ARGOMENTI PROPOSTI DA Mario PULIMANTI: 1) 21 APRILE 2) IL GIUDICE

1) 21 APRILE

Seccato per problemi di lavoro, lancio un'occhiataccia a un consulente. Una giovane collega si toglie gli occhiali e gli sorride con una certa civetteria. Esco dall'ufficio. Prendo la metro. Sulla strada del ritorno incrocio lo sguardo con strani tipi. Forse testimoni di Geova. Vedendoli, non posso fare a meno di pensare a una creatura di Dosytoevskij, uno di quegli emarginati che passano la vita a rimuginare, a partecipare a riunioni settarie e ad accarezzare giornali pieni di immagini subliminali. Hanno il viso fanatico di uomini posseduti da un demone. Arrivo a Ostia. Prendo l'autobus. Scendo di fronte a un vivaio. Do un'occhiata al vialetto di fronte all'entrata. Il giardino è decisamente ordinato, con i cespugli di forma e altezza identiche e i primissimi boccioli esposti nella loro armonia simmetrica e cromatica. Il muschio cresce rigoglioso attorno ai lastroni di pietra che terminano davanti a una porta a legno ad arco che da accesso sul retro. Punto verso casa. Arrivo. Mi stendo sul letto. E penso. Il Cacciatore di aquiloni. Ieri sera a Cineland. Con amici. Un film di Marc Forster. Un film forte. Commuove ed emoziona. Dopo aver trascorso alcuni anni in California, Amir ritorna nel suo paese d'origine l'Afghanistan. Cerca il figlio del suo vecchio amico Hassan. Questo viaggio è l'occasione per Amir per riandare ai tempi della sua infanzia e della profonda amicizia con Hassan sullo sfondo delle vicende storiche del suo paese in guerra. Difatti, tra Amir ed Hassan si era scavato un solco che solo un coraggio tardivo, ma riparatore, riuscirà a colmare. Non bisognerebbe mai aver letto prima il libro da cui un film è tratto. Perché, pur non volendolo, si finisce con il fare confronti che andrebbero evitati dato che si tratta di due forme di comunicazione diverse. Come molti italiani però ho letto il libro di Khaled Hosseini. Nel libro si racconta uno splendido rapporto di amicizia tra Amir, ragazzo afgano pashtun di Kabul, e Hassan, figlio del suo servo hazara. Certo, il regista, pur avendo realizzato un film più che dignitoso, non riesce a restituire l'emozione complessa che il libro suscita nel lettore. Il film, comunque, segue il libro senza rischiare personali interpretazioni che ne avrebbero snaturato il significato. Khaled Hosseini scrive in modo di incollare il lettore alle sue pagine vivendo in prima persona i travagli interiori di Amir, sentendo fischiare i proiettili russi prima e talebani poi sopra alla propria testa, ritrovandosi il viso rigato di lacrime al primo sorriso che Sohrab, il figlio di Hassan, gli rivolge. C'è anche altro. In Afghanistan se una donna chiede il divorzio perde tutto, figli compresi. Una moglie che commetta adulterio, anche se il marito l'ha lasciata mettendosi con un'altra donna, viene giustiziata e a volte sono gli stessi familiari a provvedere all'esecuzione. Gli uomini controllano le donne in tutto, si accertano che vadano a scuola, che lavorino fuori casa e decidano se possono o meno sposarsi con un certo uomo. Non sono, queste, condizioni fissate dai talebani o dall'Islam, ma ciò nonostante nessuno oserebbe violarle trattandosi di norme con profonde radici nelle antiche usanze tribali dell'Afghanistan. Ho visto il film, trattenendo il fiato. Nel cacciatore di aquiloni c'è una scoperta sconvolgente, in un mondo violento dove le donne sono invisibili, la bellezza è fuorilegge e gli aquiloni non volano più. Sì, avrei una gran voglia di rivederlo. Il film. E di rileggerlo. Il libro. E' vero.

2) IL GIUDICE

In ufficio mi imbatto in un collega.

Presuntuoso.

E con il sigaro.

E' protetto da qualcuno ai piani alti.

Comincio a sospettare che abbia un debole per una mia amica.

Sulla strada del ritorno incontro pazzi fanatici.

Adepti al culto di Geova.

I geovisti credono in un'ecatacombe purificatrice, che spazzerà via ogni corruzione e riporterà Geova nel mondo, dopo che questo sarà stato purificato.

Molti, ritenendo che il mondo non è mai stato tanto vicino alla distruzione, affermano che molte sono le cause di questa corsa alla distruzione, a cominciare dalla gravissima scarsità di acqua, petrolio, gas, carbone e altre risorse naturali.

I Paesi ricchi come Stati Uniti, Giappone e Cina si sono accaparrati la fetta più consistente di queste risorse, lasciando alle nazioni più povere gli avanzi.

Altrove, la legge della sharia. Prevede, tra l'altro, la lapidazione delle adultere e il taglio della mano anche per i piccoli furti.

Uno dei capisaldi delle democrazie occidentali è la separazione tra Chiesa e Stato, ma è difficile far accettare ai musulmani questo concetto.

E poi ci sono i talebani.

Quelli che reclutano e addestrano terroristi.

Io, uomo di pace, preferisco il mio Dio dell'amore e ritengo che il problema trascende quello, storico e complesso, di chi ha e chi non ha.

