IL PENSIERO DI BENEDETTO XVI SUL DIALOGO CON L’ISLAM
1. La centralità del dialogo interreligioso
In occasione dell’incontro con i rappresentanti di alcune comunità musulmane in Germania il 20 agosto 2005, Papa Benedetto XVI ha decisamente ribadito che «il dialogo interreligioso e interculturale fra cristiani e musulmani non può ridursi ad una scelta stagionale. Esso è infatti una necessità vitale, da cui dipende in gran parte il nostro futuro». In questo modo il Papa riprendeva una personale convinzione relativamente al dialogo interreligioso, che aveva esposto parecchi anni prima nel suo celebre volume dal titolo Il nuovo popolo di Dio. In quell’opera, infatti, il teologo Joseph Ratzinger sosteneva: «Questa coscienza dell’intessersi del fatto cristiano con la storia spirituale e religiosa dell’umanità, ove la sua particolarità unica non è più ben visibile o scompare del tutto, rientra negli interrogativi più angoscianti del cristiano del nostro tempo. È divenuta un’evidente e inevitabile messa in crisi della sua fede: la scoperta dell’ampiezza relativizzante della storia, che ci è piombata addosso quasi fisicamente nel mondo fatto piccolo, costituisce, insieme alla scoperta dell’ampiezza infinita del cosmo che sembra irridere ad ogni antropocentrismo, il vero fermento della crisi di fede, di fronte alla quale oggi ci troviamo. Per questo il rapporto del cristianesimo con le religioni del mondo è divenuto oggi una necessità interna per la fede: non è il gioco della curiosità, che vorrebbe costruirsi una teoria del destino degli altri - questo destino lo decide Dio solo, che non ha bisogno delle nostre teorie (…) Ma oggi c’è in gioco di più: il senso del nostro poter e dover credere. Le religioni del mondo sono divenute una domanda al cristianesimo, che di fronte ad esse deve riflettere in modo nuovo sulla sua pretesa e riceve perciò da esse come minimo un servizio di purificazione, che fa già intuire in un primo abbozzo, come pure il cristianesimo possa comprendere tali religioni nel loro dover-essere sul piano della storia della salvezza». [1]
2. Due criteri per il dialogo interreligioso
Riconosciuta la centralità del dialogo interreligioso è importante ora individuare alcuni criteri basilari cui Benedetto XVI fa riferimento. Essi potranno essere oggetto di discussione e di approfondimento nel nostro dialogo. Non è possibile in questa breve introduzione offrire una presentazione sistematica di questi criteri. Mi limito, pertanto, a fornire due criteri rinunciando perfino alla pretesa di articolarli in modo organico.
a) Religioni e vita buona
Il primo, non in ordine di importanza ma perché è più pacifico, è stato messo in evidenza dal Santo Padre soprattutto e significativamente nei discorsi rivolti ai credenti musulmani. Esso richiama il fatto che il dialogo è proprio di ogni fedele in quanto membro del popolo di Dio o delle comunità musulmane. Lo si vede soprattutto se si considera che ogni uomo è costitutivamente inserito in società e, pertanto, è chiamato ad edificare la vita buona della società in cui vive. In questo senso il Papa richiama con forza la necessità di percorrere una strada comune per gli uomini delle religioni: «le religioni potranno fare la loro parte nell’affrontare le numerose sfide con le quali le nostre società attualmente si confrontano. Sicuramente, il riconoscimento del ruolo positivo che svolgono le religioni in seno al corpo sociale può e deve spingere le nostre società ad approfondire sempre di più la loro conoscenza dell’uomo e a rispettarne sempre meglio la dignità, ponendolo al centro dell’azione politica, economica, culturale e sociale. Il nostro mondo deve prendere coscienza sempre più del fatto che tutti gli uomini sono profondamente solidali ed invitarli a porre in risalto le loro differenze storiche e culturali non per scontrarsi ma per rispettarsi reciprocamente» (Incontro con il Corpo Diplomatico nella Nunziatura Apostolica di Ankara, 28 novembre 2006).
