il ritiro dALL'IRAK DI ZAPATERO

di Gianni Toffali

L'imminente ritiro del contingente spagnolo
dall'Irak deciso dal neo premier Zapatero, ci pone di fronte ad
una questione che non è solo geostrategica, politica, o di
interesse nazionale, ma che tocca l'intima coscienza delle
nazioni. L'ingerenza umanitaria anche attraverso l'uso della
violenza è un imperativo categorico da cui non si può
prescindere, o è una variabile ponderabile di caso in caso? A
giudicare dalle immagini e dai commenti che i media ci propinano
quotidianamente, si è indotti a credere che gli irakeni non
apprezzano i valori della libertà, della democrazia,
dell'occidente e della pace. Se la realtà coincidesse con le
immagini violente mostrate dagli organi di informazione, la
tentazione di lasciare l'Irak al suo destino sarebbe lecita.
Peccato non sia così! La sensazione è che una battaglia
parallela di natura ideologica sia in atto da parte di chi
detesta la dottrina Bush. La diffusione delle sole notizie
negative e la censura delle positive, costituisce un’evidente
prova. Alcuni esempi. La nuova moneta (dinaro), è stata creata
nel 2003, ed è molto stabile. La disoccupazione che era al 60
per cento nel periodo di Saddam, ora è dimezzata. In meno di
anno, sono stati venduti 300.000 telefonini e altrettanto auto.
Poche settimane fa, ha preso via il progetto di 18 miliardi di
dollari per il rifacimento delle infrastrutture. La
ricostruzione del sistema petrolifero, procede in modo
velocissimo allo scopo di ridare allo Stato irakeno gli introiti
necessari per bilanciare i deficit accumulati nell'era Saddam. E
non ultimo, il ripristino delle garanzie e dei diritti umani.
Perchè queste informazioni su certi media non riescono a
filtrare? Ora, avviato l'innegabile processo di
stabilizzazione, il solo supporre di ritirarsi dall'Irak, magari
invocando (ipocritamente) il principio di autodeterminazione dei
popoli, equivarrebbe ad un cinico ed egoista: "lasciamo che i
morti seppelliscano i loro morti", inutile dirlo, immancabili in
caso di ritiro totale. Dopo anni di dittatura, è naturale che l'Irak
conosca solo il linguaggio dell'odio, delle rivendicazioni e
delle violenze. Chi in questi giorni sta seminando morte e
terrore, a nulla interessa della causa irakena. Ma la stragrande
maggioranza della popolazione sogna quella libertà da sempre
agognata. Ritirarsi egoisticamente, è fare il gioco dei nemici
della democrazia e dell'umanità.
Gianni Toffali



Gianni.Toffali@inwind.it



GdS 30 IV 2004 - www.gazzettadisondrio.it

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Politica