Questione Province e...: l'appello di 44 costituzionalisti – I nostri ultimi articoli

Un appello che dovrebbe far riflettere ma temiamo prevalga a Roma 'la questione del papiro'

La foto che pubblichiamo vuol essere indicativa. Una Provincia che non è più dei valtellinesi ma 'del governo', e che vacilla. Per ora solo un pochettino e verso sud, verso la capitale... La pervicacia infatti  con la quale a Roma ci si ostina perfino a negare l'evidenza la dice lunga sulla natura della scelta dichiarata di 'sbaraccare' le Province e soprattutto di eliminare il voto popolare per l'Ente di vasta area che saranno le Regioni a dover definire.
Torniamo allora alla questione del papiro di cui abbiamo scritto 8 anni fa a proposito della guerra in Irak. Questa volta è per un'altra guerra per fortuna non sanguinosa ma foriera di cattive prospettive per cittadini e comunità locali.

La questione del papiro
"Un tempo, quando la goliardia era di casa nelle Università, le matricole dovevano avere oltre al tesserino universitario, quello ufficiale, anche un documento "ufficiale" della goliardia: il papiro. Rigorosissime regole stabilivano cosa doveva contenere e regole non scritte prescrivevano modi e qualità. Ogni matricola, avvicinata dagli "anziani" doveva esibirlo e scontare le conseguenze se c'era qualcosa fuori posto. Si andava da qualche aspetto burlesco, all'offerta di sigarette, all'offerta da bere e fino a veri e propri "processi" nel caso di mancanze gravi. Di rado capitava che tutto fosse a posto. Quando, controllato come al microscopio questo papiro nulla c'era da obiettare, anche in termini di qualità, l'anziano apriva le dita che lo tenevano, lo lasciava andare e quello, per la newtoniana gravità, calava verso terra. Esclamazioni di disappunto e rimprovero degli anziani: "Ma come, questo papiro non vola!", e il malcapitato doveva comunque pagare pegno.

Basta vedere la successione e stiamo solo agli aspetti maggiori.
1 (fa sempre audience) costo degli amministratori. Viene dimostrato, numeri alla mano, che sono balle.
2 Spreco di risorse. Viene dimostrato, numeri alla mano, che sono balle.
Spreco di risorse
3 Passando le funzioni della Province a Regioni e Comuni non ci sono costi aggiuntivi. Viene dimostrato, numeri alla mano, che sono balle.
4 Funzioni odierne? Le si passano a Comuni e Regioni. Viene dimostrato, documenti alla mano, che è uno sconquasso. E noi dimostriamo che i Comuni, da noi, in Lombardia, in altre Regioni non possono farlo.
5 Ennesima marcia indietro romana: saranno le Regioni a vedersela con gli Enti di vasta area facendoli come vogliono ma con un punto intoccabile: Ente di secondo livello con Presidenti eletti dai e fra i sindaci. Dalle 8.30 alle 12.30 farà il Sindaco (a pochissime centinaia di €uro di indennità mensile, dalle 14.30 alle 19.30 (gratis) il Presidente, dalle 20.30 alle 24 finalmente si occuperà dei suoi interessi.

Guai insomma a chiamare il 'popolo-bue' alle urne: il papiro non vola, non c'è ragionamento che tenga. Conta poter dire che è stata fatta la riforma. Non quelle che servono, prime fra tutte la riforma elettorale e quella del Parlamento (metà parlamentari, Senato delle Regioni). Il 'porcellum', vae victis, in pasto ai leoni. A parole. Fa comodo a tutti tenerlo, dando poi la colpa 'agli altri', va bene anche a Grillo.
L'on. Giachetti fa lo sciopero della fame insistendo sulla sua proposta, di tornare al 'Mattarellum'. E' un disturbatore rispetto alle intese 'che stanno maturando', - ripetendoci, come il coro che canta “partiam, partiam” e non si muove dal palcoscenico -.
Ridurre i parlamentari? Le proposte ci sono ma chi dovrebbe approvarle? I parlamentari...
Il Senato delle Regioni? Tutti d'accordo, come ipotesi culturale o anche con una volontà di realizzarlo. Chi l'ha questa volontà? Non i senatori, ce l'hanno i deputati.
Se passiamo alle Regioni apriti cielo visto e considerato che molte non sono affatto come la Lombardia. E che ci fa la miniregione del Molise? E i privilegi delle Regioni a Statuto Speciale?
Il papiro non vola. E la Provincia è spacciata. Follia.

