STATI UNITI: VERSO IL SOCIALISMO?

Nel suo discorso di inaugurazione nel 1981 il presidente americano Ronald Reagan disse che "il governo non era la soluzione" dato che non forniva risposte ai problemi. Il presidente Bill Clinton anche lui dichiarò nel 1996 che "l'era del grande governo è finita".

La crisi economica attuale con i suoi echi alla grande depressione degli anni '30 suggerisce però il ritorno al governo come soluzione e la crescita dei programmi governativi. Ciò non sembra causare molti problemi agli americani nonostante il fatto che alcune voci hanno già gridato che gli Stati Uniti si stiano convertendo in un Paese socialista.

Un recente sondaggio dell'agenzia Rasmussen ha scoperto che il 33% degli americani di trenta anni o meno preferisce il socialismo mentre il 37% favorisce il capitalismo. Se si considera tutta la popolazione invece il 53% degli americani favorisce il capitalismo, il 20% il socialismo mentre il 27% non è sicuro.

Quando il capitalismo funziona bene il ruolo del governo diminuisce. Quando le cose vanno male il governo non ha molta scelta e deve intervenire. Ecco cosa ha fatto il governo del presidente Obama con il suo programma di stimolo di qualche mese fa. Le voci stridenti di alcuni noti della destra hanno subito accusato Obama di spingere il Paese verso il socialismo. Da una parte hanno ragione secondo una definizione del termine socialismo strettamente economico che vede un aumento della spesa di fondi governativi come percentuale del Pil nazionale. Secondo questa considerazione gli Stati Uniti sarebbero 44% socialisti e 55% capitalisti nel 2009. Nel 2008 la cifra socialista sarebbe di 37% e quella capitalista di 63%. La differenza si spiega con gli aumenti della spesa pubblica approvati dallo stimolo per salvare l'economia.

Un recente articolo del giornalista Chris Bowers di OpenLeft mette Cuba al primo posto con l'81% in questa graduatoria di socialismo. I Paesi dell'Europa occidentale vanno da un massimo del 61% della Francia al minimo del 47% della Spagna. I Paesi più poveri invece sarebbero in linee generale i meno socialisti. L'eccezione al fattore povertà-ricchezza e socialismo sarebbero i Paesi come Cuba, Libia, Angola, Venezuela ed altri, noti per la loro etichetta socialista.

La spesa del governo dunque non vuol dire sprechi dato che l'economia dei Paesi più ricchi tende ad essere più "socialista".

Forse non si tratta di sprechi ma di investimenti che servono a nutrire l'iniziativa privata. Ecco esattamente cosa intende fare la politica del presidente Obama. Non mira a prendere possessione della ditte ma fornire aiuti che potranno rimetterle in piedi e prosperare per il loro bene che vuol anche dire il bene dei cittadini.

Quando però si sente che alcune di queste aziende che ricevono fondi del governo danno bonus esorbitanti ai loro manager i cittadini si ribellano. Si accorgono che l'iniziativa privata, cioè a dire, il sistema capitalista, non è la soluzione ai problemi. Si sbagliava dunque Ronald Reagan. Il governo è la soluzione o almeno lo si spera.

Questi sospetti che il capitalismo non abbia sempre tutte le soluzioni spiega in parte perché il termine socialismo non fa paura ai giovani americani. C'è ovviamente anche il fatto che i giovani non sono cresciuti con l'idea del socialismo o comunismo come il grande nemico rappresentato dalla vecchia Unione Sovietica e la Cina di Mao. Questi due Paesi ora hanno abbandonato la retorica tradizionale socialistica e si sono spostati verso un sistema economico più vicino a quello occidentale.

Questo cambiamento della visione meno negativa del socialismo negli Usa spiega in parte la popolarità di Obama il cui operato riceve l'approvazione del 62% degli americani secondo un recente sondaggio del Los Angeles Times. Inoltre l'85% degli americani approva l'operato del governo americano per fare fronte alla crisi finanziaria secondo un altro sondaggio del giornale Usa Today.

Non viviamo in un mondo socialista né capitalista. Ogni Paese include aspetti di ambedue le filosofie. Bisogna guardare oltre i significati negativi delle etichette per cercare di trovare le soluzioni ai problemi che bisogna affrontare.

Domenico Maceri (x)

(x) dmaceri@gmail.com, PhD della Università della California a

Santa Barbara, è docente di lingue a Allan Hancock College, Santa Maria, California, USA. I suoi contributi sono stati pubblicati da molti giornali (International Herald Tribune, Los Angeles Times, Washington Times, San Francisco Chronicle, Montreal Gazette, Japan Times, La Opinión, Korea Times, ecc.) ed alcuni hanno vinto premi dalla National Association of Hispanic Publications.

Domenico Maceri (x)
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