12 10 10 'I LIMITI DEL QUIRINALE'

Di seguito l'articolo pubblicato l'ott8 dicembre sul quotidiano "Europa" in risposta all'editoriale di "Montesquieu". Cosa ne pensate? (Mario Segni - msegni@tin.it)

Caro direttore, ho grande considerazione delle opinioni di Montesquieu, di cui non perdo un articolo. Quello di ieri affronta il tema centrale, la scelta di governo fatta dagli elettori in rapporto al Parlamento e al Capo dello Stato.

Montesquieu esprime con chiarezza le sue idee. Ma questa volta non sono d'accordo.

Non c'è dubbio che la Costituzione è rimasta immutata e che non contiene alcuna norma che limiti il Capo dello Stato nella scelta del Presidente del Consiglio in caso di crisi.

Ma è altrettanto indubbio che con il referendum del 1993 e la conseguente legge elettorale maggioritaria il sistema politico è sostanzialmente cambiato, anche se formalmente è rimasto lo schema parlamentare classico. Quel referendum introdusse il principio che, a tutti i livelli, la scelta del governo va ricondotta al voto popolare.

Fu grazie alla spinta del movimento referendario che questo principio fu consacrato in norme per il sindaco, il presidente della provincia e quello della regione. La modifica costituzionale che avrebbe codificato la regola anche per il governo nazionale non è mai stata attuata, è vero. Ma la legge elettorale maggioritaria ha talmente inciso sulla prassi e sul costume politico che dal 1994 ad oggi la campagna elettorale si è tradotta prima di tutto nella scelta del premier, ogni elezione si è concentrata sul duello tra i candidati alla guida del governo, ogni schieramento politico vi ha partecipato presentando il suo candidato. Può essere questo ignorato? E si può pensare che non abbia un valore costituzionale, oltre che politico e morale? Io penso che un governo espresso dai parlamentari che votassero la sfiducia sarebbe in contrasto con lo spirito costituzionale, anche se non con la sua lettera. Ovviamente il fatto che la lettera della Costituzione sia rimasta uguale non può essere ignorato. E per questo nel limite detto, il rispetto della volontà popolare, il Capo dello Stato può avere una sua discrezionalità, ad esempio un governo di salute pubblica, sganciato dai partiti, in una emergenza nazionale. Risponderebbe a questa logica un governo del presidente per fronteggiare la crisi finanziaria. Anche nel paese più bipolare , l'Inghilterra, Churchill formò nel 1940 un governo di unità nazionale. Ma dietro il dibattito istituzionale vi è una grande questione politica, la più grande del periodo che ci attende.

La vicenda berlusconiana deve travolgere il bipolarismo? La fine della sua leadership, che prima o poi avverrà, deve portare anche alla fine del nuovo corso? È questo che pensano, non solo a sinistra, tanti di coloro che hanno partecipato con entusiasmo alla rivoluzione referendaria.

Di questo diffuso stato d'animo la colpa è innanzitutto di Berlusconi, lo dico con chiarezza. Il suo spregio per la legalità, le leggi ad personam, il rifiuto delle regole e dei contropoteri, la creazione di un partito proprietà, portano tanti a considerare pericoloso ogni rafforzamento del governo. Ma in questa posizione vi è un errore storico: Berlusconi non è l'artefice del bipolarismo, che è nato con i referendum del '91 e del '93 quando ancora non era entrato in politica. E il nuovo corso (da lui spesso osteggiato nei fatti), pur avendolo favorito in alcune situazioni, ha realizzato sinora una perfetta alternanza e ha portato per due volte la sinistra al governo, per la prima volta nella storia repubblicana.

Ma vi è soprattutto un errore di prospettiva. La riforma maggioritaria nasce da qualcosa di ben più alto della vicenda berlusconiana, e che riguarda la intera fase storica che attraversiamo. Nasce da una esigenza valida nel '90 e oggi essenziale: quella di rafforzare le Istituzioni e soprattutto il governo. Nell'era della globalizzazione e delle sue sfide mondiali può reggere un Paese senza governi stabili, forti, in grado di decidere e di guidare la società? Può farlo solo se accetta un futuro di mediocrità e di declino. Vogliamo condannarci a questo per paura di un secondo Berlusconi? Il bipolarismo ha bisogno di regole e contropoteri che oggi non vi sono e della cui assenza Berlusconi ha approfittato. L'ho sempre detto, ho continuato a ripeterlo anche negli anni in cui Casini e Fini lo appoggiavano, e lo penso tuttora. Ma non mi arrendo, non rinuncio al sogno e all'obiettivo di una Italia diversa. Facciamo le regole che occorrono, poniamo i limiti che mancano.

Ma per carità non torniamo indietro di vent'anni per paura del nuovo!

Mario Segni

Mario Segni
Politica