Ministro Baccini: non siamo pronti per i parlamentari eletti all'estero

di Luciano Ghelfi - Daniele Marconcini

"Gli italiani all'estero sono i
nostri ambasciatori, e meritano attenzione, nè più, nè meno agli
italiani in Italia". Mario Baccini dal dicembre scorso è il
Ministro della Funzione Pubblica, ma per tre anni e mezzo alla
Farnesina ha gestito i rapporti fra Italia ed America latina. In
questa veste ha avuto molti contatti con l'universo degli
Italiani all'estero. E in questa intervista esclusiva manifesta
anche qualche preoccupazione sulle politiche per l'emigrazione.
Baccini è convinto che l'Italia non sia pronta per la novità dei
deputati e senatori eletti all'estero e si chiede se non sarebbe
più produtivo investire sulla cultura, ed in particolare sulla
diffusione della lngua italiana. Sposato, tre figli, padre
bresciano, il Ministro poi un punto della legge Tremaglia
proprio non lo digerisce: il divieto per gli Italiani d'Italia
di candidarsi all'estero. "Ci vuole eguaglianza - dice - poi
saranno gli elettori a decidere".

- Ministro Baccini, prima di assumere, nel dicembre scorso, il
dicastero della Funzione Pubblica, lei è stato per tre anni e
mezzo sottosegretario agli Esteri, con la delega per l’America
Latina. Il Sudamerica è un po’ la terra dove sono più forti i
legami della nostra emigrazione con la Madrepatria. Nel corso di
questa esperienza, quale idea si è fatta del tema degli Italiani
all’estero, che in questo governo è cambiato radicalmente
rispetto al passato?

“Il tema degli italiani all’estero è molto complesso. Di sicuro
gli Italiani all’estero costituiscono per l’Italia un grande
patrimonio umano.

Contemporaneamente sono gli ambasciatori della cultura italiana
e del nostro modo di vivere. Di conseguenza, l’attenzione che
meritano deve essere pari a quella riservata agli Italiani in
Italia. Né di più, né di meno. Sbaglia chi eccede, in un senso o
nell’altro. Con questo voglio dire, ad esempio, che l’attività
dei nostri Istituti di Cultura all’estero deve essere legata
alle comunità dell’emigrazione. Ma voglio anche sottolineare
come la grande attenzione che il tema dell’emigrazione merita
non deve tradursi in richieste ai limiti dell’impossibile”.

- In più occasioni, nella sua veste di sottosegretario agli
Esteri ed anche di presidente della commissione per la
promozione della cultura italiana all’estero, lei ha incontrato
le comunità della nostra emigrazione. Che impressioni ne ha
ricavato?

“Sono stati incontri entusiasmanti, nei quali si è manifestato
forte l’amore per l’Italia, che forse si amplifica, quando si è
all’estero da tanto tempo. Ho ricordi in Argentina, in Brasile,
in Uruguay, di tante comunità che guardano all’Italia con gli
occhi del loro passato, ma anche del loro futuro, perché molti
hanno lasciato il nostro Paese quando pensavano che l’Italia non
ce la facesse, quando l’Italia aveva grandi difficoltà, e non
hanno scommesso sull’Italia. Oggi che l’Italia è tra le prime
potenze mondiali, ovviamente, un po’ di nostalgia in quegli
occhi l’ho notata”.

- Il 2006 vedrà entrare in Parlamento per la prima volta i
rappresentanti della nostra emigrazione, i primi parlamentari
eletti direttamente dalle comunità all’estero. Lei pensa che
siamo pronti per questa radicale novità?

“Quella del voto degli Italiani all’estero è un’intuizione
politica importante, ma francamente non credo che l’Italia sia
pronta a questo evento. Non è pronta, perché ci saranno grandi
difficoltà di gestione delle elezioni, ma soprattutto è facile
prevedere problemi di compatibilità con le politiche nazionali.
Qualsiasi innovazione, però, abbisogna di un periodo di
rodaggio, quindi fare un bilancio è decisamente prematuro”.

- Sulla difficoltà di gestione delle elezioni, è inevitabile
chiamarla in causa anche in veste di ministro della Funzione
Pubblica. C’è il problema dell’allineamento delle due anagrafi,
quella AIRE e quella consolare, che richiede risorse economiche
e di personale. Si farà in tempo a compilare elenchi finalmente
attendibili degli aventi diritto al voto?

“Sono tutti aspetti problematici che insieme mi spingono ad
avanzare qualche perplessità. Noi dovremmo fare il punto della
situazione e capire quanto sia utile continuare su questa
strada. Ricordo i nodi delle risorse, dell’organizzazione, della
rappresentatività, della gestione della campagna elettorale in
paesi stranieri, sono tutti aspetti che creano delle grandi
difficoltà. E poi noi dobbiamo fare, una volta per tutte,
indipendentemente dalla validità dell’operazione politica che
confermo in pieno, le nostre scelte politiche secondo le
disponibilità del nostro Paese, e la reale capacità di gestirle.
Non possiamo fare le nozze coi fichi secchi. Si vorrebbe fare
tutto, ma le risorse del Paese sono limitate, che impongono
delle scelte. Si tratta di valutare quanto costeranno queste
elezioni, che tipo di rappresentatività ci sarà. Del resto, non
dimentichiamo che le nuove generazioni, nate all’estero, ormai
sono perfettamente integrate nei paesi di residenza. Di
conseguenza, finita una generazione, nella prossima in molti non
parleranno neppure italiano”.

- Lei pensa che esistano strade alternative rispetto a quella
della rappresentanza politica?

“Dobbiamo renderci conto che probabilmente un potenziamento sul
versante della promozione culturale potrebbe essere molto più
opportuno ed utile di una rappresentanza politica. La lingua, in
pirmo luogo. Ma a mio modesto parere sarebbe necessario cercare
di ragionare anche sul fatto del perché gli Italiani in Italia
non possono candidarsi nella circoscrizione estera.

Si tratta di un punto che io non ho mai condiviso, anche se ne
capisco la finalità di favorire l’arrivo di veri emigrati in
Parlamento”.

- Per la legge Tremaglia, a suo giudizio è già il momento di una
revisione?

“Ho sempre difeso la legge Tremaglia, ma penso che nel prossimo
futuro dovrà essere ripresa in mano, perché un italiano in
Italia non può candidarsi all’estero, mentre un italiano
all’estero può benissimo candidarsi in Italia. Mi sembra una
stortura da correggere, ci vuole eguaglianza anche su questo
punto. Se qualcuno da Canicattì intende candidarsi a Buenos
Aires non vedo perché non lo possa fare, sempre ammesso che
abbia i voti.”
Luciano Ghelfi - Daniele Marconcini


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