INTERVISTA A SADDAM HUSSEIN La prima sua intervista dopo dodici anni

La prima sua intervista dopo dodici anni




NOSTRA
PREMESSA

Da
12 anni Saddam Hussein non rilasciava interviste. Lo ha
fatto nei giorni scorsi  con Sayyid Nassar ..:
al-Usbu‘ (La settimana, Egitto). Ne abbiamo avuto la
traduzione italiana integrale avvenuta a cura di Aljazira
(si veda su questo stesso numero l'articolo "Conoscere
quel che si pensa nei Paesi Arabi" e l'importanza di
questa conoscenza).

Si può pensarla in mille modi diversi, essere per
l'attacco USA o invece essere per la pace, riteniamo che
sia interesse di tutti conoscere il pensiero di un Capo
di Stato che é divenuto, per una parte del mondo, il
simbolo dell'opposizione all'egemonia americana.

Si può anche, passando al setaccio il testo che
proponiamo, scendere in profondità per capire dove
Saddam vuole parare con questa non casuale intervista.
Concludendo ciascuno dei lettori come vuole. (N.d.D.)



PREMESSA
DELL'INTERVISTATORE


Ho trascorso più di due ore col Presidente Saddam Husayn
e con Tareq Aziz, vice-Premier e decano della diplomazia
araba da più di mezzo secolo. Ci trovavamo in uno dei
palazzi presidenziali, nella parte antica della città,
quella costruita dal califfo Abu Ja'far al-Mansur,
centro del califfato islamico abbaside che vide sovrani
come al-Amin, al-Ma'mun e Harun ar-Rashid. All'epoca
questa ricca regione conobbe un'enorme produzione
scientifica e innumerevoli furono le traduzioni dei più
importanti testi in lingua persiana e cinese: Bagdad era
un faro per la Scienza ed il palazzo in cui mi trovavo
un tempo era circondato da rose e non da missili. L'Iraq
è un Paese composito per etnie e religioni: arabi, curdi,
turcomanni, caldei, sunniti, sciiti. Qui sono sepolti i
Dodici Imam dello sciismo a partire da 'Ali e dai suoi
figli Hasan e Husayn. E' il Paese delle dieci mila palme
e dei datteri migliori. E' il Paese dei più grandi poeti
arabi come Abu Nawas e al-Mutanabbi. Bagdad, circondata
dai giardini e dalle aree verdi e dal più grande parco
del mondo, quello di Zawra'... Bagdad che vieta la
costruzione dei grattacieli in cemento... Bagdad amica
dell'ambiente che non USA mai mezzi distruttivi...
L'Iraq centro del califfato abbaside nella sua epoca
d'oro e dei luoghi sacri dello sciismo.


L'INTERVISTA

D: Signor Presidente, cosa vogliono gli USA?


R: Gli USA vogliono distruggere i centri di potere in
tutti gli Stati arabi. Sia che si trovino al Cairo o a
Damasco sia a Bagdad. Ci si guardi attorno nella
regione, si guardi ai tentativi di dividere il Sudan in
un nord e in un sud, e si guardi agli effetti che ciò
potrebbe avere sull'Egitto, sulla sua sicurezza
nazionale e, in generale, sulla sicurezza dei Paesi
arabi. Si guardi a cosa succede in Algeria e cosa è
accaduto e tuttora accade in Somalia e in tutti i Paesi
del Corno d'Africa. Guardi cosa accade nella Palestina
occupata e ciò che ha fatto Sharon con i nostri fratelli
palestinesi. Sono tutti indizi che rivelano l'esistenza
di un piano contro la Nazione Araba.

D: Ma in particolare, cosa vogliono gli USA
dall'Iraq?



