L'enfasi - Il "falso ideologico" - Perché i soldati italiani...? - Il rischio - Ingiustizia mondiale

L'ENFASI

IL titolo sembra un gioco di parole, e forse lo è. Resta
comunque il fatto che, almeno da quanto si è visto alla
televisione e letto sulla stampa, l’enfatizzazione celebrativa
(o commemorativa) è stata grandiosa, spettacolare persino,
oserei dire quasi irrispettosa delle povere vittime di quella
immane tragedia, sia negli USA, sia in Italia, sia nel resto del
mondo occidentale o legato all’occidente.

In alcuni paesi Islamici, le manifestazioni sono state di segno
opposto, ma l’enfasi sembrava di uguale portata.

I Mass-media hanno preparato per tempo il terreno, creando una
sorta di psicologia dell’attesa, con titoli altisonanti e
insinuanti nuovi pericoli, rischi costanti, imminenti attentati,
possibili nuove catastrofi.

Tutti, nessuno escluso, hanno fatto da cassa di risonanza ai
proclami di qualche ministro e del Capo del Governo che, con
toni più o meno allarmati, invitavano i cittadini alla costante
vigilanza, al fine di scongiurare eventuali attentati.

Dagli Stati Uniti ci sono arrivate notizie e immagini che
mostravano le manifestazioni di popolo; in special modo da
New-York, dove, per l’occasione, sono stati scanditi in un
silenzio tombale e alla presenza delle migliaia di persone
presenti, i nomi delle vittime del terribile attentato dell’11
settembre 2001.

Il cerimoniale ufficiale è stato perfetto, i discorsi
appropriati per l’occasione, i visi dei personaggi “che contano”
erano seri, compunti, quasi commossi.

Insomma, si è avuta l’impressione (da comuni cittadini
spettatori) che i “grandi della terra” presenti nei vari luoghi,
dove il popolo era riunito per commemorare i propri congiunti,
amici e conoscenti, fossero veramente partecipi del dolore
(vero) di tanta gente semplice duramente colpita dalla follia
omicida dei terroristi.

IL
"FALSO IDEOLOGICO"


Quello che, a mio modo di vedere, stonava e stona tuttora in
tutta la spettacolarizzazione del fatto doloroso, è una sorta di
falso ideologico presente prima, durante, e dopo, la
celebrazione della tragica e fatale data. Insomma, più che una
commemorazione mi è parsa una celebrazione.

In poche parole, il falso sta nel partecipare a compiangere i
morti, vittime innocenti di un atto di violenza e, allo stesso
tempo, nel pensare come mettere a punto una nuova recrudescenza
vendicativa dello stesso tenore violento, ossia nel preparare
una nuova guerra.

E’ quanto stanno facendo alcuni “signori” capeggiati dal
Presidente americano Bush, dal Primo Ministro inglese Blair e,
purtroppo (e non si capisce in quale logica), dal nostro Capo
del Governo Berlusconi.

Certo, i pretesti per scatenare un nuovo conflitto non mancano e
se mancano si inventano. Ma, agli occhi dei più, sono e restano
solo pretesti; e i pretesti, si sa, non convincono più nessuno.


Hanno voluto fare la guerra in Afganistan per eliminare i
Talebani e per prendere Bin Laden, autore degli attentati alle
torri gemelle di New-York (ci hanno detto); veniamo poi a sapere
che Bin Laden è fuggito in moto (roba da ridere) e che i
Talebani si sono rifugiati in Pakistan. Essendo il Pakistan,
però, alleato degli Americani, i Talebani rifugiatisi colà
stanno tranquilli e al sicuro.

Tranne poche voci libere, nessuno dei potenti ha spiegato,
invece, che il dominio sull’Afganistan è essenzialmente fondato
sulla necessità di avere una via protetta e breve per il
passaggio del petrolio dai ricchi giacimenti del Turkmenistan al
Golfo Persico; come nessuno ha spiegato che le vere ragioni
dell’alleanza tra Bush e Putin, per la cosidetta guerra al
terrorismo, nasconde sempre interessi legati al trasporto del
petrolio (in questo caso dal mar Caspio al Mar Nero attraverso
il territorio della Cecenia).

PERCHE'
I SOLDATI ITALIANI...?


Stando così le cose, c’è da chiedersi per quale motivo i soldati
Italiani si trovano in Afganistan, quali interessi dobbiamo
difendere in quel Paese? Dal momento che non è un intervento
umanitario, perché dobbiamo assumerci l’onere (il costo) di
quelle operazioni? IL discorso a questo punto si fa lungo,
complicato e avrebbe bisogno di altri spazi.

Ma una domanda ancora è d’obbligo. Perché il nostro presidente
del Consiglio Berlusconi, sempre prolisso di spiegazioni e di
promesse, non ha mai spiegato agli Italiani dove va a reperire
le centinaia di miliardi di euro per coprire i costi della
avventura Afgana? Bella domanda, dirà qualcuno.

