MISSIONE IN IRAK: LA SINISTRA SBAGLIA
 La sinistra ha deciso di votare contro la permanenza delle 
 nostre truppe in Iraq. Sbaglia, ed è uno sbaglio pesante e 
 negativo, perché in questi casi bisognerebbe creare una solida 
 unità nazionale. Adesso in Iraq si intravede qualche spiraglio 
 di luce. Non si può perdere l’occasione.
 Detto questo noi dobbiamo però fare qualche passo indietro, 
 perché quello che ho appena detto, unito all’esito positivo 
 delle elezioni irachene, mi pone un grande interrogativo: ma 
 allora Bush ha fatto bene a scatenare la guerra? L’Italia ha 
 fatto bene ad appoggiarlo? Ricorderete forse che io ho sempre 
 sostenuto che la guerra era un drammatico errore che rafforzava 
 il terrorismo arabo, invece che indebolirlo. Mi sono sbagliato? 
 Devo fare pubblica ammenda, come chiede dalle colonne de “La 
 Stampa” Giorgio La Malfa (che si rivolge però alla sinistra, non 
 a me)?
 Non ci sarebbe niente di male a riconoscere un errore, ad 
 ammettere che i fatti hanno dimostrato una realtà diversa. Se ne 
 fossi convinto quindi lo farei. Ma sono convinto del contrario.
 La stampa di questi giorni è un enorme peana per la 
 amministrazione americana che starebbe risolvendo, con l’aiuto 
 inglese e italiano, i drammatici problemi del Medio Oriente. 
 Ragioniamo a mente fredda e ricordiamo perché fui contrario a 
 quell’intervento.
 Le ragioni erano tre.
 - Innanzitutto l’inaccettabilità della 
 guerra preventiva come strumento di politica internazionale, 
 salvo i casi di un imminente e reale pericolo. I fatti hanno 
 dimostrato che il pericolo imminente non c’era, le armi chimiche 
 non sono mai state trovate. Se le cose stanno così, è bene 
 riaffermare che una guerra preventiva non può mai essere 
 accettata. Non vi è solo l’insegnamento del Papa, che in quell’occasione 
 parlò più chiaro di tutti (dovrebbe fare ammenda anche lui?). Vi 
 è la pericolosità di un simile principio. Come ci opporremo 
 domani a una Russia o una Cina che pretendendo di essere 
 minacciata da un suo piccolo vicino la invade?
 -
 Secondo: il pericolo di rafforzare il terrorismo islamico. Per 
 tutto il periodo sino alle elezioni questo è stato sicuramente 
 vero. La forza della guerriglia indicava che a combattere non 
 erano solo parte dei sunniti e i nostalgici di Saddam, ma fette 
 consistenti di fondamentalisti arabi. Lo spazio del consenso si 
 è quindi allargato. Diminuirà dopo le elezioni? Lo spero, ma è 
 tutto da dimostrare.
 -
 Terzo: la democrazia non si esporta, meno che mai con le armi. 
 Parliamoci chiaro. L’Iraq è un paese che non ha mai conosciuto 
 la democrazia, come noi la intendiamo. Non è la Germania e 
 l’Italia degli anni trenta, dove il percorso democratico era 
 bloccato da dittature nefaste. Quello che si sta concretando non 
 è una democrazia all’occidentale. E’ il passaggio del potere 
 alla componente religiosa più numerosa, gli sciiti. Che cosa 
 verrà fuori è tutto da vedere, ma ben difficilmente arriverà una 
 vera democrazia. Bisogna sgombrare il campo dagli slogan facili. 
 La democrazia è il frutto di un percorso lungo e spontaneo di un 
 popolo. Raramente può essere imposto dall’esterno.
 Da tutta questa serie di cose sbagliare ne è derivato però un 
 fatto positivo: l’alta affluenza al voto. Anche dal male può 
 venir fuori un bene. E la partecipazione ha rivelato non solo 
 l’intervento degli sciiti, ma anche un convinto desiderio di 
 novità, di libertà. E proprio per questo è sbagliata la 
 posizione della sinistra. Perché si può ricordare l’errore di 
 partenza; ci si può legittimamente chiedere se comunque la 
 liberazione da Saddam valesse centomila morti. Ma ormai questo 
 è il passato, che non si recupera più.
 Il presente è invece la 
 possibilità di creare in Iraq qualcosa di autonomo e di 
 moderato. Possibilità ancora remota, si badi, perché dal nuovo 
 corso possono venir fuori nuovi drammi, compreso un nuovo stato 
 teocratico alla Kohmeyni o una lunga guerra tribale. Ma 
 qualunque soluzione positiva richiede comunque una lunga 
 permanenza delle truppe. E quindi dobbiamo rimanere. E’ stato un 
 errore andarci; sarebbe oggi un errore ritirarci.
 Ho scritto tutto questo non solo per giustificare le cose dette 
 in passato, ma perché gli stessi problemi si possono porre in 
 futuro. Si parla già di un nuovo intervento unilaterale, questa 
 volta in Iran. Non sarebbe un nuovo incendio. Sarebbe un 
 vulcano. Forse questa volta, pur sbagliando, ci è andata bene. 
 Perseverare sarebbe veramente diabolico. 
Mario Segni
 GdS 20 II 2005 - www.gazzettadisondrio.it