Un qualificatissimo appello
Abbiamo la possibilità di pubblicare – ringraziamo il prof. Balboni al quale lo avevamo chiesto) l'appello di 44 costituzionalisti insigni alle Commissioni Affari Costituzionali e ai Gruppi Parlamentari della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. Il testo:

“Per una riforma razionale del sistema delle autonomie locali

Il sovrapporsi disordinato di provvedimenti di “riforma” del sistema delle autonomie locali (sul destino delle Province, sull’istituzione delle Città metropolitane, sulla riduzione della frammentazione territoriale dei Comuni) lascia disorientati, sia quanto al merito delle politiche di riorganizzazione tentate, sia quanto alla loro legittimità costituzionale. Siamo consapevoli che una radicata campagna di opinione vede con sospetto ogni ipotesi che venga rappresentata come di “conservazione” dell’esistente. Ma non possiamo sottrarci al dovere, scientifico prima che morale, di richiamare tutte le forze politiche e la società civile, le imprese, le forze intellettuali del nostro Paese ad una riflessione attenta e condivisa.

Quanto al destino delle Province – oltre a ricordare che la Corte costituzionale ha dichiarato la incostituzionalità (con la sentenza n. 220/13) dei confusi e contraddittori provvedimenti degli ultimi governi, perché approvati con atti di urgenza (decreti-legge) – riteniamo che non si possa comunque con legge ordinaria sopprimere le funzioni di area vasta delle Province e attribuirle a Regioni e Comuni, né trasformare gli organi di governo da direttamente a indirettamente elettivi, né rivedere con una legge generale gli ambiti territoriali di tutte le Province. Non si possono, infatti, svuotare di funzioni enti costituzionalmente previsti e costitutivi della Repubblica (art. 114), né eliminare la diretta responsabilità politica dei loro organi di governo nei confronti dei cittadini, trasformando surrettiziamente la Provincia in un ente associativo tra i Comuni, mentre le funzioni da svolgere non sono comunali. Quanto alla revisione generalizzata degli ambiti territoriali provinciali, c’è il problema della compatibilità con il procedimento previsto dall’art. 133 Cost.

Aggiungiamo, peraltro, che perplessità suscita anche la strada della revisione costituzionale, intrapresa dal Governo all’indomani della ricordata pronuncia della Corte, con una iniziativa (A.C. n. 1543) volta alla soppressione-decostituzionalizzazione delle Province, poi seguita da un disegno di legge ordinario (A.C. 1542) volto a sottrarre alle Province la gran parte delle funzioni di area vasta, nonché da un opinabilissimo provvedimento di commissariamento fino a giugno 2014 di tutte le Province con organi in scadenza prima della prossima tornata elettorale-amministrativa (art. 12 del D. L. n. 93/13, ora A.C. n. 1540). Questa appare per molti versi una scorciatoia fonte di ulteriori complicazioni per il rischio di un mancato rispetto del principio autonomistico sancito in Costituzione.

In effetti, la soppressione delle Province potrebbe essere realizzata  solo se le funzioni di area vasta, risultassero tutte attribuibili ai Comuni o alle Regioni. Ma queste funzioni, di cui tutti riconoscono l’esistenza e il necessario esercizio, sia quelle operative (viabilità, edilizia per l’istruzione secondaria, lavoro e formazione professionale, trasporti pubblici locali, gestione del ciclo dei rifiuti, protezione della natura e dell’ambiente), sia quelle di coordinamento (le pianificazioni con riflessi territoriali cioè le più rilevanti scelte di localizzazione) non sono attribuibili ai Comuni, che anzi sono in molti casi i principali destinatari delle scelte di area vasta operate nei loro confronti. L’attribuzione delle funzioni di area vasta alle Regioni è, a sua volta, in contrasto con la configurazione costituzionale, non amministrativa e operativa, dell’ente regione, che dovrebbe invece qualificarsi essenzialmente come sede di scelte legislative e programmatorie, evitando di burocratizzarsi e di accentrare gestioni amministrative, oltretutto in contrasto con il principio di sussidiarietà.