R: Gli USA vogliono imporre la loro egemonia sulla
Nazione Araba e, per iniziare vogliono impadronirsi di
Bagdad, colpire i Paesi che si ribellano a questo
disegno che rifiutano tale egemonia. Da Bagdad occupata
militarmente passeranno a colpire Damasco e Teheran che
anch'esse saranno divise. Creeranno grandi problemi
all'Arabia Saudita e tenteranno di creare piccole entità
statali governate da guardie e sentinelle che
lavoreranno per gli Stati Uniti. Così facendo non ci
sarà più nella regione uno Stato più grande di Israele,
né nella quantità né nella modalità. Il petrolio arabo
sarà sotto il controllo di Washington e l'intera regione
-in special modo i pozzi di petrolio dopo la distruzione
dell'Afghanistan- saranno sotto la loro totale egemonia.
Sono tutti fatti che vanno a favore di Israele. Lo scopo
è di trasformare Israele in un enorme Impero dell'area.
Adesso è l'Iraq che subisce questa strategia mentre gli
altri [Paesi arabi, n.d.t.] non si rendono conto che
difendendoci difendiamo anche loro. Nessuno si salverà
dal complotto ora in atto contro l'Iraq. Per Washington
e Tel Aviv sono tutti uguali e ciò che colpisce noi e
che viene preparato per noi oggi, accadrà agli altri
domani.

D: Il piano di spartizione riguarda anche l'Arabia
Saudita e i Paesi del Golfo?



R: Dissento con chi dice che l'Arabia Saudita verrà
divisa in favore dello Yemen o dell'Oman e con chi
afferma che c'è la possibilità che Sceiccati e Emirati
del Golfo possano scomparire. Al contrario ritengo che
il prototipo degli Sceiccati e dei piccoli Emirati si
diffonderà nell'area. Per questo tutti i grandi Stati
come l'Iraq o la Siria o l'Arabia Saudita saranno divisi
in piccoli Emirati: questi piccoli staterelli potranno
governare ma potranno solo stare a guardia dei pozzi.
Questo in favore degli USA che controlleranno le zone
petrolifere dall'Algeria fino al Mar Caspio. Ed ora si
preparano a controllare l'Iraq, l'Iran e la Siria.

D: Due settimane fa la Corea del Nord ha ammesso, o
meglio, ha annunciato senza nessuna pressione esterna,
che ha sviluppato un programma nucleare. E non abbiamo
sentito o visto reazioni ostili da parte degli USA
simili a quelle mosse contro l'Iraq, eppure quest’ultimo
ha affermato pubblicamente di non possedere armi di
distruzione di massa, così come lo hanno confermato gli
ispettori internazionali. Ma gli USA concentrano la loro
campagna solo contro l'Iraq ignorando la Corea del Nord.
Perché?



R: In breve: prima di tutto perché la Corea del Nord non
ha petrolio, secondo perché la Corea non è un nemico di
Israele né è un Paese ad esso vicino.

D: Signor Presidente –ancora una volta- cosa vogliono
gli Stati Uniti dall'Iraq?



R: Washington vuole un Iraq che si arrenda all'egemonia
geopolitica americana sulle ricchezze arabe. Così come
vuole un Iraq che ammetta la presenza sionista e il suo
dominio sulla Palestina. Ma soprattutto gli USA vogliono
un Iraq privo di una coscienza nazionalista e che
accetti la distruzione della Lega Araba e la creazione
di un'organizzazione mediorientale. Vuole un Iraq non
arabo ma internazionale.

D: Teme che l'attacco sia prossimo?


R: Noi siamo pronti ad affrontare una guerra anche fra
un'ora. Con i loro attacchi giornalieri, i loro
tentativi di consumare le nostre forze, l’uccisione dei
civili con i loro missili lanciati dagli aerei e con
attacchi dalle basi dei Paesi vicini, gli Stati Uniti ci
fanno vivere dal 1991 in un continuo stato di guerra.
Noi siamo comunque pronti alla guerra. Ma l'Iraq non
sarà mai come l'Afghanistan. Questo non significa che
siamo più forti degli USA -con la loro flotta e i
missili a lunga gettata- ma noi possediamo la fede in
Dio, nella patria e nel popolo iracheno. E’ importante
credere nel popolo arabo. Non lasceremo che sia una
passeggiata per i soldati americani e britannici, mai.
La terra combatte affianco del suo popolo, sempre.

D: Crede che il tempo giochi a suo favore o contro di
Lei?



R: Il tempo gioca certamente a nostro favore. Dobbiamo
prendere altro tempo perché così potrebbe sfaldarsi
l'alleanza anglo-americana per motivi interni o sotto la
pressione della loro opinione pubblica. I popoli sanno
la verità e possono capire di più rispetto ai
governanti. Questi ultimi sono allineati ai piani
sionisti, i quali a loro volta istruiscono i mass-media
per portare a compimento tali piani. Ma la gente non è
cieca.

