non sempre sono d'accordo con i Radicali ma…

di Nemo Canetta

Non sempre sono d'accordo con i Radicali e le loro battaglie,
tuttavia è difficile non riconoscere loro onestà, coerenza,
lontananza da certe "camarille" partitiche nostrane ed una
solida cultura democratica, di stampo occidentale (nel senso
buono).

Se avete un po' di pazienza, leggete queste 2 notizie, riprese
dal loro ultimo notiziario (inviato per via telematica);


Due commenti urgono:

Come mai tanti "colti" nostrani che si stacciano le vesti ogni
condanna a morte, negli USA, non fanno verbo di quanto succede
nel resto del mondo (vedi Cina) e sopratutto nella "libera"
Palestina?


Ed a proposito della società "multiculturale", non vi dice nulla
che un genuino democratico ed antiazzista come Pannella, non ci
creda? Non è che tanti facciano solo finta, di crederci, per non
essere "politicamente scorretti"?

Saluti a tutti.
Nemo Canetta



Da
Notizie Radicali,
il giornale telematico di Radicali Italiani

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radicalparty.org   
lucacoscioni.it   
radioradicale.it

mercoledì 13 aprile 2005 -
Direttore: Gualtiero Vecellio

1)
Israele: per la pace la tregua non basta -
di Guido Bedarida


In queste ore il primo ministro israeliano Ariel Sharon incontra
il presidente degli Stati Uniti George W. Bush per esprimere le
proprie preoccupazioni sulla tregua assicurata dall'Anp, tregua
che pur avendo ridotto di molto la consistenza della seconda
Intifada, non ha evitato sia il lancio di oltre cento colpi di
mortaio in territorio israeliano sia la necessità che le forze
di sicurezza israeliane effettuassero alcuni interventi tesi a
prevenire attentati. Sharon sa che i gruppi terroristi
palestinesi stanno approfittando di questi momenti per
rafforzarsi e il presidente dell¹Anp Abu Mazen non sembra
sufficientemente deciso a fermarli.

Il problema però è più profondo di quanto non possa sembrare ed
ancora una volta riguarda l'affidabilità e la democraticità
dell'Anp, unica garanzia per il mantenimento degli accordi presi
con Israele. Infatti, mentre il mondo salutava le elezioni
palestinesi come un grande traguardo e la base per la nascita di
un nuovo stato, in pochi si ricordavano e facevano presente che
tali elezioni, ammesso che fossero libere e democratiche, non
bastano a costituire uno stato democratico che invece richiede,
tra i suoi elementi fondanti, anche la corretta e certa
amministrazione della Giustizia (il rispetto dei diritti umani,
il rispetto delle regole, la loro certezza); l¹ attuale gestione
palestinese, figlia dei metodi dittatoriali di Yasser Arafat, è
purtroppo quanto di meno democratico e civile vi possa essere.

Se è vero infatti che il governo dell'Anp prevede tra gli altri
anche il ministero della Giustizia bisogna ricordare che esso
adotta ancora il Codice Penale Rivoluzionario del 1979
(ereditato direttamente dall'Olp), che include la pena di morte
e la ritiene applicabile da corti militari e corti di sicurezza.

I reati per cui è prevista la pena capitale sono ben 42 e tra di
essi è compreso naturalmente anche il "tradimento" il cui
concetto è molto elastico: un certo scalpore ha suscitato il
caso in cui tale pena è stata comminata ad un anziano
commerciante arabo reo di aver venduto ad ebrei alcuni suoi
terreni siti in Gerusalemme Est.

Se il codice penale palestinese non brilla per modernità
purtroppo non da meno sono i metodi con cui viene applicato: i
processi, che di solito non durano più di un giorno, non
necessariamente prevedono la difesa e di fatto non la
permettono, così come non è prevista possibilità appello.

A coronamento dello stravolgimento di questo sistema di
³giustizia² c¹e¹ infine quello che in altri codici è un atto di
liberalità: la facoltà di intercessione da parte del capo dello
stato a favore del condannato, che nel Codice Rivoluzionario si
ribalta e diviene addirittura un plauso ufficiale alla
eliminazione del colpevole: tutte le condanne a morte sono
infatti confermate direttamente dal presidente dell'Anp.

Arafat, per motivi di opportunità politica, sospese
ufficialmente le esecuzioni nel

2002, ma dal 1994 ad oggi circa 300 persone (tra
³collaborazionisti" veri o presunti) sono state uccise a seguito
di processi farsa o con esecuzioni sommarie ad opera di milizie
armate, attualmente il numero dei condannati alla pena capitale
da parte della ³giustizia² palestinese continua a salire.

Abu Mazen, anche per rafforzare una leadership tutt¹altro che
affidabile, proprio in questi giorni ha annunciato che le
esecuzioni riprenderanno presto e la loro legittimità sarà
rafforzata da una nuova conferma non prevista dal Codice:
l¹avallo religioso del Mufti' Ikima al Sabri che naturalmente
non ha fatto venire meno il suo supporto politico e
propagandistico.

