Gli Huiciol: eterni pellegrini erranti

di Nello Colombo

                    
INCREDIBILE
MOSTRA

Veramente incredibile la mostra fotografica sulla
popolazione Huichola che popola le isolate montagne della Sierra
Madre Occidental in Messico. Yamilè Barcelò e Francisco Pimentel
attraverso straordinarie fotografie e manufatti artigianali
hanno tracciato un mirabile spaccato di vita di questi indiani
predati delle loro terre d’origine, ora in rischio di estinzione
a causa della continua deforestazione sostenuta dalle compagnie
del legno nord americane.

Il taglio indiscriminato di piante,
infatti, legato all’aridità del suolo che caratterizza la zona,
in pochi anni la condurrà ai limiti della desertificazione che
già comincia ad avanzare.

LA
SCOMMESSA DELLA CITTA' DI SONDRIO


Impedire tutto ciò non è impossibile.
E questa è anche la scommessa della città di Sondrio che ha
preso il solenne impegno tramite il “Sondrio Festival” di
salvaguardare in ogni modo questa popolazione che vive ancora
oggi di caccia, pesca e mais, ma soprattutto si nutre di
religiosità percorrendo distanze abissali, oltre 400 km, fino a Wirikuta che per gli Huichol rappresenta il luogo della
rivelazione, l’incontro con la propria vita.

IL
PEYOTE


Questa terra sacra,
priva di alberi ed acqua è la casa di Jikuri, il dio peyote.
Nell’immobilità silenziosa di questa regione desolata con le
montagne grigiastre che si stagliano alte sullo sfondo, cresce
il peyote, una cactacea nota in botanica come “Lophophora
Williamsii” che vive celata tra arbusti spinosi, confusa dalla
vicinanza appariscente degli altri cactus, sporgente appena dal
suolo, ma con la sua terribile carica di mescalina, un potente
allucinogeno. Il peyote non è per gli Huichol la ricerca dello
sballo psichedelico, o una fuga dalla realtà per sconfinare in
una ritualità di tipo magico, ma è una scelta di vita, una
filosofia naturale, un cammino verso la conoscenza e soprattutto
una “medicina alternativa”. Tutta la saggezza popolare del “marakamè”,
lo sciamano della comunità (in lingua huichola significa “colui
che sa”) può condurre, infatti, a guarigioni miracolose quando
lui riesce a condurre gli ammalati della sua tribù in una sorta
di trance ipnotica capace a volte d’innescare gli incredibili
meccanismi di autoguarigione. Con il semplice impiastro di
peyote polverizzato e mescolato ad altre piante medicinali, lo
sciamano cura tantissimi tipi di ferite, morsi di serpenti o
scorpioni, cura artriti, bruciature e tantissime altre
affezioni. Tutto avviene con un solenne cerimoniale, una
liturgia ben precisa a cui partecipa l’intera comunità. Il male
viene per così dire “estirpato” come una sofferenza, frutto non
di un “trauma fisico”, ma di un disagio interiore che va
ricondotto all’armonia globale con il tutto.

I preparativi per
la partenza verso il sacro viaggio iniziano all’alba. Attorno a
un fuoco alcune donne tessono con un telaio rudimentale le “peyoteras”,
le tipiche borse usate dagli Huichol per portare le loro offerte
alle divinità. (Qui il cristianesimo non ha attecchito a causa
della dispersione dei loro insediamenti, anche se permane
l’influenza spagnola dell’uso di armi da fuoco nella caccia al
cervo.) Altre donne preparano “tortillas” di mais cotte su una
pietra arroventata e poi seccate al sole. I cani attendono in
silenzio acquattati nell’ombra, pronti a rubare un buon boccone,
mentre i bambini si rotolano schiamazzando nella polvere. Agli
uomini, invece, spetta il compito di preparare la legna che
servirà ad alimentare “Tatevarì”, il dio del fuoco che scalderà
i loro gelidi inverni quando si ritroveranno in un letto di
aspro calcare. Poi il viaggio ha inizio. Il deserto sembra
ancora così lontano, ma lentamente il paesaggio comincia a
cambiare: la vegetazione dei boschi si fa sempre più rada finchè
il terreno diventa totalmente brullo. La prima tappa è a Tatei
Matinieri, il santuario della divinità dell’acqua, poco più di
una pozza acquitrinosa con qualche sparuto ciuffo verde: una
minuscola oasi in un oceano di pietre. Lì gli Huichol lasciano
le offerte purificandosi con le acque sacre prima di
oltrepassare le magiche porte di Wurikuta. Qui, infine, i
pellegrini erranti pregano cogliendo lo stesso respiro della
natura, invocando la pioggia nella speranza di vivere in armonia
totale con la natura. Il loro canto assume man mano una ritmica
più ansante, più accorata, fino ad una commozione incontenibile,
o diventa soltanto una cruda lamentazione per la consapevolezza
della imminente fine di tutto il loro mondo.


