Le bombe vi fanno bene, parola di liberal

Niente da fare. La scusa delle scuse per attaccare l'Iraq non
salta fuori.

Ci si spaccano la testa da mesi, ma non c’è verso di farsi
venire in mente un’idea originale e credibile. Una situazione
talmente imbarazzante da far ammettere candidamente: “Stiamo
studiando la scusa che ci permetterà di dare il via
all’attacco”.

Pensate che scena: un esercito di psicologi, di strateghi, di
esperti di marketing, di creatori di scenari da Risiko, di
manipolatori dell’opinione pubblica che non cava un ragno da un
buco.

Probabilmente avrete dedotto che tutti questi poveracci sono
sull’orlo del licenziamento (mica sono nell’Unione Sovietica
dove si poteva campare a sbafo), ma non sospettate minimamente
chi, senza volerlo, gli ha mollato la simbolica spallata
decisiva verso il baratro della disoccupazione a vita. Ve lo
dirò alla fine, non prima di aver passato in rassegna la serie
di fallimenti registrati dalla macchina propagandistica dell’Anglosionamerica.

Delle armi di distruzione di massa pare a questo punto che in
Europa non importi niente a nessuno, tanto sappiamo che anche se
l’Iraq le avesse non le utilizzerebbe contro di noi perché non
ci considera - a ragione - suoi nemici. Non sarebbe male anche
sentire l’opinione dei serbi, degli afgani, dei vietnamiti, dei
panamensi e di altri che negli ultimi cinquant’anni hanno fatto
dei corsi accelerati in materia.

E allora si dice che c’è da combattere il «terrorismo».

Ora, se
ci poteva stare che un Paese centrasiatico in mano alle bande
potesse dare asilo a dei «terroristi» (ma non a quelli che hanno
programmato i dirottamenti dell’11/9), è un po’ dura da far
credere che un intero Stato con un presidente e un governo
riconosciuti internazionalmente nonché dai suoi cittadini sia
un’organizzazione «terroristica». “Eh, ma Saddam Hussein ha
seminato il terrore tra le popolazioni curde del nord…”: ma se è
questo il problema, ditelo subito che ha fatto come Clinton a
Waco quando ha mandato Fbi, Guardia nazionale e forze speciali
ad arrostire in casa loro quei mattacchioni dei davidiani! No,
la storia del «terrorismo» non regge, e neppure se si shakerano
Saddam, i palestinesi, l’Isballa di Luttwak (Hezbollah per i
meno svegli), il fantasma di Khomeyni e ci si spruzza sopra un
po’ di al-Qaida, ne viene fuori un cocktail bevibile.

Potrebbero sempre sfruttare meglio la carta immigrati, perché
trovarsi il nemico in casa sarebbe sempre meglio che averlo alle
porte, ma gli iracheni in Europa e negli Usa non sono moltissimi
e, soprattutto, non danno adito a dicerie o lamentele di sorta
come altri, tipo certi albanesi. Ci starebbero pure bene le
prediche sui curdi «massacrati» e costretti a vita raminga, ma
il bello è che non si deve far capire chi li massacra davvero e
perciò si lascia perdere. Mi spiego con un esempio. Il TG3 delle
14.15 del 19 agosto dava notizia di uno sbarco in Italia di
circa 150 persone, e il curatore del servizio affermava che
trattavasi “in maggioranza di africani di origine curda”.
Assicuro che ero sobrio. In quello delle 19 dello stesso
giorno, invece, si parlava solo di “africani senza documenti”,
ma le immagini, se non erano di repertorio, confermavano che i
150 erano proprio curdi.

Si capisce bene perché neanche la carta curda può essere
giocata: le «carrette del mare» le spedisce la Turchia, la
quale, forte del diktat Usa-Israele imposto all’UE, sta facendo
pulizia etnica in grande stile sbarazzandosi dei curdi che
abitano dentro i suoi confini.

Che fare dunque? Guerra al «dittatore» Saddam! Sì, ma a casa si
chiedono di quali credenziali disponga il «presidente» Musharraf,
e, al colmo dello sbalordimento, da quale curatore d’immagine
sia passato Gheddafi che fino all’altro giorno era un
«dittatore» e ora esibisce un maquillage da perfetto
democratico. E poi il giochino è pericoloso, perché magari ti
credi tanto «amico» e «alleato» ma fai uno sgarro senza
accorgertene e ti ritrovi «dittatore» o giù di lì.