D: Signor Presidente, Lei sta affrontando l’attuale
crisi in modo diverso da come fece nel 1991. Questo
perché ha studiato in qualche modo gli avvenimenti
passati assieme alla situazione presente? Oppure sta
traendo delle lezioni solo dal passato?



R: La politica è una scienza, e come tutte le scienze è
soggetta alla sperimentazione. L'uomo politico è sempre
un allievo che impara dalle sue esperienze personali e
da quelle degli altri. Noi crediamo all'importanza
dell'opinione pubblica e della sua influenza. Impariamo
dalla nostra esperienza. L’esattezza e l’errore sono
fatti umani, errare è umano. Soltanto Iddio è perfetto.

D: Per quanto riguarda le relazioni con gli altri
Paesi arabi, come valuta la posizione generale araba
rispetto alla questione irachena, all'assedio e alle
minacce di una prossima guerra?



R: Noi non chiediamo agli arabi di dare più di quanto
non possano. Valutiamo le condizioni di ogni Paese, la
sua posizione nello scenario politico e la sua
possibilità o meno di fornire un appoggio. Il saper dare
è frutto dalle relazioni e dall'armonia reciproca. E' il
risultato di circostanze storiche, di forza personale e
delle posizioni di ogni capo politico. In ogni caso noi
ci sentiamo tranquilli: i fattori positivi aumentano
rispetto a quelli negativi, e la posizione generale è
più favorevole all'Iraq. Mi lasci dire con franchezza
che noi ci concentriamo sui fattori positivi
tralasciando quelli negativi fino a che questi non
diminuiscono o addirittura scompaiono o da soli.

D: Ma è chiaro che da parte araba si fa ben poco per
sostenere l'Iraq.



R: Come ho detto mi interessano solo i fattori positivi.
Quelli negativi scompariranno spontaneamente quando
tutti capiranno la sincerità delle nostre intenzioni,
delle nostre circostanze e di ciò che si sta
complottando contro di noi e contro di loro [i Paesi
arabi, n.d.t.]. L'Iraq non è l'unico Paese arabo che è
vittima di complotti. Gli USA vogliono imporre la loro
egemonia nella regione e per far ciò devono mostrare la
loro ostilità al mondo arabo e, in particolare, ai Paesi
principali. Tutto in favore dell'Entità sionista e del
sionismo internazionale.

D: E’ soddisfatto di quello che hanno fatto alcuni
Paesi arabi nei confronti dell'Iraq? E’ soddisfatto
dell'appoggio che hanno fornito a Bagdad per contrastare
i piani di attacco anglo-americani? Non crede che ci sia
un’evidente omissione in tutto ciò?



R: Sono soddisfatto di ogni sforzo fatto in sostegno
della resistenza araba in Iraq e in Palestina. La
questione non è più solo irachena ma è di tutta la
nazione araba, dal Marocco all'Iraq. Il destino è unico,
ora scritto col sangue dei martiri. Crediamo che ogni
successo realizzato da un popolo arabo, tra cui il
popolo kuwaitiano, è un successo per noi e va ad
aggiungersi ai fattori positivi. Il popolo kuwaitiano è
arabo, crede al suo nazionalismo, e quel che è accaduto
alla base americana lo conferma [episodio di Falaika
dell’ottobre 2002, si veda a questo proposito il
testamento di al-Kandari, n.d.t.]. Noi contiamo molto
sul popolo arabo. Il popolo arabo non dorme -come
credono alcuni- di un sonno profondo: le manifestazioni
che vediamo nel mondo arabo e in Occidente sono fatte da
centinaia di migliaia di sostenitori della pace contro
la guerra e contro l'aggressione al popolo iracheno.
Queste persone sfidano il desiderio dell'estrema destra
sionista a Washington di distruggere l'Iraq.

D: L’atteggiamento di alcuni Paesi arabi contro il
suo governo ha influenzato negativamente il suo operato?
E’ stata intaccata la fede che Lei ripone nell'arabismo
e nel nazionalismo [arabo, n.d.t.]?



R: No, al contrario la mia fede nel nazionalismo si è
rafforzata. Quando ci si rende conto del dovere di
essere un nazionalista arabo, si prende fiducia nel
fatto di poter vincere anche se dovrà passare tanto
tempo. Il nazionalismo arabo non è un vestito da
indossare oggi e da gettar via domani.

