Bush – Europa – Italia lite permanente
BUSH
Bush in America Latina ha misurato l’entità nel dissenso che si
esprime nei suoi confronti ma che investe l’intera politica USA,
dalla guerra irakena (allucinante pensare che sia stato usato il
fosforo bianco e non importa per quali usi e non importa se
utilizzabile se non ci sono civili, visto che le tardive
ammissioni hanno aggiunto che di civili ce n’erano pochi -
300.000 i residenti nella città di Falluia…- ), all’economia,
alle politiche ambientali.
In realtà, come da autorevole testimonianza girata nei giorni
scorsi, la matrice è comune e investe sia gli uni che gli altri,
vale a dire la debolezza nelle grandi scelte della politica
rispetto alla forza delle multinazionali.
Il 12 settembre gli Stati Uniti erano al vertice delle simpatie,
determinate da una sincera e diffusa solidarietà per l’orrore
seguito in diretta dal mondo intero il giorno prima. In poco
tempo questo patrimonio, difficilmente ricostruibile e
importantissimo per il futuro del mondo, è stato dissipato. Bush
va in giro a raccogliere fischi e chi era, è, sarà amico degli
Stati Uniti che restano un grande Paese e fondamentale per la
crescita democratica in tutto il pianeta, si trova in difficoltà
di fronte ad una serie di eventi o di situazioni. Se Bush dopo
la sua rielezione avesse fatto due più due rispondendo quattro
avrebbe lasciato a Casa Rumsfeld, il falco che sprezzante
definiva parto della vecchia Europa l’ammonimento alla cautela
che era il frutto della saggia Europa. E magari di un Grande
Papa che quantomeno è riuscito ad evitare che da errore politico
la guerra “militare” divenisse anche guerra di religione.
Rumsfeld è stato confermato anche se, di fatto, ai margini e
certo non ne subirà l’influsso il “vero uomo” (peraltro quasi
sempre in pantaloni, raramente in gonna) dell’Amministrazione
Bush e cioè Condoriza Rice..
Dicono che lo stesso Bush sia rimasto impressionato
dall’ampiezza e dalla profondità del dissenso che però si è
dapprima insinuato e poi via via esteso nella coscienza
collettiva degli Stati Uniti.
La distruzione delle Torri gemelle era stata un colpo micidiale
per tutti in quanto era la prima volta che il Paese subiva un
vero e proprio atto di guerra, altro che attentato!, nel suo
territorio. Venivano meno sicurezze consolidate a cominciare da
una sorta di immunità che aveva storicamente avuto una sola
eccezione ma per linee interne nella Guerra di secessione.
Allo scoperto la fragilità del sistema, con CIA, FBI e simili in
un angolo per non aver saputo prevenire, e con la constatazione,
a caro prezzo, che l’avanzatissima innovazione tecnologica ed
elettronica nulla può in talune circostanze. Il “delendus
Saddam” è diventato l’imperativo categorico.
Prima perché l’Irak era il covo del terrorismo. La scusa non
reggeva.
Abbandonata quella si è passati alla presenza di armi di
distruzione di massa con le quali Saddam avrebbe potuto
condizionare il mondo. Scoprire che la realtà è tutt’altra, che
quello che doveva essere un blitz – la fine ufficiale della
guerra Bush l’ha proclamata il 1 maggio 2003 – si sta rivelando
una tragedia sul piano umano visto che siamo ben oltre i 2000
morti e economicamente una sanguisuga, che ci sono stati
comportamenti diciamo “anomali” da parte delle truppe americane,
è stata ed é una forte disillusione per un numero crescente di
americani. Bush deve fare i conti con questo, ma anche Blair cui
va addebitata la principale responsabilità di una guerra pensata
“militarmente” e non “politicamente”, non tenendo cioè conto,
come invece sarebbe stato necessario, di cosa fare dopo la
guerra. Errori su errori. Se Blair fosse stato meno Rambo e più
Metternich , o ai limiti anche più Fouché, o, soluzione
ottimale, più Andreotti, anzi Andreotti, se cioè si fosse
affidato più alle meningi e meno ai muscoli (glielo suggeriva
del resto il principale suo collaboratore al Governo, dimessosi
da Ministro viste le decisioni del Premier) Bush avrebbe dovuto
essere per forza di cose più prudente, più attento, più
riflessivo, tenendo a bada il leader del Partito dei
guerrafondai.
