Arabia, si cambia. USA, si cambia. Irak, si cambia. EUROPA E ITALIA NO.

Arabia, si cambia - USA, si cambia ma in Irak si continua a morire - Irak, si cambia - Europa non si cambia - Italia non si cambia

ARABIA,
SI CAMBIA



Arabia, si cambia. Dopo un lungo periodo di malattia, un ictus,
che lo aveva colpito dieci anni fa e ne aveva compromesso
vitalità e potenzialità – anche se in momenti di pieno risveglio
ritrovava tutta la sua energia e imponeva le sue volontà – Re
Fahd bin Abdul Abdul Aziz se ne è andato. 23 gli anni di regno
dopo essere stato nei 29 anni precedenti nel Governo e ai
vertici del potere.

Gli succede suo fratello Abdullah Bin Abdel Aziz, per
l’esattezza fratellastro visto che il padre, prino Re saudita
Abdul Aziz ibn Saud, di figli ne ha avuti altre 37, ovviamente
con madri diverse. Era l’erede al trono e, dopo la malattia del
re, reggeva il potere. Anche lui ha superato gli ottanta, e
pochi anni di meno – ne ha 78 – si ritrova il nuovo principe
ereditario, fratello del nuovo re, Sultan bin Abdul Aziz.

Re Fahd era più americano degli americani. Il suo legame con gli
USA era strettissimo, anche se poi qualcuno accusa l’Arabia,
anche se forse non lo Stato e neppure la dinastia regnante, di
finanziare gruppi terroristici.

Sono tutti convinti, e in primis gli stessi americani, che il
futuro non sarà più rose e fiori con il nuovo Re. Certamente non
sembra capace di grandi slanci innovativi Re Abdullah, anche se
chi lo conosce ne apprezza alcune capacità e volontà, come il
suo tentativo di combattere la corruzione.

C’è però un altro dato che merita di essere considerato, anche
se quasi nessuno ne ha parlato (non è la prima volta che succede
e il nostro giornale non è mai stato smentito dai fatti…). Osama
Bin Laden, colui che mirava a sedere su quel trono oggi di
Abdullah. Il crollo, imprevisto nella pianificazione
dell’attentato, delle Torri Gemelle, date per resistenti anche
all’impatto di un aereo, gli ha guastato i piani.

Non è un caso che appena incoronato il nuovo Re, sia arrivato
dalla TV il minacciosissimo proclama del numero due di Al Qaida.
Tutti lo hanno letto in chiave antioccidentale. Certo, in parte
lo è, ma in parte – cosa non sottolineata da alcuno – ha altro
significato. Era il messaggio ad Abdullah che ha di fronte a sé
la scelta. O la via di una intesa, magari anche sofisticata e
mascheratissima, oppure lotta senza quartiere, a tutto campo.
Religioso, politico, dinamitardo.

Si accredita il nuovo re di una mentalità più “aperta”, per così
dire. Ma cambiamenti radicali sono da escludersi in un Paese che
oggi si interfaccia, dal basso, con la vastissima Casa regnante,
e con regole di vita che non sono suscettibili di quei
cambiamenti che pure in altri Paesi arabi ci sono stati e ci
sono, anche per il formale ruolo di “servi di Dio”, fedeli
custodi dei due luoghi santi dell’Islam, di Abdullah e Sultan.
Non da ultimo c’è un problema di età, visto che il nuovo re, per
quanto in ottima salute, non ha molti anni davanti per delineare
e perseguire una strategia di sviluppo del Paese fondata su basi
nuove.

USA, SI
CAMBIA MA IN IRAK SI CONTINUA A MORIRE


Stavolta si cambia anche negli Stati Uniti. Per quelle strane
ragioni che ci sono sempre restate e ci restano inspiegabili per
il periodico verificarsi di una sorta di zone d’ombra su talune
notizie di carattere internazionale, anche rilevanti. I nostri
lettori assidui ricorderanno – e in ogni caso è ancora
consultabile oggi, basta andare agli indici – l’intervista
concessa da Saddam Hussein prima della guerra, la prima dopo
dodici anni. L’aveva pubblicata un giornale egiziano ma la
stampa nazionale aveva ignorato del tutto la cosa, non certo
trascurabile. L’abbiamo pubblicata noi.

Così ci è capitato di trovare su “La Presse de Tunisie” un
esemplare ed equilibrato articolo di analisi della situazione
americana, anche sulla base di sondaggi, ignorati in Italia, che
vedono diffondersi fra gli “yankees” in modo maggioritario la
convinzione che la partita in Irak sia persa per gli USA. Alle
spalle l’iniziale sindrome dell’11 settembre, comprensibile, poi
l’orgoglio nazionale, l’idiosincrasia, a dir poco, nei confronti
di Saddam, il timore delle armi di distruzione di massa. Poi
l’ottimismo dei Capi, la previsione di un blitz più che di una
guerra, e quindi la liberazione di un popolo che s’inginocchierà
plaudente di fronte ai liberatori. Alle spalle, e in
prospettiva, un quadro molto fosco, e qualcuno che sempre meno
sommessamente evoca lo spettro del Vietnam.