Il governo israeliano sta adoperandosi per fare fronte a questa
situazione ed ha incaricato i servizi di sicurezza israeliani di
proteggere e nascondere oltre mille famiglie palestinesi mentre
le denunce di associazioni per i diritti umani israeliane,
palestinesi ma anche internazionali quali Nessuno Tocchi Caino e

Amnesty International sono state numerose ma senza alcun esito,
tanto che il ministro della giustizia palestinese ha dichiarato
che non accetterà alcun tipo di pressione esterna.

Se queste sono le premesse e le garanzie del nascente stato
palestinese Sharon dovrà chiedere a Bush molto di più che
supporto per il mantenimento di una tregua che rimanda ed
amplifica i rischi futuri: e¹ infatti molto difficile che
qualsiasi garanzia possa essere risolutiva, c¹è ormai bisogno
che pressioni e soluzioni si muovano su piani e progetti di più
ampio respiro e che si levino alte le denunce da parte di
organismi internazionali troppo spesso strabici e complici dei
massacri. Il segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan
e la sua famigerata riforma dell¹Onu, propagandata da 10 anni e
mai neppure cominciata, restano l¹alibi di molti governi anche
occidentali ma per Israele ed Usa il tempo stringe, ancora una
volta la soluzione e le speranze per la pace andranno cercate
altrove, ancora una volta si conferma l¹urgenza di dare vita ad
una Comunità delle Democrazie che sia davvero il luogo di
sviluppo della democrazia e non la pubblica tribuna dei
dittatori che è divenuta l¹Onu.

2)
Quando l'occidente si ritira -
di Federico Punzi


L'autocensura è suicidio culturale. Nella battaglia per le idee
arretriamo di fronte al "pensiero forte" dei fondamentalismi.
Occorre riscoprire il liberalismo come "pensiero forte". Un
altro capitolo della lunga storia di tradimenti dei valori
liberali da parte del mondo intellettuale

Gijs van Vesterlaken, il produttore di Submission, il film del
regista olandese Theo Van Gogh giustiziato da un fondamentalista
islamico proprio a causa della sua pellicola, ha deciso di
ritirare l'opera a tempo indeterminato per la serie incredibile
di minacce di morte che gli sono giunte e che sono ritenute
credibili dai servizi di sicurezza.

Un pericoloso caso di autocensura che segna una sconfitta "in
casa" per il mondo libero. Non mi sento di condannare un
produttore per non avere l'istinto al martirio, ma forse questo
caso ci dovrebbe indurre a una riflessione: se non siamo in
grado di credere nelle libertà sulle quali abbiamo fondato i
nostri Stati (prima fra tutte la libertà d'espressione), e di
farle prevalere sulle minacce, difficilmente potremo sostenere e
infondere coraggio agli attivisti arabi che sono in lotta per
quelle stesse libertà nei loro Paesi. Da noi la legge tutela la
libertà d'espressione contro ogni violenza che tenta di
restringerla (che sia o no opera del potere), eppure ci
dimostriamo incapaci di darle forza. Qual è la nostra
credibilità come democrazie agli occhi di tutti gli arabi che
invece devono ancora conquistare, contro le leggi autoritarie
vigenti nei loro Paesi, quelle libertà che noi abbiamo
riconosciute per legge ma di cui così poco ci importa?

Evidentemente, intorno al produttore e a questo film ripudiato,
che condanna la sottomissione della donna nella famiglia
islamica, non si è creato un sufficiente clima di solidarietà
culturale in favore della sua distribuzione, artisti e
intellettuali preferiscono rimanere silenti e le autorità civili
non assicurano un sufficiente grado di protezione. Il "pensiero
debole" sembra prendere il sopravvento se per "quieto vivere" si
ritiene preferebile autocensurare una produzione artistica pur
di non scatenare le ire dei fondamentalisti islamici, che così
hanno partita vinta nella prima battaglia per le idee sul nostro
territorio.

Un altro capitolo della lunga storia di tradimenti dei valori
liberali da parte del mondo intellettuale. E' impressionante
(non per chi lo denuncia da tempo) vedere come, almeno qui in
Italia, i santuari dell'egemonia culturale di sinistra rimangono
silenti. La loro mobilitazione raggiunge il massimo
dell'intensità, della solerzia, dello sdegno, solo quando si
tratta di denunciare la censura e il regime per la cancellazione
dei programmi di satira di Sabina Guzzanti. Solo Adriano Sofri,
con la sua introduzione per "Non sottomessa" (Einaudi), il libro
di Ayaan Hirsi Ali, la deputata olandese di origine somala
autrice della sceneggiatura del film all'indice, riceve
ospitalità su la Repubblica.