b) Fede, ragione e religioni
Il secondo criterio, più arduo, è quello messo in particolare rilievo dalla celebre lezione all’Università di Regensburg. Riguarda il nesso fede, ragione e religione e la capacità dell’umana ragione di cogliere tale nesso. In proposito il Santo Padre a Regensburg ha affermato: «la teologia (…) come teologia vera e propria, cioè come interrogativo sulla ragione della fede, deve avere il suo posto nell’università e nel vasto dialogo delle scienze. Solo così diventiamo anche capaci di un vero dialogo delle culture e delle religioni – un dialogo di cui abbiamo un così urgente bisogno (…) Una ragione, che di fronte al divino è sorda e respinge la religione nell’ambito delle sottoculture, è incapace di inserirsi nel dialogo delle culture (…) Per la filosofia e, in modo diverso, per la teologia, l’ascoltare le grandi esperienze e convinzioni delle tradizioni religiose dell’umanità (…) costituisce una fonte di conoscenza; rifiutarsi ad essa significherebbe una riduzione inaccettabile del nostro ascoltare e rispondere (…) Il coraggio di aprirsi all’ampiezza della ragione, non il rifiuto della sua grandezza – è questo il programma con cui una teologia impegnata nella riflessione sulla fede biblica, entra nella disputa del tempo presente».
Questa lunga citazione del discorso di Regensburg può aiutarci ad individuare alcuni elementi essenziali che potranno essere oggetto del nostro dialogo. Il corretto rapporto fede, ragione e religioni, così come esso può essere colto dall’umana ragione quando non cede a riduzionismi, mette in campo i due aspetti sempre congiunti ed irrinunciabili del dialogo.
c) Il principio di integrazione
Possiamo identificare il primo col principio di integrazione. In cosa consiste? Descriviamolo con le parole di Hans Urs von Balthasar. Il teologo basilese riconosce la necessità di un confronto a tutto campo sui contenuti stessi delle religioni. In questo modo «nascerà qualcosa come una scala di verità riconoscibili, che si possono coordinare secondo il principio: “Chi ha più verità ha più ragione e diritto” (…) Chi è eventualmente in grado di integrare il massimo di verità nella sua visuale possederebbe la presunzione di una verità massimamente vera» [2]. In quest’ottica è possibile cogliere perché il Santo Padre proponga di concepire unitariamente il dialogo propriamente interreligioso e quello interculturale. È infatti riduttiva una definizione di cultura che non prenda in considerazione la dimensione religiosa costitutiva delle domande ultime della ragione (chi sono?, da dove vengo?, dove vado?).
d) Verità e libertà
Il secondo aspetto imprescindibile nel dialogo riguarda il nesso verità-libertà. Infatti se è vero che il principio di integrazione è irrinunciabile perché esigito dalla ricerca di verità propria delle religioni, nello stesso tempo da solo non riesce a cogliere l’orizzonte compiuto della verità. La verità per sua natura domanda l’atto della libertà che si disponga ad aderire. Il principio di integrazione non può non inclinarsi di fronte alla «libertà di Dio nella rivelazione di Sé» [3], proponendo una sorta di sapere assoluto di stampo hegeliano. Lo stesso principio deve anche rispettare la verità della libertà finita dell’uomo, la quale è chiamata ad accogliere la proposta della verità, non a subirla! Ecco perché lo stesso Balthasar parla della verità in termine di «amore che si dà nella libertà (“solo l’amore è credibile”)» [4]. Anche di questo aspetto decisivo per il dialogo interreligioso si fa carico in modo eminente Papa Benedetto quando, nel Messaggio in occasione del XX anniversario dell’Incontro Interreligioso di Preghiera per la Pace (2 settembre 2006), ha voluto espressamente parlare del «linguaggio della testimonianza».
In particolare cristiani e musulmani debbono testimoniarsi, nel reciproco dialogo, la loro fede nell’unico Dio e nell’ineliminabile distanza – costantemente fatta presente dalla fede islamica – tra Creatore e creature. Non debbono tuttavia sottovalutare le differenze a partire dal monoteismo trinitario decisivo per il cristianesimo. Difendendo poi con dialogo continuo e franco la libertà di religione in ogni società civile Cristianesimo e Islam sono chiamati a testimoniare che ogni forma di violenza è per sua natura aliena all’autentica ragione d’essere della religione in quanto tale.
Cardinale Angelo Scola, Patriarca di Venezia