E' fondamentalmente una questione di ignoranza e intolleranza, elementi pressoché inscindibili.

Quasi mai ci si imbatte nell'ignoranza senza la sua perversa gemella, l'intolleranza.

Arrivo ben presto alla stazione di Lido Centro, cogliendo di passaggio brani di conversazione e suonerie di cellulari con motivetti scaricati dal computer.

Il mio, di cellulare, si limita a squillare normalmente quando qualcuno mi chiama, e la cosa è per me motivo d'orgoglio.

Una volta davanti alla fermata dello 01, mi guardo attorno.

Ora Ostia si sta riqualificando come sobborgo marino di Roma, con negozietti e ristoranti caratteristici, case ristrutturate in versione signorile e vari club nuovi e scintillanti.

Entro a casa.

E' vuota.

Bevo un bicchiere di vino bianco.

Freddo.

Simonetta fa ritorno a casa.

Si siede alla scrivania e fissa la finestra.

Per lei, che adora la vita all'aperto, il vivere a Ostia, non è stata una decisione semplice, e ora si trova a passare i suoi anni d'oro in un condominio.

Che controsenso, riflette: lei, amante di grandi spazi collinari sabini, non è in grado di vedere al di là del suo edificio.

Accendo il pc.

Mi giunge un segnale.

Allora premo un tasto e mi metto a leggere con grande interesse i dati che riguardano la Ciurma, una associazione della quale faccio parte.

E' divisa in vari ambiti e con un mensile chiamato "Diario di Bordo", della cui redazione io faccio parte, interessandomi prevalentemente di due rubriche, una dedicata al teatro e una goliardicamente definta "pater familias".

Ci sono, inoltre, due settori teatrali, uno junior e l'altro senior.

Per quello senior stiamo attualmente preparando una rappresentazione divisa in due atti.

Si tratta dell'atto unico di Georges Courteline, "Un giorno in pretura", al quale ne è stato agganciato un secondo.

Scrivendolo, ho cercato di collegarmi alle vicende descritte nel primo atto.

Mmh…ci sono riuscito?

Parlando con la massima franchezza, ammetto di non esserne convinto.

In ogni caso, questa commedia la stiamo provando.

Eh sì, con una espressione preoccupata sul viso, ammetto di far parte anch'io del cast degli attori.

Direi che é più che probabile che rimanga sommerso da ortaggi vari.

Alla perfezione recita, invece, una mia amica.

Silvia fa la parte di Antoinette.

Quando parla di questa nostra esperienza pronuncia le parole con il fervore tipico di chi si impegna con passione nel suo lavoro e freme dal desiderio di trasmettere agli altri questo entusiasmo.

Rimango qualche secondo ancora assorto dai miei pensieri.

Poi poso il bicchiere sul tavolo e leggo il forum della Ciurma.

Accidenti, si sta parlando dei continui bollettini di guerra stradali.

Delitti senza colpevoli, perché chi li compie è comunque nel peggiore dei casi imputato di omicidio colposo.

La pena non supera i due anni e quindi è sempre sospesa; gli avvocati difensori le considerano cause minori.

I leader politici hanno riempito giornali e tv di promesse sulla sicurezza.

Abbiamo paura di vivere in una società dove tutto è relativo.

Perdonismo.

Eccessivo.

Guidare ubriachi non è che uno dei tanti reati ridotti al rango di una ragazzata.

Così come i comportamenti devianti nel campo della violenza sportiva, dello stupro, del bullismo.

Sto per alzarmi dal pc, quando squilla il cellulare di Simonetta.

Rimango un minuto in ascolto.

"Andiamo" dice poi, siamo invitati a cena.

Usciamo.

Lei prende a camminare a passo veloce, insieme ad Alessandro.

Trotterellandogli dietro, raggiungiamo la macchina.

Quando arriviamo alla residenza di una nostra amica, all'Infernetto, ho due motivi di sorpresa.

Il primo è rappresentato dall'assenza di polizia privata.

Le strade sono deserte.

Solo un paio di Suv parcheggiati nei vialetti fanno pensare che nelle case deve esserci qualcuno. La seconda sorpresa è proprio nelle case.

Mi fermo di fronte a quella della nostra amica, mi metto le mani sui fianchi e rimango a osservare la villetta bifamiliare.

Non è grande, ma nemmeno attaccata a un'altra, e da questa zona residenziale si può raggiungere in pochi minuti di macchina il centro pulsante di attività di Ostia.

Due ore dopo ci congediamo, risaliamo in macchina e ci dirigiamo a casa.

Arrivati sul posto, parcheggiamo.

Prendiamo l'ascensore.

Non crediamo ai nostri occhi quando vediamo Gabriele tranquillamente addormentato.

Ed è particolarmente curioso il fatto che è solo mezzanotte.

Ancora più divertente, almeno per me, è sentirlo sospirare nel sonno, a un certo punto.

Mi sistemo nella poltrona.

Un minuto dopo mi alzo e esco a prendere una boccata d'aria sul balcone.

Ripasso diverse volte mentalmente le battute del mio personaggio.

Il giudice.

Innamorato di Antoinette.

Sorseggio un amaro.

Rientro, chiudendomi la porta-finestra alle spalle.

La vita è bella.

Nonostante tutto.

Proprio così.

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