del Vangelo attraverso la testimonianza della gioia, condizione indispensabile per la sua credibilità. Senza la gioia dello Spirito come condizione permanente, nonostante le difficoltà inevitabili, renderemmo sterile e vano il nostro impegno evangelizzatore. Un invito a stare in guardia dal demone della sconfitta, prodotta da una sfiducia ansiosa ed egocentrica. (EG 85)
Quest’anno, quale frutto di un ascolto attento del nostro Presbiterio e di un confronto appassionato con i Laici, vorrei invitare a riconoscere e a promuovere in noi e negli altri la “benevolenza”, che è condizione indispensabile per vere e libere relazioni interpersonali, adulte e mature. La benevolenza, figlia della mitezza, suppone uno sguardo limpido, senza precomprensioni, nei confronti di tutti, innanzitutto tra sacerdoti, poi tra sacerdoti, laici e consacrati, e quindi laici tra loro. La benevolenza richiede un cuore accogliente, che sappia riconoscere il tanto bene presente in ciascuno, nella certezza che tutti hanno qualcosa di unico e di nuovo da offrire, nonostante le fragilità e le debolezze.
Ci rendiamo conto di essere diversi, è vero, ma se ci usiamo benevolenza e rispetto scopriremo che la nostra diversità si trasforma in una ricchezza complementare, attraverso cui lavorare insieme per il Vangelo, gli uni sostenuti dagli altri. La benevolenza suppone una disposizione interiore a non mai giudicare, ma ad accogliere i fratelli come una fonte di benedizione e una sorgente di grazia. Solo mediante la benevolenza potremo fare dei doni altrui il motivo della nostra gioia (cfr san Giovanni Crisostomo, in CCC 2540).
Come Gesù, mandato dal Padre a portare il lieto annunzio ai miseri,(i tanti poveri che incontriamo quotidianamente), anche noi siamo pure inviati a fasciare le piaghe dei cuori spezzati,(in un ministero tipicamente sacerdotale che è quello della consolazione), a proclamare la libertà degli schiavi,(penso alle tante dipendenze a cui molti sono soggetti), la scarcerazione dei prigionieri (i molteplici condizionamenti odierni): realtà che invitano ad un’azione di costante promozione reciproca, cioè ad esercitare le opere di misericordia verso tutti, a partire, però, da quanti condividono il peso del nostro lavoro pastorale.
Sostenuti dalla nostro impegno, quanti ci avvicinano potranno divenire, con noi, partecipi di quell’azione pastorale che ci qualifica nella nostra realtà sociale come “testimoni e annunciatori della misericordia di Dio”, che è lo scopo fondamentale per il quale ci stiamo preparando ad affrontare il prossimo Sinodo diocesano, che affido alla vostra benevolenza.