KABUL LIBERA E...
 LO SCATTO DELL'ALLEANZA DEL NORD
Dopo anni di fronte contrapposto, anzi con successivi 
 arretramenti sino a confinarsi in poco più del 5% del territorio 
 afghano, l'Alleanza del Nord é partita di scatto arrivando 
 persino a Kabul e in tre giorni "mangiandosi" quattro decimi del 
 territorio afghano. 
 Nessuno avrebbe scommesso una lira. Tutti davano per scontato 
 che, posto che l'Alleanza fosse riuscita ad arrivare nei 
 dintorni, Kabul sarebbe diventata la Stalingrado del terzo 
 millennio, da conquistarsi casa per piano, cantina per cantina.
 Un'avanzata che ha sconvolto tutti i piani, persino quelli del 
 Pentagono ove non esisteva neppure come lontana ipotesi quella 
 invece verificatasi sul campo.
 Sono state date diverse spiegazioni. Qualcuno ha persino 
 ipotizzato che si sia trattato di una ritirata strategica dei 
 talebani per concentrare le forze a difesa di Bin Laden, una 
 cosa che per consistenti reparti militari sarebbe già difficile 
 in un Paese dotato di strade e meno accidentato 
 dell'Afghanistan. 
 Lì sarebbe stata proibitiva e addirittura resa impossibile per 
 l'assoluto controllo americano del cielo.
 RAGIONI DI QUELLO "SCATTO"
 La disfatta nel nord va invece vista alla luce della 
 composizione di quei reparti militari, fatti di etnie diverse, 
 di un ceppo di talebani "puri", di tribù alleate, di stranieri 
 volontari o mercenari (pakistani, arabi ecc.). Non quindi un 
 esercito strutturato e gerarchicamente disciplinato. 
 Dall'altra parte erano arrivati non solo aerei e missili e i 
 "consiglieri" americani e inglesi, supportati dalla ricognizione 
 satellitare e degli aerei spia, ma anche la tecnologia, 
 soprattutto nel dissolvere il sistema di comunicazioni, tra i 
 reparti talebani , tra i comandi, e con il centro, addirittura 
 tra carro armato e carro armato.
 A questo aggiungasi l'effetto dirompente, innanzitutto sotto il 
 profilo psicologico, degli attacchi dal cielo, cui in questi 
 anni i talebani non erano certo abituati. Inneggiare alla guerra 
 santa, bruciare le bandiere americane e le effigi di Bush, 
 esaltarsi collettivamente nelle strade lontane dal fronte é un 
 conto. Esserci, al fronte, guardando il cielo ogni momento in 
 attesa degli aerei, é un'altra cosa.
 LE NUOVE BOMBE
 Nessuno ha sottolineato poi la consequenzialità temporale fra la 
 rotta talebana e l'uso da parte americana delle bombe da sette 
 tonnellate, una novità, che scendono con il paracadute e 
 scoppiano quando sono quasi a terra provocando un'onda d'urto 
 che spazza ogni cosa nel raggio di 500 metri. Le bombe "normali" 
 in quei camminamenti così simili alle trincee della prima guerra 
 mondiale, provocano guai in uno spazio limitato e se centrano 
 l'obiettivo. Una bomba che scoppia a 500 metri di distanza e fa 
 il vuoto, di tutto, soldati compresi, é un colpo di grazia 
 psicologico per chi si accorge che i proclami e l'entusiasmo non 
 sono uno scudo protettivo.
Psicologicamente terrificante. Un 
 fatto probabilmente da far rendere conto alle tribù alleate dei 
 talebani che la guerra ha un destino segnato. 
 Si spiegano così gli appelli, in parte minacciosi in parte 
 disperati, di Bin Laden e dei Capi dei talebani, per non 
 disertare e per combattere sino alla sconfitta del nemico 
 americano.
 TALEBANI MITIZZATI DALLA STAMPA OCCIDENTALE
 C'é poi un secondo aspetto. Il Sole 24 Ore ha riportato una 
 dichiarazione dello scrittore Ahmad Amin secondo il quale il 
 mito dei talebani, come "quadrate legioni di martiri suicidi 
 pronti a tutti", é stato creato dalla stampa occidentale senza 
 avere un effettivo riscontro nella realtà. Un conto i piccoli 
 gruppi, cresciuti nel fanatismo, votati alla morte per la causa, 
 come é stato per quelli dell'orrore dell'11 settembre, un altro 
 conto trasferire alla massa questa vocazione al martirio.
 L'osservazione di Amin calza a puntino. Basti pensare ai servizi 
 televisivi su RAI e Fininvest, in questo senza distinzioni. Per 
 giorni e giorni nelle dirette ci hanno dipinto il Pakistan come 
 un Paese sull'orlo della guerra civile. Abbiamo visto immagini 
 di piccoli gruppi davanti alle scuole coraniche, con molti 
 ragazzini di 10-12 anni, accompagnate da commenti 
 preoccupatissimi. Abbiamo sentito alla vigilia profetizzare 
 chissà quali disordini e il giorno dopo sentir dire "in effetti 
 erano pochi ma domani saranno in tantissimi". E il giorno dopo, 
 sciopero generale cui avrebbero dovuto aderire, secondo i nostri 
 corrispondenti, milioni di persone, le immagini della folla con 
 il commento che sottolineava che erano ben in cinquemila (i 
 potenziali amici dei talebani, in un Paese di 140 milioni di 
 abitanti, sono il 15%, ma in strada ne sono scesi ben pochi...). 
 Ci hanno fatto credere - almeno chi l'ha creduto - che il 