Di qui la trovata: si cambia. Irakeni, approvate in fretta la
Costituzione che poi a status del Paese definito, dice Rumsfeld,
ce ne andremo. Non vien detto quello che tutti pensano: cosa
succederà alla partenza delle truppe occidentali in quel
disgraziato Paese. Ma sarà salva la faccia e il cassiere potrà
risparmiare dopo aver dovuto scucire i cordoni della borsa in
modo molto, molto più massiccio rispetto a quanto previsto.
Ennesima dimostrazione comunque, anche se poi le cose non
andassero del tutto così, della straordinaria superficialità con
la quale è stato affrontato il problema Irak-Saddam. Abbiamo
continuato a dirlo da allora, da quando con un’arroganza degna
di miglior causa Rumsfeld definì sprezzantemente gli inviti
europei alla cautela “voci della vecchia Europa” mentre erano
“voci della saggia Europa” rimaste inascoltate. Chi lascia la
via vecchia per la nuova, con quel che segue, è consolidata
eredità della saggezza popolare che non esclude l’innovazione ma
ammonisce di perseguirla soppesando bene le cose.

Distrutto il patrimonio mondiale di solidarietà per gli USA dopo
l’11 settembre. Portato un Paese da una dittatura, certo, ma
ordinata (vanno dette le cose come stanno anche se sappiamo come
finiva chi la pensava diversamente. Però quanti sono i Paesi
oggi nelle stesse condizioni dell’Irak di Saddam?) ad un Paese
in preda ad una lunga guerra civile. Saltate tutte le previsioni
di spesa, e di ricavi. Sconquasso nell’economia mondiale, in
particolare per la strada che ha preso il petrolio. Eccetera. E
non dimentichiamo i morti. Non solo i soldati che si stanno
avvicinando al numero di 2000, con un effetto psicologico
devastante visto che negli USA hanno problemi di arruolamento e
tra un po’, se va avanti così, l’Esercito dovrà ricorrere a
provvedimenti straordinari, mutuando magari la Legione Straniera
della Francia. La strage dei civili. Il Sole 24 Ore ha riferito
della risposta – stile Rumfeld, Dio li fa e loro si accoppiano –
data dal generale Tommy Franks alla domanda sul prezzo pagato
dalla popolazione civile: “Noi non teniamo il conto dei morti”.
Ha anche riferito del dossier redatto da un’organizzazione
volontaria anglo-americana secondo cui tra il 2003 e il marzo
2005 sarebbero state 24.865. L’articolo citato in precedenza de
“La Presse” riferiva invece di 100.000 civili uccisi sinora.
Vista la metodologia, abbastanza seria, del dossier c’è da dire
che 100.000 sembra un dato eccessivo. Considerato però che il
dossier appare abbastanza preciso per Bagdad ed altre città
principali ma resta il dubbio sul resto del territorio del
Paese, quasi una volta e mezzo l’Italia, anche i 24.865 sembrano
non del tutto attendibili. Probabile la via di mezzo. E non è
finita.


IRAN, SI CAMBIA


Quando le cose vanno storte lo scenario complessivo diventa una
specie di rosario. Uno dopo l’altro i nodi vengono al pettine.
Sembrava scontata, in Occidente, la vittoria del moderato
Presidente uscente Akbar Hashemi Rafsanjani che però si è
fermato a poco più di un terzo dei voti. Uno sconosciuto, in
Occidente, governatore di provincia, Mahmoud Ahmadinejad, ha
stravinto le elezioni con il 62% dei suffragi. Se non siamo al
komeinismo poco ci manca, con il vessillo ultraconservatore che
sventola su Presidenza della Repubblica e Parlamento sotto l’ala
protettrice dei religiosi conservatori. Le preoccupazioni sulla
stampa sono per la ripresa dell’attività nucleare, verso la
bomba atomica. Ci sono, ma devono essercene di più serie ancora.
Irak e Sciti irakeni, - in Iran dominano gli Sciti -, mondo
arabo eccetera. Altra perla della collana legata alla guerra
sbagliata, o comunque al modo sbagliato di farla, in Irak.