Adesso si sta forzando in tutti i modi il Governo irakeno per
passargli la palla che scotta e poter così non solo cominciare
il ritiro ma accelerarlo. Con le nubi che ci saranno. I Sanniti
ai margini, gli Sciti – anche in Iran il potere è degli Sciti -
finalmente al Governo, il fondamentalismo dietro l’angolo, il
petrolio, tanto, arma fondamentale di ricatto per tutto
l’Occidente, tutto concorre a determinare uno scenario plumbeo.
Ah già: e l’Europa? Perché, a Bagdad c’è forse traccia di
Europa?
Europa più ampia, visioni più strette
Abbiamo salutato con entusiasmo l’allargamento a 25 dell’Europa.
Un sentimento genuino, sincero e quindi anche un po’
irrazionale. La razionalità porta ad altre conclusioni, non
piacevoli.
Il limite qual'è? Che non siamo nella logica politica di De
Gasperi, Adenauer, Schumann, di un’Europa unita vera e propria
entità politica in primis e in secondo luogo una potenza
economica in grado di reggere il confronto con gli USA. Siamo
nella logica di un mercato a 25. Se l’economia prevale sulla
politica i guai sono dietro l’angolo, come del resto se
succedesse l’inverso come dimostra la truffa del marxismo. Deve
esserci supremazia della politica in un contesto di grande
importanza per l’economia. Solo così è salvo il sociale senza
del quale i guai, anche qui, sono dietro l’angolo.
Italia in lite permanente. Su tutto. Ma i verdi…
In Val di Susa violentissima opposizione alla TAV. Non ne
vogliono sapere della lunga galleria di 50 km che dovrebbe
essere scavata perché, dicono, nelle rocce ci sono amianto e
radioattività.
Verrebbe voglia di dire di lasciar perdere. Si continui a usare
la ferrovia esistente e non saranno 50 km, o anche 100, a
velocità normale a pregiudicare la Torino-Lione. Se poi passerà
meno quantità di merci poco male, ci penseranno i TIR su
quell’itinerario. Contenti loro… Non vogliamo entrare nel merito
perché bisognerebbe avere una approfondita conoscenza delle
situazioni, quella che non hanno gli oppositori. Arrivano da
tutta Italia a dire no in qualsiasi parte d’Italia ove qualcuno
dice no.
Vale per tutto. Siamo all’apologia dell’assurdo. Pensiamo alla
produzione eolica di energia. La si può fare dove c’è il vento.
Ma lì dove c’è il vento – vedi i casi pugliese e sardo – c’è
l’insurrezione in nome dell’ambiente che verrebbe deturpato
dalle pale dei moderni mulini a vento. Mi sa che se avessimo un
deserto si troverebbe il modo di opporsi anche nel caso che lo
si volesse usare per la produzione energetica, per lo
smaltimento dei rifiuti e per tante altre cose.
Qualcuno potrebbe ritorcere le accuse anche su di noi per quanto
riguarda la produzione di energia idroelettrica. No, perché
ovviamente è questione di senso della misura, visto e
considerata la concentrazione di impianti esistenti.
Siamo il Paese dei veti. E dei martiri, visto che ogni tanto si
trova qualche amministratore che per andare sul concreto deve
sfidare l'impopolarità e fa le cose che ritiene giuste anche se
le piazze sono piene i proteste.
E del confronto fra schieramenti politici spesso fondato
sull'insulto. Non si dice che l'altro ha fatto non bene e che si
poteva fare meglio. Si dice, chiunque sia l'altro e chiunque
l'oppositore, che l'altro non capisce niente o anche peggio.
Possibile che non ci si renda conto che per eviitare che il
Paese vada alla malora su alcune cose occorre intendersi,
perlomeno in linea di massima?
Parole al vento. Basta sentire la TV. (meno male che ci
riconcilia con la politica garbata il sen. Andreotti,
protagonista di un nuovo ruolo: quello di attore negli spot
della "3" (con il compenso versato in beneficienza).
Amarilli
GdS 20 XI 2005 -
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