 Governo fosse in bilico per via della decisione di essere al 
 fianco degli USA. Se ci sono problemi un Capo di Stato non se ne 
 va per una settimana dal Paese.
 Per giorni e giorni, in definitiva, ci hanno dato una 
 rappresentazione della realtà che era solo la loro 
 interpretazione della realtà, forse involontaria ma per 
 posizione ideologica.
 Questo per il Pakistan, ma altrettanto per i talebani, assurti 
 di fatto in una sorta di Olimpo come novelli spartani di 
 Leonida, capaci in 300 di fermare alle Termopili i 100.000 
 dell'esercito persiano.
 CI SIAMO CASCATI TUTTI. ANCHE NOI ABBIAMO SBAGLIATO
 Ci siamo cascati tutti. Tutti abbiamo pensato alla fine che 
 avevano fatto i russi, magari dimenticando che avevano sì di 
 fronte gli afghani, ma con dietro il Pakistan e l'Occidente. 
 Tutti abbiamo pensato a Kabul prossima nuova Stalingrado. Tutti 
 abbiamo pensato a una conquista lunga e faticosa, valle dopo 
 valle, montagna dopo montagna, alla scarsa efficacia dei 
 bombardamenti contro gente votata al martirio. Tutti abbiamo 
 pensato come fosse, sì necessario ma comunque prematuro il 
 pensare al governo da insediare a Kabul, una sorta di vendere la 
 pelle dell'orso prima di averlo preso.
 E così abbiamo sbagliato anche noi, con il nostro articolo del 
 26 ottobre, dal titolo "Talebani: errore USA".
 L'errore era invece nostro (salvo quello che si dirà avanti) e 
 deve essere riconosciuto, alla luce delle considerazioni appena 
 svolte, né conforta il fatto che nello sbagliare eravamo in 
 larghissima compagnia e che nell'errore ci aveva indotto il coro 
 generale, allentando l'esercizio critico che invece deve essere 
 sempre alto in ogni analisi.
 ABBIAMO PERO' ANCHE FATTO CENTRO!
 Già, come é invece successo per altri punti importanti.
 Riconosciuto ed evidenziato l'errore appare giusto sottolineare 
 anche i putni di merito.
 Già il 15 settembre, in articolo che può essere letto ancora 
 oggi su queste colonne, scrivevamo, fra l'altro "Stati 
 Uniti, Europa, Russia, Cina, ma in pratica ogni Stato della 
 Terra è sulla stessa barca". 
 Abbiamo continuato a scrivere su questa linea. Ebbene, abbiamo 
 visto nelle settimane successive come le cose si siamo mosse 
 proprio in questa direzione. Citiamo solo due esempi: l'incontro 
 Bush-Putin che non ha fatto che sanzionare un nuovo scenario 
 (non sarà lontano quantomeno l'affiancamento della Russia alla 
 NATO..) e la novità con gli USA finalmente convinti della 
 necessità di dar vita ad uno Stato Palestinese.
 Se qualcuno avesse la pazienza di rileggere quanto siamo andati 
 scrivendo troverà come i fatti abbiano dato conferma alle nostre 
 analisi.
 "OBIETTIVO RIAD", L'ABBIAMO DETTO PER PRIMI
 Si veda l'articolo "Bin Laden: obiettivo Riad. E poi...". 
 L'abbiamo pubblicato l'otto ottobre. Siamo stati fra i primi, 
 forse in Italia anche i primi in assoluto a sostenere quella 
 tesi. Oggi si tratta di una analisi che praticamente tutti 
 condividono. 
 Avevamo visto giusto, con grande anticipo.
 Non si tratta solo di soddisfazione - certo, questa non manca e 
 non la dissimuliamo - ma anche dell'altro. In quell'analisi 
 siamo partiti dal considerare Bin Laden quello che é, un 
 notevole giocatore di scacchi, non inteso come gioco ma come 
 scenario reale. Il metodo deve essere lo stesso, anche per 
 tentare di prevedere le future mosse in quanto ne va dlla 
 sicurezza di tutti.
 C'é un dato, per così dire "storico". Noi abbiamo considerato 
 nell'articolo citato l'attentato alle Torri Gemelle come un 
 errore. La mafia alzò il tiro con Falcone e Borsellino e sbagliò 
 i conti non prevedendo che passare il segno avrebbe comportato 
 un reazione violenta.
I CONTI 
 SBAGLIATI DI BIN LADEN
 Bin Laden, a nostro avviso, voleva colpire gli Stati Uniti, e le 
 Torri erano un simbolo. Non aveva però messo in conto che le 
 Torri sarebbero crollate; si sapeva che erano state progettate 
 per reggere anche all'impatto di un aereo (di quel tempo, non da 
 160 tonnellate lanciate a velocità ben superiore e quindi con 
 un'energia cinetica che cresce con il quadrato della velocità).
 L'impatto psicologico sarebbe stato comunque rilevante, ma i 
 crolli, con l'orrore che li ha accompagnati, sono stati una sua 
 sconfitta. Solo i più fanatici dei fanatici hanno gioito e sono 
 stati con lui.
 Ci sono due dati contingenti, odierni. Da una zona imprecisata 
 dell'Afghanistan - molto più probabile un centro abitato 
 rispetto alle grotte che invece quasi tutte ritengono sua dimora 
 - sono arrivati due segnali contemporaneamente. Uno il messaggio 
 di morte, in linea con i precedenti, relativo alla distruzione, 
 ormai prossima, degli USA. La seconda un messaggio d'orgoglio e 
 di coerenza "meglio morto che finire in mani americane". Niente 
 appelli alla guerra santa ma alle sue truppe e non disertare.
 
