OBAMA E L'IRAQ: CORREGGENDO BUSH

"Non si può essere dentro e fuori allo stesso tempo". Ecco come il parlamentare di sinistra Dennis Kucinich (democratico, Ohio) ha descritto il piano di Barack Obama sul ritiro graduale delle truppe americane dall'Iraq.

Secondo il discorso del presidente americano davanti a un gruppo di marines in partenza per l'Afghanistan la maggioranza dei soldati americani in Iraq ritornerà a casa entro il mese di agosto del 2010. Un contingente di "forze residue" di 50mila unità rimarrà però fino al 2011 per assistere e consigliare le forze irachene e proteggere gli interessi americani.

Kucinich non è stato l'unico a dimostrare il suo disappunto per la mancanza del ritiro completo delle truppe. La parlamentare democratica californiana Lynn Woolsey e il senatore democratico del Wisconsin Russ Feingold si sono schierati anche loro contro il piano di Obama. Altri come il senatore Carl Levin si aspettavano che il numero delle forze residue sarebbe stato molto più basso.

Altri leader democratici hanno accolto il piano di Obama con parole di cauto elogio. Ma il più forte supporto è venuto dai repubblicani. Il senatore John McCain, il quale aveva considerato irresponsabile il ritiro delle truppe durante la campagna presidenziale, ora vede il progetto come qualcosa che porterà al successo.

McCain riflette in grande misura le vedute del partito repubblicano. Dopo essersi presentati come il partito del "no" per la loro opposizione al pacchetto di stimolo approvato recentemente dal Congresso il Gop ora cerca di lavorare in maniera bipartisan. Obama si trova dunque fra un estremo e l'altro e quindi dà l'impressione di trovarsi al centro politico.

Nonostante il supporto del partito repubblicano al ritiro graduale delle truppe dall'Iraq i repubblicani insistono che Obama dia credito al presidente Bush per la sua implementazione del successo in Iraq mediante l'arcinota "surge", cioè l'aumento delle truppe americane in Iraq. Ovviamente i repubblicani non riconoscono che prima di tutto la guerra in Iraq si è dimostrata come innecessaria perché le armi di distruzione massiva, la "scusa" per la guerra, non esistevano. Una volta scoperto che Saddam Hussein aveva detto la verità sulla presenza di armi di distruzione massiva Bush ha cambiato "scusa" dicendo che il dittatore iracheno andava eliminato per le atrocità che aveva commesso. Inoltre Bush aveva iniziato la guerra con un insufficiente numero di soldati ed eventualmente la surge ha corretto il secondo sbaglio.

Dare credito a Bush per il "successo" nella guerra in Iraq sarebbe irresponsabile considerando la morte di tanti innocenti. Obama potrà solamente rimettere le cose a posto nel migliore dei modi correggendo gli errori disastrosi del suo predecessore. Obama dovrà continuare a riconoscere il valoroso sacrificio dei soldati americani senza però dare credito a Bush per la sua sbagliata decisione.

Il primo sbaglio originale dell'inizio della guerra fu il cavallo di battaglia di Obama durante le elezioni primarie democratiche ed anche durante l'elezione generale. Come si sa Obama fu uno dei pochi che si oppose alla guerra fin dall'inizio. Aveva ragione ovviamente.

Una volta eletto presidente Obama deve però correggere gli sbagli di Bush. Il ritiro delle truppe in un certo senso mantiene la sua promessa della campagna elettorale. Si tratta solamente di una questione di tempo sulla quale si potrebbe discutere.

Il governo iracheno, dominato dagli sciiti, crede che il piano di Obama funzionerà. I sunniti invece si preoccupano perché temono che l'assenza delle truppe americane fornirà campo libero agli sciiti per perseguitare le minoranze etniche. La buona probabilità che il governo iracheno attuale dominato dalla setta sciita rafforzi i suoi legami con gli iraniani, anche loro sciiti, aggrava l'insicurezza dei sunniti.

Spencer Ackerman del Washington Independent ricorda che nel 2003 il generale David Petraeus chiese ad un giornalista che lo accompagnava di dirgli come andrebbe a finire la guerra in Iraq. Ora abbiamo la risposta. Finirà piano, piano. Troppo piano per la sinistra ma forse nel meno peggiore dei modi possibili.

Domenico Maceri (x)

(x) dmaceri@gmail.com, PhD della Università della California a Santa Barbara, è docente di lingue a Allan Hancock College, Santa Maria, California, USA. I suoi contributi sono stati pubblicati da molti giornali (International Herald Tribune, Los Angeles Times, Washington Times, San Francisco Chronicle, Montreal Gazette, Japan Times, La Opinión, Korea Times, ecc.) ed alcuni hanno vinto premi dalla National Association of Hispanic Publications.

Domenico Maceri (x)
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