IL PD E' MORTO. LUNGA VITA AL CAVALIERE 2013aprile20.15

L'autore, un giovane, aveva inviato questo scritto prima della conclusione della vicenda Quirinale. Pubblichiamo ugualmente come interessante passaggio della citata vicenda. E non solo... (ndr)

"Mancano pochi minuti alle sette, il silenzio cala su Montecitorio mentre la presidente Boldrini procede con lo spoglio delle ultime schede rimaste nelle urne.

Il clima è teso, i dirigenti democratici ascoltano attenti, alcuni parlamentari annotano le preferenze su dei foglietti di carta in modo da poter comunicare in anticipo un possibile risultato e porre fine così all'attesa irrequieta del Partito Democratico. L'elezione dell'ex premier Prodi è appesa ad una manciata di voti, cinque o sei lo dividono dal Quirinale.

Tuttavia mancano ancora un centinaio di schede da scrutinare quando, purtroppo, i numeri sono già chiari: Romano Prodi non ce la fa, si ferma a 395 preferenze, ampiamente sotto la soglia dei 504 voti necessari.

L'apprensione leggibile sui volti dei Democrats lascia presto spazio allo sconforto, alla disperazione per un altro passo falso compiuto da un partito che con l'elezione di Prodi si stava giocando la propria integrità e credibilità.

Bersani sa che da questa votazione dipende il futuro del partito e la sua stessa unità di fronte al paese, Berlusconi e Maroni hanno infatti ritirato i propri parlamentari in modo che la partita si giochi tutta all'interno del Pd e che il centrosinistra si assuma tutte le proprie responsabilità di fronte ai cittadini.

Una mossa azzeccatissima del Cavaliere che, chiamandosi fuori dai giochi, lascia consumarsi sotto gli occhi della nazione la faida interna al centro sinistra ed al Partito Democratico, quello stesso partito che vorrebbe assumersi l'incarico di formare un governo e guidare un paese.

La strategia di Berlusconi è dunque impeccabile: Prodi non passa, si allarga la frattura interna al partito di Bersani, in preda al panico ed al disordine più totale.

Deputati e senatori del PD, impietriti e scioccati, si accalcano verso le porte di Montecitorio ancora increduli, evitando qualsiasi media si allontanano affranti con il peso sulle spalle di un nuovo fallimento.

Non si erano ancora placati i malumori dopo la sconfitta della linea dirigenziale sul nome di Marini quando arriva la disfatta anche su un candidato che era parso unire tutti, Renziani e Bersaniani indistintamente.

Tuttavia i numeri parlano chiaro, non sono mancati pochi voti al professore di Bologna ma un consistente gruppo di ben 109 grandi elettori del PD sembra aver tradito nell'urna la linea decisa all'unanimità la sera prima.

L'immagine che hanno gli Italiani dopo le votazioni di ieri è di un partito confuso, debole, allo sbando, sul punto della scissione, un partito che vorrebbe governare l'Italia ma che non sa gestire nemmeno se stesso.

E nemmeno col sole che tramonta sembra placarsi la bufera che sta che sta travolgendo le colonne portanti della struttura PD.

In serata, Romano Prodi ,con un comunicato, fa sapere che ritira la propria candidatura, prevenendo così una nuova possibile brutta figura come quella di ieri pomeriggio, procuratagli dalla disorganizzazione di un partito sfasciato.

Sono le nove di sera e mentre si smentiscono le dimissioni di Bersani, che sta riunendo i grandi elettori, arrivano contemporaneamente quelle del Presidente del partito Rosy Bindi che lascia più per "non portare la responsabilità della cattiva prova offerta dal Pd" che per mea culpa.

Un ora dopo, smentendo le smentite, anche il segretario Bersani annuncia la propria intenzione di dimettersi, non esitando a scagliarsi contro tutti quelli che considera "traditori", quei 101 grandi esponenti che si sono rivelati dei franchi tiratori.

L'insuccesso della linea Bersani travolge tutto e tutti, arriva come il colpo di grazia che segna definitivamente il crollo dell'establishment democratico, il cui declino era stato segnato dal risultato elettorale.

Questi infatti, sono gli ultimi battiti di un partito morente, che ha sbagliato su tutto e su tutti a cominciare dalla campagna elettorale, proseguendo diritto senza vedere l'inevitabile destino a cui andava incontro.

Fin dalla proposta di candidare Marini, Bersani ed il Pd avevano intrapreso una strada suicida, proponendo un nome simbolo della vecchia politica in un momento come questo bisognoso come non mai di cambiamento, avevano candidato un veterano delle istituzioni che aveva da subito diviso tutti, a partire dagli stessi iscritti che, in segno di protesta, erano arrivati ad occupare le sedi di partito ed a bruciare le proprie tessere.

In questa logica anche Romano Prodi, nonostante lo stimatissimo profilo politico-istituzionale, è stato visto come un ritorno al passato, come una mancata volontà di cambiare da parte di un Partito Democratico che si ostina a non considerare il candidato a Cinque Stelle Stefano Rodotà, una figura di alta caratura che potrebbe aprire nuovi orizzonti a possibili intese con lo stesso movimento di Grillo.

Da questa mattina dunque è chiaro che tutto il PD dovrà scegliere, scegliere se finire la fossa che il partito ha iniziato a scavarsi dopo le elezioni o se seguire la volontà di rinnovamento che gli stessi Italiani hanno fatto emergere con il voto. A loro la scelta.

Francesco Marotta

Secondo inserimento (A GRANDI LETTERE!) :

Caro Friz,

Francesco é anche troppo "buono" con i politici che sono solo uno sfregio del Parlamento. Io sarei, anzi sono molto più "dura" e cattiva per quello che non hanno fatto per il Paese. Questi presunti Presidenti non meritano di rappresentare L'Italia per i loro vizi di approfittare del nostro Paese, in tutti i modi. Mi viene da piangere a pensare a quanti funzionari onesti, solo che non erano legati con la tessera ad alcun partito, sono stati dimenticati ed abbandonati ed ora vivono con una pensione che é poco più di 2000euro.

Postalo a grandi lettere, anche il mio " piccolo commento".

Maria

Francesco Marotta
Politica