Ministro Baccini: non siamo pronti per i parlamentari eletti all'estero
 "Gli italiani all'estero sono i 
 nostri ambasciatori, e meritano attenzione, nè più, nè meno agli 
 italiani in Italia". Mario Baccini dal dicembre scorso è il 
 Ministro della Funzione Pubblica, ma per tre anni e mezzo alla 
 Farnesina ha gestito i rapporti fra Italia ed America latina. In 
 questa veste ha avuto molti contatti con l'universo degli 
 Italiani all'estero. E in questa intervista esclusiva manifesta 
 anche qualche preoccupazione sulle politiche per l'emigrazione. 
 Baccini è convinto che l'Italia non sia pronta per la novità dei 
 deputati e senatori eletti all'estero e si chiede se non sarebbe 
 più produtivo investire sulla cultura, ed in particolare sulla 
 diffusione della lngua italiana. Sposato, tre figli, padre 
 bresciano, il Ministro poi un punto della legge Tremaglia 
 proprio non lo digerisce: il divieto per gli Italiani d'Italia 
 di candidarsi all'estero. "Ci vuole eguaglianza - dice - poi 
 saranno gli elettori a decidere".
 - Ministro Baccini, prima di assumere, nel dicembre scorso, il 
 dicastero della Funzione Pubblica, lei è stato per tre anni e 
 mezzo sottosegretario agli Esteri, con la delega per l’America 
 Latina. Il Sudamerica è un po’ la terra dove sono più forti i 
 legami della nostra emigrazione con la Madrepatria. Nel corso di 
 questa esperienza, quale idea si è fatta del tema degli Italiani 
 all’estero, che in questo governo è cambiato radicalmente 
 rispetto al passato?
 “Il tema degli italiani all’estero è molto complesso. Di sicuro 
 gli Italiani all’estero costituiscono per l’Italia un grande 
 patrimonio umano.
 Contemporaneamente sono gli ambasciatori della cultura italiana 
 e del nostro modo di vivere. Di conseguenza, l’attenzione che 
 meritano deve essere pari a quella riservata agli Italiani in 
 Italia. Né di più, né di meno. Sbaglia chi eccede, in un senso o 
 nell’altro. Con questo voglio dire, ad esempio, che l’attività 
 dei nostri Istituti di Cultura all’estero deve essere legata 
 alle comunità dell’emigrazione. Ma voglio anche sottolineare 
 come la grande attenzione che il tema dell’emigrazione merita 
 non deve tradursi in richieste ai limiti dell’impossibile”.
 - In più occasioni, nella sua veste di sottosegretario agli 
 Esteri ed anche di presidente della commissione per la 
 promozione della cultura italiana all’estero, lei ha incontrato 
 le comunità della nostra emigrazione. Che impressioni ne ha 
 ricavato?
 “Sono stati incontri entusiasmanti, nei quali si è manifestato 
 forte l’amore per l’Italia, che forse si amplifica, quando si è 
 all’estero da tanto tempo. Ho ricordi in Argentina, in Brasile, 
 in Uruguay, di tante comunità che guardano all’Italia con gli 
 occhi del loro passato, ma anche del loro futuro, perché molti 
 hanno lasciato il nostro Paese quando pensavano che l’Italia non 
 ce la facesse, quando l’Italia aveva grandi difficoltà, e non 
 hanno scommesso sull’Italia. Oggi che l’Italia è tra le prime 
 potenze mondiali, ovviamente, un po’ di nostalgia in quegli 
 occhi l’ho notata”.
 - Il 2006 vedrà entrare in Parlamento per la prima volta i 
 rappresentanti della nostra emigrazione, i primi parlamentari 
 eletti direttamente dalle comunità all’estero. Lei pensa che 
 siamo pronti per questa radicale novità?
 “Quella del voto degli Italiani all’estero è un’intuizione 
 politica importante, ma francamente non credo che l’Italia sia 
 pronta a questo evento. Non è pronta, perché ci saranno grandi 
 difficoltà di gestione delle elezioni, ma soprattutto è facile 
 prevedere problemi di compatibilità con le politiche nazionali. 
 Qualsiasi innovazione, però, abbisogna di un periodo di 
 rodaggio, quindi fare un bilancio è decisamente prematuro”.
 - Sulla difficoltà di gestione delle elezioni, è inevitabile 
 chiamarla in causa anche in veste di ministro della Funzione 
 Pubblica. C’è il problema dell’allineamento delle due anagrafi, 
 quella AIRE e quella consolare, che richiede risorse economiche 
 e di personale. Si farà in tempo a compilare elenchi finalmente 
 attendibili degli aventi diritto al voto?
 “Sono tutti aspetti problematici che insieme mi spingono ad 
 avanzare qualche perplessità. Noi dovremmo fare il punto della 
 situazione e capire quanto sia utile continuare su questa 
 strada. Ricordo i nodi delle risorse, dell’organizzazione, della 
 rappresentatività, della gestione della campagna elettorale in 
 paesi stranieri, sono tutti aspetti che creano delle grandi 
 difficoltà. E poi noi dobbiamo fare, una volta per tutte, 
 indipendentemente dalla validità dell’operazione politica che 
 confermo in pieno, le nostre scelte politiche secondo le 
 disponibilità del nostro Paese, e la reale capacità di gestirle. 
 Non possiamo fare le nozze coi fichi secchi. Si vorrebbe fare 
 tutto, ma le risorse del Paese sono limitate, che impongono 
 delle scelte. Si tratta di valutare quanto costeranno queste 
 elezioni, che tipo di rappresentatività ci sarà. Del resto, non 
 dimentichiamo che le nuove generazioni, nate all’estero, ormai 
 sono perfettamente integrate nei paesi di residenza. Di 
 conseguenza, finita una generazione, nella prossima in molti non 
 parleranno neppure italiano”.
 - Lei pensa che esistano strade alternative rispetto a quella 
 della rappresentanza politica?
 “Dobbiamo renderci conto che probabilmente un potenziamento sul 
 versante della promozione culturale potrebbe essere molto più 
 opportuno ed utile di una rappresentanza politica. La lingua, in 
 pirmo luogo. Ma a mio modesto parere sarebbe necessario cercare 
 di ragionare anche sul fatto del perché gli Italiani in Italia 
 non possono candidarsi nella circoscrizione estera.
 Si tratta di un punto che io non ho mai condiviso, anche se ne 
 capisco la finalità di favorire l’arrivo di veri emigrati in 
 Parlamento”.
 - Per la legge Tremaglia, a suo giudizio è già il momento di una 
 revisione?
 “Ho sempre difeso la legge Tremaglia, ma penso che nel prossimo 
 futuro dovrà essere ripresa in mano, perché un italiano in 
 Italia non può candidarsi all’estero, mentre un italiano 
 all’estero può benissimo candidarsi in Italia. Mi sembra una 
 stortura da correggere, ci vuole eguaglianza anche su questo 
 punto. Se qualcuno da Canicattì intende candidarsi a Buenos 
 Aires non vedo perché non lo possa fare, sempre ammesso che 
 abbia i voti.”
Luciano Ghelfi - Daniele Marconcini
 GdS 10 VI 2005 - www.gazzettadisondrio.it
