Una visione internazionale liberale per l'Italia
 Il sistema internazionale - di cui l’Italia è parte 
 integrante in quanto democrazia liberale ad economia 
 avanzata - è, dopo la doppia rottura del 1989 e dell’11 
 settembre, in una fase di profondo riassetto: ciò significa 
 che le decisioni, gli “allineamenti” internazionali e gli 
 equilibri definiti oggi conteranno a lungo. Un nuovo 
 dopoguerra è iniziato.
 Non c’è soltanto una questione di riassetto geopolitico e 
 geoeconomico, tuttavia. E’ anche in corso una trasformazione 
 di alcuni dei parametri della politica internazionale: in 
 particolare, l’impianto concettuale dei rapporti tra Stati 
 (cioè Stati-nazione) sta subendo graduali ma importanti 
 modifiche. A quell’impianto proprio il liberalismo ha dato 
 un contributo essenziale, cercando costantemente un delicato 
 compromesso tra Realpolitik e aspirazione a sviluppare 
 regole internazionali di comportamento che rendano i 
 rapporti tra Stati meno anarchici e più prevedibili. Così 
 come il liberalismo ha realizzato una società basata sulla 
 rule of law nei rapporti fra i cittadini e fra questi e lo 
 stato nazionale, il liberalismo internazionale mira ad 
 affermare i principi della rule of law nei rapporti fra le 
 nazioni.
 Il ruolo delle istituzioni democratiche e dello Stato di 
 diritto è centrale in questa visione, ma anche in tal senso 
 esistono nuove sfide da affrontare: l’uso controllato e 
 limitato della forza a tutela dei diritti umani 
 fondamentali, e la capacità di rispondere in modo efficace e 
 realistico alle minacce che la proliferazione di armi di 
 distruzione di massa e il terrorismo transnazionale pongono 
 alle società aperte. Rispondere a queste sfide impone - ai 
 singoli paesi europei e all’Unione nel suo complesso - sia 
 la capacità di riconoscerle come tali, che l’assunzione di 
 responsabilità internazionali assai maggiori (in termini di 
 risorse e di volontà politica). Uscendo da una visione 
 troppo statica del diritto internazionale, l’approccio 
 europeo deve combinare interventismo democratico e 
 affermazione di norme internazionali che lo regolino. Questa 
 è anche la base di un nuovo deal con gli Stati Uniti sulla 
 strategia di sicurezza occidentale nel dopo 11 settembre
 La principale lezione politica della crisi irachena è molto 
 chiara, sia per l’Europa che per gli Stati Uniti. L’identità 
 europea deve essere costruita in positivo e non in 
 opposizione agli Stati Uniti: qualsiasi tentativo di 
 affermare l’Europa per contenere gli Stati Uniti è destinato 
 anzitutto a dividere l’Unione stessa, oltre che a dividere 
 le due sponde dell’Atlantico. Da parte loro, gli Stati Uniti 
 devono riconoscere che l’aggregazione dell’Europa, e non la 
 sua divisione, continua a rientrare nei loro migliori 
 interessi. Identità europea e identità occidentale (cioè 
 euro-americana) sono due componenti strettamente legate di 
 un unico percorso storico e culturale. L’esistenza di valori 
 comuni fra le due sponde dell’Atlantico non garantisce, di 
 per sé, l’assenza di conflitti; ma consente di gestirli, e 
 fonda l’interesse comune a difendere tali valori, 
 proiettandoli sul piano globale.