D: Per quanto riguarda i rapporti con il Kuwait,
sappiamo che quest’ultimo ha posto come condizione per
una riconciliazione con Bagdad il rilascio dei suoi
prigionieri. Avete ancora cittadini kuwaitiani nelle
vostre carceri?



R: E’ stato emesso un decreto governativo con cui
abbiamo rilasciato tutti i carcerati sia politici che
criminali, in generale arabi, non solo iracheni.
Eccezion fatta per le spie che hanno lavorato per gli
USA e Israele. Abbiamo rilasciato anche i condannati per
omicidio a condizione che la famiglia del colpevole si
accordi con quella della vittima e che sia concesso il
perdono secondo la volontà delle due parti. Per la prima
volta nella Storia, le prigioni irachene sono oggi le
uniche prigioni al mondo ad esser vuote.

D: Vuole dire che le guardie carcerarie rischiano di
rimanere disoccupate?



R: Sì, ed in caso troveranno lavoro negli orfanotrofi,
per tutti quei bambini senza genitori per colpa dei
quotidiani bombardamenti americani nel sud e nel nord
del Paese e nelle periferie di Bagdad...

D: E’ preoccupato dall'opposizione irachena che si
organizza e si allea con Washington e Londra? Quest'opposizione
può sostituire il governo di Bagdad?



R: Prima di tutto non c'è una vera opposizione irachena
tanto da farci preoccupare. Se pure ci fosse, sarebbe
più onorevole per loro che per ottenere il potere
combattessero nel Paese, e non dall'esterno, a decine di
migliaia di miglia di distanza. Noi non abbiamo notizie
degli oppositori, né li incontriamo, né sono conosciuti
dalla nostra gente. Non sono altro che un gruppetto di
individui, alcuni condannati per reati finanziari e
altri per crimini umanitari. Quel che sappiamo è che non
sono affatto astuti, che non nascondono di essere agenti
dei servizi americani e britannici, pagati da Washington
e da Londra, e di essere stati anche accusati di aver
rubato e dissipato quel denaro. In fin dei conti non è
che un gruppo i cui membri si contano sulla punta delle
dita [lett. un gruppo che riesce a riempire appena un
autobus di Bagdad, n.d.t].

D: Per quanto riguarda la questione curda, non è
forse giunta l'ora di una riconciliazione nazionale con
i nostri fratelli curdi del nord?



R: Lei sa bene che l'Iraq ha dato loro ciò che non è
stato loro dato da altri. Lei è stato il primo
giornalista arabo che ha incontrato il Mullah Mustafa
Barzani nel 1966. Ha sentito dalla sua viva voce che il
massimo dell'autodeterminazione che si augurava lo ha
avuto dall'Iraq. Quello che mancava era la secessione,
fatto però che noi rifiutiamo così come la rifiutano gli
intellettuali curdi. Crediamo che se gli Stati Uniti e
la Gran Bretagna ci lasciassero il nord dell'Iraq senza
più ingerenze, decideremmo in piena libertà il nostro
destino e riformeremmo il Paese.

D: Signor Presidente, pochi giorni fa si è svolto un
referendum per un altro mandato di sette anni, ma alcuni
si chiedono il significato di quel 100 per cento,
sconosciuto alla cultura occidentale.



R: Significa molto. Significa che ho la ragione e la
fiducia del mio popolo. Per gli altri che ritengono che
io non rappresenti il mio popolo, significa che lo
rappresento veramente. Questo è il risultato del
referendum libero svoltosi in presenza di osservatori,
di inviati e giornalisti arabi e stranieri. Questo
rivela che chi continua a dire che in Iraq non esiste un
opposizione al governo, costui mente.

D: Ha scarcerato anche i prigionieri politici. Perché
questa decisione e cosa significa?


R: Durante il suo soggiorno Lei avrà avuto modo di
visitare tutte le prigioni e avrà notato che non c'è un
carcere che non abbia aperto le sue porte, che si sia
svuotato. Ciò significa che i diritti umani in Iraq sono
rispettati più di quanto non lo siano negli Stati Uniti
stessi.
M.H.


GdS 18 XI 02 -
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