Il marakame'

Il marakamè, lo sciamano, con il suo “muvieri”, il suo ampio
scettro di piune d’aquila, apre una porta invisibile che conduce
al paese dei morti dove vivono le divinità. Il volto dei
“visitatori” è cosparso di una sostanza gialla ricavata da una
radice chiamata “urra””. Nella sacra terra i peyoteros vagano
per ore interminabili con il loro capiente fardello sulle spalle
che presto riempiranno di piccoli cactus. I loro occhi scrutano
attentamente il terreno alla ricerca di queste piccole stelle
vegetali, anonime, che spuntano appena in superficie. Ma il loro
pensiero è già volto alla notte che si avvicina per la grande
prova. Da essa dipenderà non la salute della propria famiglia e
nemmeno la benedizione di una buona raccolta di mais, ma
qualcosa di più trascendentale: la rivelazione del loro futuro.


Resteranno semplici agricoltori o verranno scelti da Tamatz
Kallaumari come marakamè? La mitologia degli huiciol si snoda
attorno alla loro solenne trilogia “cervo-mais-peyote”: la loro
vita è tutta qui. Agli albori del mondo, Tamatz Kallaumari, il
fratello del cervo, principale divinità huiciola, crea l’ordine
delle cose, poi si reincarna in Palìkata, la padrona del mais e,
con il sangue del primo cervo ucciso da lui rende possibile la
crescita del grano. Il parallelismo tra cervo e mais è evidente:
le due divinità originarie s’incarnano nelle piante, negli
animali o negli esseri umani.

Il peyote è sia cervo che mais,
quindi quando viene raccolto in Wirikuta viene identificato con
il cervo che verrà ucciso con delle frecce. Il luogo dove viene
trovato il primo peyote-cervo si trasforma così in un’ara su cui
si depositano delle offerte che dovranno propiziare la pioggia
che garantirà la coltivazione del mais. L’eterno ciclo della
vita si racchiude, dunque, attorno al mais, nutrimento del
corpo, e al pelote, cibo per lo spirito, in un binomio veramente
indissolubile. Seduti all’interno del cerchio cerimoniale, gli
huichol attendono che avvenga il miracolo, il dono degli dei,
con speranza, ma anche con terrore. Oltre il magico cerchio
appare lontano Wirikuta, la montagna sacra che nella sua forma
piramidale imprigiona l’energia del quarzo di cui è costituita.
Forse per questo in lingua huichola il mais è “ikuri”, il peyote
“jkuri”, il seme “jikuri” , il cuore “Jiìkuri”, il volto “ikuri”.
Un panteismo assoluto che si respira nell’aria, in un’atmosfera
veramente magica.

MA QUALE
FUTURO PER LA POPOLAZIONE BUICHOLA?


Ma quale sarà il futuro della popolazione huichola?

Purtroppo,
in questa nuova era supertecnologica che ha permesso a lunghe
lame d’asfalto di tagliare in due il loro territorio, è iniziata
una “colonizzazione” selvaggia e indiscriminata che ha privato
questi indiani, prima delle loro terre, e poi della loro cultura
che subisce attacchi massicci anche tramite il nuovo turismo
“fai da te” che invade i suoi santuari depredandoli anche delle
sacre offerte alle loro divinità. Offerte semplici che
rappresentano la loro vita rituale, cariche di simbolismi magico-religiosi attraverso immagini stilizzate surreali,
realizzate con perline o fili di tinte screziate pressati su
supporti cosparsi di resina degli alberi che crescono nella
sierra. Veramente straordinari questi “monili” colorati di
lapislazzuli e ocre selvagge. La cultura huichola è ormai allo
sbando, proprio come la culla della loro religione, Wirikuta.
Imprigionati da un territorio impervio, circondati da “invasori”
indiscreti, gli Huichol, eterni pellegrini erranti, continuano
la loro inarrestabile marcia verso il deserto nella speranza di
preservare, se ancora è possibile, le loro radici culturali,
anche sé sembra arduo conciliare la magia del passato con la
lucida e spietata “razionalità” della società moderna.
Nello Colombo

GdS 8 XI 2002 - www.gazzettadisondrio.it

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