 Un nuovo accordo transatlantico implica che l’Europa sia in 
 grado di esprimere una politica estera e di sicurezza comune 
 più solida: l’alternativa è una sostanziale marginalità o 
 irrilevanza dei paesi europei. Come dimostra l’esito dei 
 lavori della Convenzione, la gestione della politica estera 
 e di sicurezza resta affidata, sul piano istituzionale, alla 
 cooperazione fra governi; e va combinata, sul piano delle 
 capacità, a una maggiore integrazione di risorse (spese e 
 capacità militari). In uno scenario a 25, il futuro della 
 politica estera e di sicurezza comune dipenderà da nuove 
 forme di leadership: dallo sforzo congiunto, cioè, dei paesi 
 in grado di contare quanto a impegno internazionale. E’ 
 ovvio, da questo punto di vista, che la politica di 
 sicurezza e la difesa europea non avranno realistiche 
 prospettive di successo senza una convergenza fra Francia e 
 Gran Bretagna, e cioè dei due paesi europei militarmente più 
 rilevanti. Interesse essenziale dell’Italia è che tale 
 prospettiva si realizzi ma si combini alla creazione di una 
 leadership più ampia, che includa l’insieme dei paesi 
 maggiori. Perché ciò sia possibile, è indispensabile che 
 l’Italia aumenti il proprio bilancio della difesa e in 
 generale investa maggiori risorse (umane e finanziarie) 
 nella sua azione internazionale.
 L’azione internazionale dell’Unione europea dovrebbe essere 
 basata su una più esplicita divisione del lavoro con gli 
 Stati Uniti. Sul piano geografico, l’Unione dovrà affermare 
 il suo impegno primario a stabilizzare le sue periferie, 
 integrando progressivamente i Balcani e, forse (ma lo 
 discuteremo assieme), la Turchia. Parallelamente, l’Unione 
 dovrà costruire una partnership rafforzata con la Russia; e 
 collaborare con gli Stati Uniti allo sviluppo della road-map 
 mediorientale. Interesse specifico dell’Italia, in 
 quest’ambito, è di evitare che la dinamica dell’allargamento 
 sposti verso Nord e verso Est il baricentro geopolitico 
 dell’Unione; e di garantire, invece, la centralità della 
 dimensione mediterranea dell’Unione. 
 Sul piano funzionale, l’Europa dovrà concentrare le sue 
 capacità globali nella NATO e nei processi di 
 stabilizzazione e di ricostruzione delle aree di crisi. E’ 
 anzitutto nostro interesse, prima che interesse degli Stati 
 Uniti, che la NATO resti essenziale nella gestione della 
 sicurezza occidentale. 
 La precondizione politica generale di un nuovo accordo 
 transatlantico - e di una divisione del lavoro virtuosa - è 
 che i processi decisionali rimangano multilaterali. In altri 
 termini, il funzionamento del polo occidentale - fondato 
 sulla cooperazione e sull’integrazione delle capacità di 
 Stati Uniti ed Europa - richiede scelte concertate. Solo a 
 queste condizioni, la solidità del polo occidentale darà 
 anche forza alla governance del sistema internazionale nel 
 suo complesso e a istituzioni multilaterali che vanno a loro 
 volta profondamente ripensate.
 "La prospettiva europea e la prospettiva atlantica" della 
 politica estera italiana resteranno in conclusione 
 complementari. Per ragioni storiche e per ragioni 
 geopolitiche, l’Italia ha tutto l’interesse a favorire che 
 ciò resti possibile, sulla base del nuovo accordo 
 transatlantico qui appena schematizzato. Ma perché l’Italia 
 possa influire in questo senso, due condizioni sono 
 indispensabili: una presa d’atto radicale che entrambe le 
 prospettive sono cambiate, e richiedono quindi un profondo 
 aggiornamento della visione europea e internazionale della 
 nostra classe politica, capace di collocare gli interessi 
 nazionali nelle dinamiche reali che si stanno aprendo; e la 
 capacità di parlare chiaramente al paese, aggregando un 
 consenso nazionale sugli sforzi inevitabili che dovranno 
 essere compiuti se l’Italia vorrà continuare a restare a far 
 parte della leadership dell'Unione europea. 
Carlo Scognamiglio
 GdS 28 IX 03  www.gazzettadisondrio.it