A quel punto, presa da un senso d’angoscia, all’Anglosionamerica
non resta che l’opzione Huntington, che a quel punto si mette a
strillare: “Ma allora non l’avete capito che c’è lo «scontro di
civiltà»!”. E’ lì che Bush si è ricordato delle palanche
elargite a volontà al buon Samuel, lo sveglia in piena notte e,
al cospetto dei vassalli del G8, gli fa recitare la filastrocca
da mandare a memoria: “L’Iraq offende i principi sui quali si
fonda la nostra civiltà! Ha offeso l’ONU, il consesso delle
Nazioni, la democrazia universale…”. Ah, che affronto,
bombardiamolo subito per lesa Maestà!


Sì, è vero, l’Iraq ha offeso un sacro principio. Quello per cui
i funzionari dell’ONU possono lavorare per gli Stati Uniti e
farla franca. L’australiano Richard Butler, il capo dell’UNSCOM,
la commissione dell’Onu sul disarmo, pagato dall’ONU per
lavorare per l’ONU (di cui l’Iraq è tra i Paesi fondatori),
passava le informazioni raccolte dagli ispettori agli americani
prima che all’ONU. L’Iraq, scoperta la tresca, espulse perciò
nell’estate del 1998 gli ispettori per manifesto spionaggio,
Butler per ritorsione tergiversò sui dati delle ispezioni ormai
completate e pretese nuove ‘verifiche’ in loco e di persona: per
la fine dell’anno l’Iraq era così pronto, ‘chiavi in mano’, per
i bombardamenti del 16-19 dicembre. Conclusione: in gennaio,
Scott Ritter, il capo degli ispettori, si dimise per non poter
più sostenere una simile pantomima e in questi giorni è a
Baghdad per spiegare inutilmente che nel 2002 l’Iraq, essendo
stato rivoltato come un calzino per sette anni, non costituisce
alcun «pericolo».

Premesso tutto questo, resta tuttavia il problema dell’inizio.

Facciamo saltare fuori questa benedetta superscusa? Bei tempi,
si direbbe, quando gli affondamenti del Maine e del Lusitania,
Pearl Harbor, l’«incidente» del Tonchino bastavano e avanzavano.
Si potrebbe sempre rifarsi alla tragedia dell’11 settembre, ma dopo
la gaffe delle letterine all’antrace autarchico non è proprio il
caso di insistere.

Ma a salvare il grande «amico» e «alleato» mentre annega nel
mare di balle che ha messo in circolazione, giunge un esponente
di quella schiatta che, dopo aver dato al mondo santi, poeti e
navigatori a volontà, oggi più che altro sforna individui
scalpitanti nella loro smania di mostrarsi affidabili agli occhi
di Sua Maestà.

Il bagnino si chiama Renzo Foa, direttore di «Liberal», che
alcune sere fa, intervistato da RAI 3 sulla
possibilità/opportunità di un attacco all'Iraq ha sostenuto che
le democrazie fanno le guerre solo per creare «condizioni
migliori» per tutti rispetto a quelle che le hanno precedute.

Non credo che, da quando mondo è mondo, le guerre, nell'intento
di chi le promuove, siano mai state fatte per «peggiorare»
condizioni, almeno le proprie. Quelle di chi viene attaccato
invece sono sempre peggiorate, in specie da quando si conduce in
maniera programmatica la guerra alle popolazioni civili, e
questo Foa lo sa benissimo, solo che propagandando la dottrina
del «bombardamento terapeutico» può affermare convinto al 100%
che gli iracheni verranno bombardati a fin di bene. Non
preoccupatevi, non avete capito fischi per fiaschi: “Vi
bombardiamo per il vostro bene”. Chi ha un minimo di cognizioni
di storia delle religioni non faticherà ad individuare il
marchio di fabbrica di simili assurde pretese. Che posseggono
l’inestimabile vantaggio di garantire la coscienza a posto anche
agli autori dei crimini più efferati.

A questo punto, con i ragionamenti alla Renzo Foa che se ne farà
l’Anglosionamerica delle decine di migliaia di inetti che si
fanno pagare profumatamente per non produrre uno straccio di
scusa credibile? I teologi del liberalismo made in Italy sono
senz’altro di categoria superiore e, particolare da non
sottovalutare per chi crede che business is business, davvero a
buon mercato.
Enrico Galoppini


GdS 18 IX 02 -
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Enrico Galoppini
Politica