Il mito della società multiculturale. E' stato alimentato per
troppo tempo dal relativismo culturale e oggi come ogni mito
cade sotto la scure di una realtà non più sostenibile. Il
multiculturalismo così come si è realizzato nella maggior parte
dei Paesi europei significa spesso connivenza con una legalità,
parallela a quella statuale, che impone violenze, brutalità,
sottomissione, che porta con sé il virus del terrorismo.


«Bisogna ammettere che il multiculturalismo, cioè la convivenza
di culture diverse nel rispetto reciproco, spinto al punto di
rassegnarsi a un regime di doppia o multipla legalità, pur
scaturendo da un sentimento di generosità e di accoglienza, si
traduca in sostanza in un opportunistico Quieto Vivere. Non vi
sembri eccessivo che io azzardi un paragone con certi vecchi
modi "antropologici" di convivere con la mafia. Parlo della
doppia legalità, e del Quieto Vivere con una cultura dell'onore,
per così dire, e con una intimidazione brutale da cui guardarsi.
Non demonizzo certo l'islam, e tanto meno i musulmani, per i
quali al contrario, uno per uno, una per una, ho lo stesso
rispetto e riguardo che ho per qualunque altra creatura umana.
Alla bella idea secondo cui esistono tanti islam quanti sono i
musulmani credo davvero, benchè vada ormai diventando piuttosto
una frase fatta.

Il multiculturalismo è oggi ferito a morte non dalla critica
teorica del relativismo culturale, ma dalla prova dei fatti.
Bisogna correre ai ripari.

E però intanto non esagerare: il multiculturalismo, e in
generale il relativismo, è una conquista preziosa della civiltà.
"Non prendere il multiculturalismo alla lettera", dice Irshad
Manji, con una bella espressione. (non prendere niente alla
lettera, insomma). Pessima è la sua trasformazione in un dogma ­
cioè l'imbecillità. Dopotutto, si tratta sempre della annosa
vertenza sul cannibalismo. E sul limite. Il limite insuperabile
sta nell'habeas corpus, nel diritto uguale per donne e uomini,
nella libertà personale. Al punto della questione di Hirsi. Ci
sono troppi luoghi nel mondo in cui professare la fede nel
proprio Dio può costare la vita. Questa è un'infamia. Oggi
colpisce spaventosamente i cristiani, e li condanna spesso al
martirio, dall'Africa al Pakistan al Vietnam. Ma non è meno
infame che a casa nostra, in Europa, una donna venga condannata
a morte e braccata, da giudici e boia privati, per aver
dichiarato di non credere in Dio. Che affronti il rischio del
martirio, per testimoniare del proprio libero pensiero».

Lo spirito concordatario. Anziché concedere spazi di libertà e
di diritto ai singoli individui, abbiamo concesso autonomie
etnico-confessionali all'interno delle nostre città, quando non
veri e propri rapporti privilegiati con lo Stato, a etnie e
gruppi religiosi in quanto comunità. Esse, e non il singolo
individuo, sono così divenute le naturali portatrici di istanze
meritevoli di attenzione, così ché, in nome di una malintesa
tolleranza, abbiamo chiuso un occhio su usanze e comportamenti
contrari, non alla nostra cultura, ma alle nostre leggi basate
sul rispetto della persona e dei suoi diritti individuali. Così,
accusando di "razzismo" chi chiedeva regole e maggiori
controlli, abbiamo sacrificato sull'altare del relativismo la
possibilità di una vera integrazione fondata su valori politici
condivisi.


Scriveva lo scorso dicembre Magdi Allam (Corriere della Sera):

«L'idea che fosse sufficiente concedere la libertà a tutte le
etnie e a tutte le religioni, nel nome del relativismo
culturale, affinché la libertà diventasse patrimonio comune, si
è rivelata una mera chimera, l'inesorabile suicidio di una
civiltà. Proprio l'Olanda, la patria delle libertà, il
laboratorio più avanzato del multiculturalismo, è in profonda
crisi. Tutti, a sinistra, al centro e a destra concordano che il
multiculturalismo è una scatola vuota di valori, incapace di
cementare una identità condivisa. (...)

E' l'indifferenza dello Stato la causa dello sviluppo
dell'estremismo islamico... Credevamo che acquisendo la nostra
cultura avrebbero perso parte della loro. In più non siamo stati
chiari sulla nostra cultura, sui loro doveri».

C'è stata «troppa tolleranza, che forse non era vera tolleranza,
ma una sorta di indifferenza».

Risale al novembre scorso questa riflessione di Marco Pannella a
Radio Radicale:


«Se multiculturalismo significa creare situazioni concordatarie
con organismi detti rappresentativi di ambienti religiosi o
altro, sono contrario. Il pluralismo è un valore che non ritengo
tale, sono sulle posizioni di Martin Luther King: gli individui
vanno tutelati nei loro diritti e quanto più sono negati, tanto
più è un problema generale di tutti gli individui».
Nemo Canetta


GdS 20 IV 2005 - www.gazzettadisondrio.it

Nemo Canetta
Politica