IMMIGRAZIONE IN USA: OMBRE E LUCI
Il parlamentare statale Russell Pearce dell'Arizona è contento della mano dura del suo Stato contro i clandestini. Data l'inerzia del governo federale di approvare leggi di immigrazione accettabili che affrontino le nuove realtà, parecchi Stati e città americane hanno varato leggi e ordinanze locali. Molte di queste sono aspre e non riflettono la tradizione americana di incorporare persone di tutte le parti del mondo.
In Arizona il governo statale ha approvato le più atroci leggi contro i clandestini. In alcuni casi l'asprezza di queste nuove leggi ha colpito non solo i clandestini ma anche i cittadini americani. Ecco cos'è successo a Juan Carlos Ochoa. Divenuto cittadino americano nel 2000, Ochoa non può trovare lavoro perché il suo cognome è andato a finire in una lista di indocumentati. Si tratta di un programma federale chiamato E-verify (verifica elettronica) usato da quasi 10.000 ditte per verificare la legalità dei loro lavoratori. La lista è preparata con informazione del Social Security ma non è esente di errori. A volte si tratta di sbagli ortografici oppure di casi di cittadini naturalizzati che non hanno informato il Social Security. Ecco cos'era successo a Ochoa. Dato che il suo nome era incluso nella lista di E-verify il suo datore di lavoro lo ha licenziato.
Il datore di lavoro seguiva alla lettera le nuove leggi approvate dall'Arizona le quali richiedono questi controlli e possono anche fare perdere le licenze alle ditte che assumono clandestini. Naturalmente i datori di lavoro non sono contenti perché le nuove regole impongono limiti al loro business. L'anno scorso un gruppo di ditte ha denunciato il governo dell'Arizona a causa di questa legge.
Le dure leggi dell'Arizona hanno prodotto gli effetti di ridurre il numero di clandestini. Ciò però sta causando problemi all'economia e ha spinto altri Stati a rallentare il vigore di nuove leggi contro i clandestini. È avvenuto in Indiana, Kentucky e Nebraska dove alcune proposte simili a quelle dell'Arizona sono state abbandonate dalle legislature statali. E nello Stato dell'Utah alcune di queste proposte sono state ridotte per ottenere il supporto del governatore John Huntsman, repubblicano.
Allo stesso tempo però alcuni Stati come l'Oregon, il Michigan e il Maryland hanno eliminato leggi che permettevano ai clandestini di ottenere patenti legali. Le patenti negli Stati Uniti sono spesso usate come carte di identità e il governo federale vuole che solo i residenti legali possano ottenerle.
Non tutto è negativo per gli indocumentati. Il consiglio comunale della città di New Haven, nello Stato del Connecticut, ha approvato un'ordinanza che darebbe una carta d'identità locale a tutti. La nuova carta d'identità permetterebbe ai clandestini di stabilire conti in banca e non dovere portare con sé somme alte di contanti. Vi sono stati non pochi casi di furti nei quali clandestini sono stati assaltati e derubati perché i presunti ladri sospettavano le loro vittime di essere nel Paese illegalmente.
Un simile "abbraccio" ai clandestini è stato offerto dalla liberal città di San Francisco in California. Il sindaco Gavin Newsome ha annunciato una campagna di informazione che nessuno sarà riportato alle autorità di immigrazione. L'idea è di creare una certa sicurezza per tutti gli immigrati, legali o no, la quale li farà sentire sicuri di collaborare con la polizia locale in caso di problemi legali. Tre altre metropoli americane come Detroit, New York e Washington D.C. hanno simili regole.
Con il calo economico la questione dell'immigrazione è quasi scomparsa dalla primaria democratica e da quella repubblicana. I tentativi di George Bush e del Senato americano l'anno scorso per riformare le leggi dell'immigrazione sono stati schiacciati dalle voci della destra che hanno gridato no alla legalizzazione dei 12 milioni di clandestini negli Stati Uniti. L'ideologia in quel caso l'ha vinta sulla realpolitik dell'immigrazione. Tutto è stato rimandato all'anno prossimo. Si spera che un presidente democratico e un Congresso dello stesso partito potranno raggiungere un accordo che tenga in mente le belle parole scritte sulla Statua della Libertà che danno il benvenuto negli Stati Uniti a tutti senza riguardo di Paese di origine.
Domenico Maceri (x)
(x) dmaceri@gmail.com, PhD della Università della California a
Santa Barbara, è docente di lingue a Allan Hancock College, Santa Maria, California, USA. I suoi contributi sono stati pubblicati da molti giornali (International Herald Tribune, Los Angeles
Times, Washington Times, San Francisco Chronicle, Montreal Gazette, Japan Times, La Opinión, Korea Times, ecc.) ed alcuni hanno vinto premi dalla National Association of Hispanic Publications.