La decostituzionalizzazione, che consisterebbe nella soppressione della parola Provincia in Costituzione, salvo a consentire alle Regioni di costituire con proprie leggi enti intermedi per svolgere le funzioni di area vasta – come di recente prospettato anche da opinioni espresse nell’ambito della “Commissione per le riforme costituzionali” – appare quindi assai opinabile, perché cade in una contraddizione evidente: se si riafferma l’esistenza di funzioni di area vasta (né comunali, né regionali), queste funzioni non possono essere attribuite ad enti di incerta e variabile natura (in qualche regione enti o uffici dipendenti, in altre enti locali a base associativa, in altre enti locali elettivi).
Occorre, invece, una garanzia generale dell’esistenza di enti locali “necessari” di area vasta per tutto il territorio nazionale (salvo forse il caso delle Regioni più piccole) di cui la Costituzione e la legge statale devono continuare a tracciare gli elementi di base, a partire dalle funzioni e dal carattere direttamente elettivo degli organi. Nel contempo va ridotta drasticamente la miriade di enti e altri soggetti strumentali e di società a vario titolo costituite da Regioni e Enti locali, che complicano, spesso duplicano e comunque costano, sfuggendo anche al controllo democratico e alle garanzie che debbono offrire autonomie effettivamente responsabili.  L’affidamento eventuale di funzioni di area vasta ad enti o soggetti politici (burocratici o solo indirettamente elettivi), appare oltretutto, chiaramente in contrasto anche con l’articolo 3, comma 2, della Carta europea delle autonomie locali, trattato internazionale che vincola direttamente il nostro legislatore, anche ai sensi dell’art. 117, comma 1, Cost., costituendo altresì un parametro per il giudizio sulla costituzionalità delle leggi.

Sul versante delle Città metropolitane i provvedimenti adottati sono, se possibile, ancora più incerti e contraddittori, perché, da un lato, evitano di affrontare in modo adeguato sia il nodo essenziale (e preliminare) della determinazione degli ambiti territoriali metropolitani, sia la questione del riparto delle funzioni locali all’interno del sistema metropolitano; dall’altro, prefigurano forme di governo metropolitano assai deboli, con incarichi a titolo gratuito e peso determinante dei Comuni capoluogo, in contrasto con la necessità di dar vita ad un modello di governo differenziato, con un riequilibrio nei rapporti tra capoluogo e comuni contigui, in queste aree strategiche di forte conurbazione in cui risiede la maggioranza della popolazione italiana.
Quanto, infine, alla riduzione della frammentazione territoriale dei piccoli comuni, che rende del tutto virtuale la loro autonomia, se va di massima condivisa la soluzione – prevista anche nel ddl n. 1542 – della obbligatorietà di unioni polifunzionali dei piccoli comuni (sotto i cinquemila abitanti, ridotti a tremila nelle zone montane), in modo da realizzare gestioni associate più efficienti, incentivando al tempo stesso processi di fusione delle realtà comunali più frammentate, si deve per altro verso sottolineare che manca del tutto la previsione di una dimensione territoriale o demografica massima delle unioni, che devono servire a concretare e rafforzare l’autonomia dei Comuni, con funzioni e servizi di prossimità, evitando però che si trasformino in una sorta di Province o in enti di area vasta mascherati.

L’appello che rivolgiamo a chi ha responsabilità politiche è, quindi, il seguente: si cerchi di tracciare una linea di riforma delle autonomie locali condivisa ed efficace, con un approccio coerente e di sistema, senza strappi, senza operazioni di pura immagine, destinate a produrre danni profondi e duraturi sulla nostra democrazia locale. A questo fine si deve sottolineare anzitutto l’urgenza di attuare finalmente in modo corretto il disegno di riassetto delle funzioni amministrative nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza sanciti nell’art. 118 Cost., approvando una Carta delle autonomie che sia la premessa per riorganizzare, semplificare  e garantire effettive autonomie responsabili sul piano sia politico-amministrativo che finanziario, applicando anche in modo sistematico quanto previsto dall’art. 119 Cost. in ordine alla correlazione tra funzioni e risorse in base a standard oggettivi di fabbisogni e di costi (salve eventuali perequazioni).

Nel contempo vanno messe a fuoco le correzioni e integrazioni del Titolo V – tra le quali quelle volte a rafforzare la rappresentanza e la interlocuzione delle autonomie al centro e quelle volte a garantire, sia pure con opportuni filtri, l’accesso diretto delle autonomie locali alla Corte costituzionale – utili a realizzare il disegno autonomistico fondato sull’art. 5 Cost., prevedendo altresì norme transitorie volte ad assicurare tempestività di decisione e procedure condivise tra Stato e autonomie nel riassetto del sistema istituzionale e amministrativo.

