Asterischi. Delendi Saddam e Arafat - E Borsa mutanda Delendus Saddam - Delendus Arafat - Borsa mutanda

Delendus Saddam - Delendus Arafat - Borsa mutanda



Delendus Saddam


Per l’Amministrazione americana, concordi in questo l’attuale
repubblicana e la precedente democratica, il nemico pubblico
numero due – prima dell’11 settembre era il numero uno – è
Saddam Hussein. Guarda caso proprio quello che era stato il
coccolatissimo e finanziatissimo alleato dell’Occidente quando
per un decennio di guerra fronteggiò Komeini e il Khomeinismo.

E’ un’avversione che ha ragioni complesse, in un intreccio di
politica dello scacchiere medio-orientale, e di maxi-interessi
privati di colossi multinazionali.

Politica dal fiato corto, retaggio di un passato debolissimo
della politica estera americana sostanzialmente con la sola
eccezione del periodo in cui fu Segretario di Stato “l’europeo”
Kissinger cui fu impedita l’elezione alla Casa Bianca,
altrimenti molto probabile, solo dalla clausola che vieta a chi
non è nato negli Stati Uniti la Presidenza.

L’Irak continua ad essere uno Stato laico. Si abbattesse Saddam
la nuova dirigenza, da creare dal nulla o quasi, sarebbe
talmente debole da cedere in breve tempo, salvo l’instaurazione
di un regime duramente dittatoriale. In ogni caso sarebbe
un’occasione ghiotta per il fondamentalismo islamico.

L’Europa che di politica estera per cultura e tradizione se ne
intende – salvo poi magari non riuscire a tradurre
operativamente le conclusioni – questo pericolo lo avverte e
cerca di frenare l’alleato Yankee. Fino a quando?

Delenda Carthago, Cartagine è da distruggere sentenziavano a
Roma. Delendus Saddam, Saddam è da distruggere, sentenziano a
Washington. I Romani però allora guardavano avanti. Negli USA si
guarda indietro e non si vede cosa potrebbe esserci davanti.



Delendus aRAFAT


In fatto di “delendi”, personaggi da distruggere, oltre Saddam
adesso c’è anche Arafat. Per Sharon da sempre, per gli USA, e
per Bush, da poco.

La differenza è che Sharon parte guardando indietro ma, a suo
modo, guarda avanti. Via Arafat infatti viene a mancare un
simbolo per i Palestinesi e un riferimento elevato per il mondo
intero. I successori non avrebbero carisma sufficiente, il mondo
palestinese si spaccherebbe indebolendosi al massimo, molto più
di quello che non sia ora, e sul piano internazionale i
Palestinesi perderebbero molti colpi. Israele potrebbe giocare
su queste divisioni e arrivare al redde rationem finale con
Hamas e gli altri oltranzisti. Sharon quindi guarda avanti,
avendo come obiettivo un’Israele forte con, al più, un futuro,
molto futuro, Stato Palestinese debolissimo e satellite.

Bush dovrebbe a sua volta guardare avanti, su uno scacchiere che
vada oltre quella porzione di territorio grande meno della
Lombardia nella quale sono arrivati da ogni parte ebrei spesso
perseguitati e su cui incombe il ricordo dell’immane barbarie
nazista, oggi israeliani che hanno il pieno diritto non solo di
uno Stato ma di uno Stato riconosciuto e definitivamente sicuro.
Non ci sono soltanto gli altri diritti, quelli dei Palestines
molti dei quali da generazioni vivono nei campi in cui,
allontanati dalle loro case e dalle loro zone, e che guardano
con diffidenza alle risoluzioni dell’ONU che le ha sì adottate
ma che non è riuscita a farle applicare. C’è in gioco il
problema dei rapporti con l’intero mondo arabo, c’è da fare i
conti con l’alibi che si offre al fondamentalismo islamico, c’è
soprattutto in ballo il concetto stesso di Giustizia per i
Popoli, per tutti i popoli.

Il vero “delendus”, anzi “delendum” in quanto neutro, è il
terrorismo, non c’è dubbio. Ma anche Israele va messo in riga. E
dire questo non è affatto fare dell’antisemitismo. Al contrario.
Una posizione di questo genere è l’unica in grado di
salvaguardare il futuro delle giovani generazioni israeliane e
palestinesi che deve essere enormemente migliore del passato, e
anche del presente, per entrambi i popoli.

Borsa mutanda

La borsa era divenuta il Paese del Bengodi. Bastava comprare
oggi, aspettare, secondo i cai, qualche settimana, qualche
giorno, magari anche qualche minuto, e poi vedere incasellando
il guadagno. Era un esercizio semplicissimo al quale si erano
avvicinati le persone più disparate, compresi pensionati e
casalinghe. Chi non giocava in borsa veniva guardato come un
minus quam: “Come, tu non giochi in borsa?” e il povero
derelitto che non leggeva i listini, che non seguiva le
quotazioni, che viveva una vita tranquilla passava come quello
che recatosi in visita a Venezia o Firenze passava il suo tempo
fra la hall dell’albergo, il bar attiguo e il cinema di fronte.

Poi la fisica ha cominciato ad avere il sopravvento, in
particolare il principio dei vasi comunicanti. Tantissimi
recipienti, tutti collegati fra loro e a un serbatoio da
tubicini. Può succedere che il livello di qua si innalzi per
effetti di pressione, ma in totale l’acqua è quella che é. Pur
con le discrasie ovvie, il valore complessivo del mercato può
oscillare ma se il livello in un recipiente sale molto c’è
qualcosa che non va.

In un mercato mondiale, con scambi quotidiani che superano di
gran lunga il bilancio annuale degli Stati più importanti, con
ondate massiccie di speculazione, con gente che sa le notizie un
minuto prima degli altri, con onesti ma anche con disonesti (si
veda quanto sta succedendo negli USA), fanno tenerezza quei
commentatori che appaiono in TV a spiegare che il ribasso del 2%
è dovuto alle notizie sull’andamento della produzione
industriale piuttosto che per altri argomenti consimili.

“Borsa mutanda”. C’è da cambiare. Ma c’è soprattutto da cambiare
mentalità della gente tornando ad una cautela del passato che ha
permanente validità: alla ricerca di grandi redditi di capitale
corrisponde si batteva per affermare idee giuste, purtoppo con
metodi sbagliati”.

Un commentatore (classificato peraltro di sinistra): “il
carabiniere ha sparato perché non voleva diventare una medaglia
d’oro alla memoria”.

In questi due commenti la migliore sintesi di Genova 2001.
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GdS 28 VII 01 -
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