 NON E' FINITA
 Un giocatore di scacchi alle strette, in una partita di tipo 
 "posizionale", che cerca di uscire dalla ragnatela.
 Gli rimane solo l'arma della sorpresa, nel mondo e in 
 Afghanistan.
 Nel mondo bisogna vedere se ha ancora la forza per farlo e 
 questo é un interrogativo senza risposte possibili in carenza di 
 dati al riguardo.
 In Afghanistan, o in Pakistan, potrebbe esserci qualche colpo di 
 coda, a parte la già scontata e minacciata guerriglia dai monti.
 Prenderlo non sarà facile, salvo che, come per il bandito 
 Giuliano, non arrivi la delazione di qualcuno a lui vicino.
 
 RICORDIAMO I CAPI RELIGIOSI AFGHANI?
 Dedicato ai contrari all'intervento in Afghanistan (e magari 
 anche a qualcuno degli altri, disattenta stampa italiana 
 compresa, nonché a tutti quei musulmani più o meno simpatizzanti 
 per lo sceicco miliardario).
 Ricordiamo le conclusioni di quella sorta di conclave dei capi 
 religiosi aghani?
 I Capi avevano rivolto l'invito a Bin Laden che lasciasse il 
 Paese.
 Bin Laden, Mullah Omar, i Capi talebani hanno tenuto in gran 
 conto quel saggio invito: se ne sono fregati.
 Ora paghino.
 Anche questo.
***
 
 GdS 14 XI 01
                         
 
                               
  Torna
 a Italia e Mondo
                                          
                                           
 
