USA: IL RITORNO DEI SINDACATI?

"La mia posizione sulla Employee Free Choice non cambierà". Chi parla è il senatore Arlen Specter della Pennsylvania durante la conferenza stampa in cui annunciava che abbandonava il Partito Repubblicano per diventare democratico.

La Employee Free Choice è un disegno di legge che semplifica la formazione di sindacati mediante la rinuncia al voto segreto nelle elezioni. In linee generali il Partito Democratico favorisce il cambiamento che renderebbe meno difficoltoso la creazione di sindacati negli Stai Uniti.

Per organizzare un sindacato negli Stati Uniti al momento sono necessarie le firme del 30% dei lavoratori dell'azienda che culmineranno in un'elezione nella quale la maggioranza farà la decisione. Il problema fino ad ora è che l'elezione avviene al più presto quarantadue giorni dopo l'annuncio di avere raccolto le firme. In molti casi l'elezione viene rimandata e quindi le aziende hanno molto tempo per intimidire i lavoratori e convincerli a ritirare le loro firme oppure a votare contro l'idea del sindacato. Il nuovo disegno di legge potrebbe eliminare il bisogno dell'elezione una volta raggiunto il 50% delle firme dei lavoratori. In questo caso il management non avrebbe l'opportunità di bloccare la formazione di sindacati.

Il disegno di legge Employee Free Choice era stato bocciato nel 2007 durante l'amministrazione Bush. Con l'elezione di Obama ed il controllo democratico sia della Camera dei Rappresentanti che del Senato ci sono buone possibilità che diventi legge. Ciò dovrebbe avere un effetto positivo ad incrementare il numero di iscritti ai sindacati dato che negli Usa attualmente include solo il 13% di tutti i lavoratori. La cifra in Svezia invece è l'82% ed in parecchi altri Paesi europei si aggira sul 40% (Italia 35%).

L'iscrizione ai sindacati apporta benefici significativi ai lavoratori. Si calcola che membri dei sindacati negli Usa guadagnano il 30% più di quelli che non fanno parte di sindacati. Inoltre i sindacati forniscono una pensione supplementare oltre al social security. Ciò vuol dire che una volta andati in pensione gli iscritti ai sindacati possono vivere decentemente.

Le ditte naturalmente preferiscono assumere lavoratori senza avere a che fare con i sindacati in parte per il fatto degli stipendi ma anche per potere avere più controllo sui loro impiegati. Grossissime aziende come Wal-Mart, il colosso della distribuzione al dettaglio, hanno lottato con successo contro gli sforzi dei loro lavoratori di organizzare dei sindacati.

Cinque delle persone più ricche al mondo sono i discendenti di Sam Walton, fondatore di Wal-Mart. Sono ovviamente anche i proprietari della ditta. Come sono pagati i lavoratori di Wal-Mart che non hanno sindacato? Male. Secondo uno studio il 70% dei lavoratori di Wal-Mart qualifica per food stamps, cioè i "francobolli del cibo", una specie di social card americana adottata anche dal ministro Giulio Tremonti in Italia.

Durante le due ultime decadi di governo repubblicano le grosse ditte sono state agevolate a scapito dei lavoratori. Ecco come si spiega il fatto che nel 2007 gli stipendi dei manager erano 344 volte più alti di quelli del lavoratore medio. Fra il 1980 e il 2005 mentre il numero di iscritti ai sindacati diminuì i salari degli esecutivi aumentarono. Nonostante tutto il supporto ricevuto dal governo la crisi di Wall Street non ha impedito ad alcune ditte di dare bonus esorbitanti ai loro manager per il "buon" lavoro fatto.

Il presidente Obama ha annunciato che appoggia il disegno di legge della Employee Free Choice. Le voci di destra si sono già alzate contro dicendo che data la crisi economica l'incremento dei sindacati aumenterebbe i costi delle aziende e quindi influirebbe negativamente sull'economia.

Il governo americano attuale è nelle mani dei democratici. Si tratta di un governo considerato l'alleato naturale dei sindacati che con pochissime eccezioni hanno sempre votato contro i repubblicani. I sindacati e di conseguenza i lavoratori possono cominciare a sperare.

Domenico Maceri (x)

(x) dmaceri@gmail.com, PhD della Università della California a Santa Barbara, è docente di lingue a Allan Hancock College, Santa Maria, California, USA. I suoi contributi sono stati pubblicati da molti giornali (International Herald Tribune, Los Angeles Times, Washington Times, San Francisco Chronicle, Montreal Gazette, Japan Times, La Opinión, Korea Times, ecc.) ed alcuni hanno vinto premi dalla National Association of Hispanic Publications.

Domenico Maceri (x)
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