In questa prospettiva, sul piano delle misure di carattere ordinamentale riguardanti le autonomie locali riteniamo in particolare prioritario:
- accelerare, in primo luogo, il processo di individuazione delle funzioni fondamentali di Comuni e Province (e Città metropolitane), tenendo conto anche del principio di “unicità” per la distribuzione delle funzioni (ad evitare la sovrapposizioni di compiti), nonché della distinzione tra funzioni di prossimità e di area vasta nel riassetto delle funzioni locali;
- mantenere alla legge statale la definizione degli elementi di base della Provincia (funzioni fondamentali, organi, elezione), salvo a riconoscere un ruolo maggiore alle Regioni:  nell’attribuzione di nuove funzioni (ora accentrate a livello regionale o gestite da enti strumentali); nella determinazione di strumenti di raccordo interistituzionale infraregionale (al di là dei Consigli delle autonomie previsti dall’art. 123, ultimo comma, Cost.); nei procedimenti di revisione territoriale delle Province. A quest’ultimo proposito potrebbe essere riscritto (non soppresso) l’art. 133, primo comma, Cost., attribuendo alla Regione un ruolo di proposta in un procedimento di legge statale volto ad una revisione complessiva dei territori delle Province (con una loro significativa riduzione rispetto alla recente proliferazione) entro un tempo breve e certo;
- imporre, con norma transitoria, l’istituzione, entro un termine breve, delle Città metropolitane (che sostituiscono la Provincia nel loro territorio), anche con unica legge statale sugli organi di governo e sul riparto delle funzioni, salvo eventuali spazi per scelte statutarie differenziate per ciascuna Città;
- approvare norme statali di guida e stimolo alla revisione, necessariamente regionale, dei territori comunali, ricorrendo a forme associative “forti” (quanto a dimensioni minime e massime, a funzioni, a organi di governo, a fiscalità propria) o a processi di fusione che producano – entro tempi brevi e certi – il risultato della riduzione degli apparati amministrativi (e dei centri di spesa) comunali;
- ricondurre, in tempi brevi e certi, agli enti autonomi territoriali le funzioni amministrative attualmente esercitate dalla miriade di enti e società strumentali regionali e locali (pubblici o privati in controllo pubblico), in larga misura da sopprimere  (semplificando e risparmiando non poco), anche perchè figli di una pessima concezione dell’autonomia politica degli enti territoriali, con scarsa trasparenza e controlli nelle gestioni e quindi anche  fonti frequenti di sprechi e di fenomeni corruttivi”.
11 ottobre 2013

L’appello è sottoscritto dai seguenti professori ordinari di materie giuspubblicistiche:
Gian Candido De Martin  (Università Luiss Guido Carli – Roma)
Francesco Merloni (Università  di Perugia)
Piergiorgio Alberti (Università di Genova)
Laura Ammannati (Università di Milano)
Enzo Balboni (Università Cattolica - Milano)
Luigi Benvenuti (Università di Venezia - Cà Foscari)
Mario Bertolissi (Università di Padova)
Raffaele Bifulco (Università Luiss Guido Carli - Roma)
Antonio Brancasi (Università di Firenze)
Maria Agostina Cabiddu (Politecnico di Milano)
Marcello Cecchetti (Università di Sassari)
Vincenzo Cerulli Irelli (Università di Roma Sapienza)
Omar Chessa (Università di Sassari)
Mario Pilade Chiti (Università di Firenze)
Pietro Ciarlo (Università di Cagliari)
Stefano Civitarese Matteucci (Univ.“G.D’Annunzio” Chieti – Pescara)
Guido Clemente di San Luca (II Università di Napoli)
Francesco Clementi (Università di Perugia)
Cecilia Corsi (Università di Firenze)
Gianfranco D’Alessio (Università di Roma Tre)
Mario Dogliani (Università di Torino)
Carlo Emanuele Gallo (Università di Torino)
Silvio Gambino (Università della Calabria)
Maria Immordino (Università di Palermo)
Aldo Loiodice (Università “Aldo Moro” di Bari)
Isabella Loiodoce (Università “Aldo Moro” di Bari)
Nicola Lupo (Università Luiss Guido Carli - Roma)
Stelio Mangiameli (Università di Teramo)
Guido Meloni (Università del Molise)
Ida Nicotra (Università di Catania)
Valerio Onida (Università di Milano)
Giorgio Pastori (Università Cattolica - Milano)
Aristide Police (Università di Roma Tor Vergata)
Ferdinando Pinto (Università di Napoli “Federico II”)
Alessandra Pioggia (Università di Perugia)
Andrea Piraino (Università di Palermo)
Paola Piras (Università di Cagliari)
Aldo Sandulli (Università S.Orsola Benincasa – Napoli)
Giovanni Serges (Università di Roma Tre)
Fabio Severo Severi (Università di Trieste)
Ernesto Sticchi Damiani (Università del Salento)
Vincenzo Tondi della Mura (Università del Salento)
Paolo Urbani (Università “G. D’Annunzio” Chieti - Pescara)
Mauro Volpi (Università di Perugia)

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