Chissà se Ahmadinejad avrà mandato a Rumsfeld qualche prezioso
tappeto persiano per ringraziarlo dell ‘indiretto ma importante
contributo, per quanto non certamente voluto, dato dal Capo del
Pentagono alla sua elezione…

EUROPA,
NON SI CAMBIA


Velo pietoso sull’Europa. Ci sarebbe da prendere il vecchio
continente e, anche se non ci sono simpatici, metterlo sotto
protettorato inglese, con Blair che decida per noi. Sarebbe
l’unica. Non c’è, ahimè, altro da dire.

ITALIA,
NON SI CAMBIA


Ci sarebbe da prendere esempio, non ci va l’idea ma quel che è
giusto è giusto, da Blair e dagli inglesi. Fosse successo da noi
l’attentato di Londra altro che giornalisti tenuti distanti! Ci
farebbero vedere in TV e leggere sui giornali ogni più recondita
notizia di questo e quello. Il Governo sarebbe stato un
disastro. I Servizi inesistenti. Tutti saprebbero, dopo, cosa si
doveva fare prima. In Parlamento baruffe tra maggioranza e
opposizione. Chi vorrebbe da un lato la pena di morte o giù di
lì e chi, come succede ora, avanzerebbe mille problemi in nome
della privacy, delle libertà astratte e quant’altro. Il bello è
poi che se si sente la gente, quella che conta in quanto in caso
di attentati è quella che paga, la musica è del tutto diversa.
Nelle discussioni di bar, di piazza nei luoghi di lavoro Blair e
la su apolitica di fermezza incontra un favore quasi generale.
Se ne tenga conto anche a Roma.

Un esempio, dl resto, di come l’Italia non voglia cambiare lo
offre la situazione che si è determinata negli ambienti
finanziari con la storia delle banche, di Fazio, delle
intercettazioni telefoniche e del resto. Addirittura il nuovo
arrivato, Ricucci, fa paura perché mira al Corriere della Sera.
Un tempo la Montecatini, colosso della chimica, era governata da
un sindacato di controllo con i bei nomi della finanza italiana
che riuniva in tutto solo l’11% delle azioni. La RCS non è in
queste condizioni visto che il Sindacato di controllo ha oltre
il 56&. Cosa può fare Ricucci con il 20%? Lanciare un’OPA? Ma se
il 56 e rotti non vende? Evidentemente il discorso è dunque un
altro. Ai padroni del vapore non va che si ebba fare posto a
qualche altro condomino. E quindi guerra, su tutti i fronti.
Palazzo di Giustizia come ai tempi di tangentopoli è una
grattugia, piena di buchi per fare uscire le notizie che
interessano, e per grattare la schiena a chi si vuole. Chi,
come, perché? Ovvio: il colpevole va forse ricercato tra le
donne delle pulizie che hanno accesso agli uffici?

Lotta di potere, furibonda, senza esclusione di colpi. E questa
volta il mondo politico non c’entra, nonostante qualcuno cerchi
di tirare in ballo Berlusconi. La su smentita non fa testo
perché ci sarebbe anche se le cose fossero vere. Che Berlusconi
non c’entra è una questione di logica: sarebbe un vero “cucù” se
ci fosse lui dietro operazioni aventi di mira RCS, che finiranno
non con il cambio di assetto proprietario ma con guadagni secchi
dei personaggi in vista.

Non si cambia dunque. Basti pensare all’on. Grillo. Ha
ufficialmente dichiarato che a Milano c’è una sofisticatissima
centrale di intercettazioni telefoniche della Telecom in grado
di arrivare nelle nostre case, nelle alcove di chi si concede
scappatelle extraconiugali, negli studi dei managers e quant’altro.
I casi sono due: o è fantapolitica e allora l’on. Grillo
dovrebbe essere pubblicamente ripreso in Parlamento perché non
si può approfittare del diritto di parola coperto dall’immunità
per diffondere notizie pesanti; o la cosa non è affatto una
bufala di mezza estate e allora ci vorrebbe una vera e propria
indagine parlamentare (una magari anche alle ricorrenti fughe di
notizia dal palazzo di Giustizia di Milano in totale assenza i
provvedimenti punitivi). Neanche per sogno. E stampa, chissà
come mai, silenziossima…

Chissà perché in questo nostro Paese non si riesce a cambiare.
Almeno una cosa ci vorrebbe, da riprendere dagli inglesi. Nei
momenti cruciali, come per le Olimpiadi del mondo antico, stop
ai conflitti e tutti sulle mura. Litigi rinviati a pericolo
cessato. Ma perché in Italia quello che fa il Governo –qualsiasi
e di qualsiasi colore politico – per l’opposizione è sempre
sbagliato, e quello che dice l’opposizione vien giudicato
regolarmente una fesseria da parte della maggioranza?

Andiamo avanti così e finiremo male.

a.f.



GdS 30 VII 2005 - www.gazzettadisondrio.it

a.f.
Politica