La risposta a sorpresa più eclatante la troveremo nella prossima
finanziaria, con i tagli, già annunciati, sui finanziamenti alla
scuola, alla sanità e alla assistenza. I soldi, cioè, si
reperiranno sottraendoli alla spesa sociale.

In buona sostanza , sia in America, che in Italia (e nel resto
del mondo occidentale), chi paga, per le politiche di potenza e
di dominio dei propri governanti, sono sempre i meno abbienti e
i poveri.

E c’è di più. Una tendenza, fortemente in atto negli Stati
Uniti, che sta prendendo piede anche in Europa, è quella di
“attaccare” il sistema della previdenza sociale (le pensioni).

IL
RISCHIO


Perché tale attacco? si chiede un noto professore del famoso MIT
(Massachussets Institute of Tecnology) Americano, Noam Chomski.
Perché, dice, “la sicurezza sociale è basata su principi etici
di solidarietà; e tutto quanto si riferisce a quei princìpi deve
essere distrutto. Perché nessuno deve occuparsi dell’altro.
Perché la preoccupazione verso l’altro è oggi la più profonda e
rivoluzionaria idea che da fastidio al loro sistema e quindi
deve essere eliminata”.

In Italia non siamo immuni da questi attacchi e da questi
rischi. I tentativi sono in atto da tempo e la vigilanza
dovrebbe essere più forte e più attenta, perché i messaggi che
vengono diffusi ad arte (dalla stampa, radio e televisione) sono
sottili, sinuosi, accattivanti e spesso fanno presa proprio tra
i soggetti più esposti e indifesi.

La diffusione dell’individualismo, dell’edonismo, della
eccessiva cura ”dell’apparire”; il dilagante disinteresse per la
cosa pubblica, per la politica, per la fede religiosa;
l’eccessiva attenzione al guadagno immediato, ai meccanismi più
o meno corretti della competitività, eccetera, sono
atteggiamenti che di fatto negano il principio etico e
fondamentale della solidarietà.

La distruzione dei principi etici, e tra questi la solidarietà,
apre la porta all’imbarbarimento dei rapporti, tra le persone, i
popoli, le razze; tra le nazioni e le diverse culture.

E allora, la violenza, le rappresaglie e la guerra, prima che di
prevenzione e di difesa, diventano strumenti di imposizione
delle proprie regole e di repressione del dissenso.

Prima di concludere desidero fare ancora una breve
considerazione e porre un paio di domande.


INGIUSTIZIA MONDIALE


Se è vero (e non ho dubbi in merito) che Europa, Stati Uniti e
Giappone, pur rappresentando solo il 20% dell’umanità,
posseggono l’85% della ricchezza mondiale, vuol dire che questi
Paesi hanno costruito un sistema politico – economico che
emargina e impoverisce l’80% della popolazione mondiale. Siccome
Domine Dio non può aver costruito un ordine così sghembo e
ingiusto, significa che tutto ciò è opera dell’uomo. Anzi di
pochi uomini senza scrupoli al di sopra e al di fuori di ogni
regola comune e condivisa. Si noterà che il mio, non è
antiamericanismo di maniera.

Domanda: il terrorismo vero da chi è esercitato? Forse dagli
esclusi, dagli emarginati, denutriti e dagli ammalati cronici?
Ciascuno risponda come meglio crede.

Infine noi, se non ci sentiamo responsabili di tanta ingiustizia
e desideriamo prendere le distanze da chi impunemente schiavizza
l’umanità, a cosa siamo disposti di rinunciare per instaurare
nel mondo un sistema più equo, dove regni sovrana la giustizia,
la concordia e la pace?

Come in altre occasioni, anche ora ribadisco la mia profonda
esecrazione per ogni atto di violenza e di terrorismo, ma la mia
coscienza mi impedisce di aderire o di giustificare iniziative
che prevedano il ricorso alla guerra per risolvere un problema
diversamente risolvibile.

Sono sicuro di essere in buona compagnia con tantissimi
cittadini comuni, personaggi della cultura, della chiesa, della
scienza, delle arti, dello sport; uomini politici e delle
istituzioni democratiche che condividono questa idea, ed è
proprio con questa convinzione che grido il mio NO alla guerra.
Io, che in alcune occasioni ho conosciuto vittime, e famigliari
delle medesime, per atti di terrorismo, non posso associarmi a
plateali occasioni celebrative, mentre mi inchino alla loro
memoria e partecipo solidale al dolore dei loro congiunti
superstiti in silenziosa commemorazione.
Valerio Dalle Grave

Vdalleg@tin.it


GdS 28 IX 02 -
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Valerio Delle Grave
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