) STATI UNITI: PAESE RICCO CON MOLTI POVERI 2) OBAMA REMA A SINISTRA? 11 9 30 7

1) STATI UNITI

La crisi economica degli ultimi anni ha avuto molti effetti visibili non solo per il tasso della disoccupazione ma specialmente per il numero di americani alla soglia della povertà. Secondo dati rilasciati recentemente dal US Census Bureau, l'ufficio censimento statunitense, 46 milioni di americani sono classificati poveri, 3 milioni in più del 2009, ossia il 15 percento della popolazione.

Che cosa vuol dire essere poveri in America? La definizione originale fu creata durante l'amministrazione del presidente Lyndon Johnson. Consiste di una famiglia di tre o più persone che spende oltre un terzo del reddito per il cibo. I criteri per stabilire la definizione di povertà sono stati precisati nel corso degli anni ed attualmente si considera povera una famiglia di quattro persone con un reddito inferiore ai 22.000 dollari annui.

Quando si guarda più attentamente ai diversi gruppi etnici si nota la solita storia. Il tasso di povertà per gli afro-americani raggiunge il 27%, quello dei latinos il 26%, mentre quello dei bianchi, come era da aspettarsi, non va oltre il 13 percento.

L'altro punto da rilevare è che il 42% delle madri single fa parte del gruppo dei poveri. E naturalmente 16 milioni di bambini sono inclusi nel gruppo.

Al tasso di povertà bisogna anche considerare i 49 milioni di americani senza assicurazione medica. Alcuni di questi non ce l'hanno per scelta propria ma molti non possono permettersi di comprarla.

La crisi economica ha colpito ovviamente altri Paesi ma secondo dati dell'Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo di Parigi solo il Cile, il Messico e l'Israele, fra i 34 Paesi in considerazione, hanno avuto un incremento del tasso di povertà più alto di quello statunitense.

Il livello di povertà negli Stati Uniti è probabilmente persino più alto dato che le cifre non includono il costo dei ticket per le cure mediche, le spese per il trasporto e quelle relative al servizio nido.

Essere poveri non vuol dire necessariamente che uno va a letto affamato ma a volte questo può succedere, il che ovviamente è un pugno nell'occhio a un Paese ricco come gli Stati Uniti. Ma non si tratta solo di qualcosa dal quale c'è da vergognarsi. Oltre alla questione morale c'è anche quella pragmatica. Secondo dati dell'Urban Institute, un centro che studia i problemi urbani, la povertà dei bambini costa agli Stati Uniti 500 miliardi di dollari annui. Si stima che la povertà riduce la produttività dell'1,3 percento al Pil statunitense. Aumenta il tasso del crimine dell'1, 3 percento, causa un incremento delle spese sanitarie e riduce ovviamente le opportunità di questi ragazzi, futuri cittadini. Investendo per ridurre il tasso della povertà creerebbe benessere non solo per questi bambini in difficoltà ma eventualmente anche alla società in generale.

Ma investire per il futuro richiede risorse che negli ultimi anni sono diminuite e continuano a diminuire. L'enfasi del governo americano sembra essere di ridurre il deficit che causerà tagli ai servizi che beneficiano i meno abbienti e che inevitabilmente aumenteranno il numero dei poveri.

Il presidente Barack Obama ha timidamente cercato di arginare i tagli che colpiranno i meno fortunati. Da parte loro i repubblicani continuano a spingere alla riduzione delle tasse che continua ad ampliare il divario fra ricchi e poveri. Non a caso la classe media continua a perdere terreno ed i benestanti controllano sempre più le risorse economiche del Paese. Si calcola che l'uno percento degli americani controlla il 38% del patrimonio finanziario e il 10% ne controlla il 71%.

La situazione è infatti divenuta così seria che gli ultraricchi hanno cominciato a chiedere che il governo gli aumenti le tasse per non apportare tagli che causeranno ulteriori danni ai meno fortunati. Lo ha fatto in maniera autorevole Warren Buffet, il terzo uomo più ricco al mondo, il mese scorso in un articolo pubblicato sul New York Times.

Il presidente Obama aveva detto nella campagna presidenziale del 2008 che intendeva aumentare le tasse a coloro che guadagnano più di 250.000 dollari annui. I repubblicani glielo hanno impedito continuando a spingere per proteggere i più abbienti a danno dei più poveri.

È tragico che in un Paese ricco come gli Stati Uniti la povertà continui ad aumentare mediante un capitalismo con pochi freni. È anche tragica la cecità di coloro che continuano a predicare per la riduzione delle tasse che sono già al livello più basso dal punto di vista storico. Spendere risorse per combattere la povertà, soprattutto quella dei 16 milioni di bambini, sarebbe un investimento non solo morale ma anche pragmatico che pagherebbe dividendi con le future generazioni.

2) OBAMA

"Non è lotta di classe. È matematica". Parla il presidente Barack Obama rispondendo all'accusa repubblicana che la sua proposta di alzare le tasse ai milionari consiste di creare la guerra di classi.

Obama ha annunciato che gli americani con reddito di un milione di dollari dovranno pagare tasse più alte onde contribuire a ridurre il deficit. Obama ha anche minacciato di imporre il suo veto a qualunque disegno di legge che include solo tagli che ovviamente danneggerebbero i più poveri. Il presidente ha affermato che insistirà sul sacrificio condiviso. Tagli sì, ma anche aumenti alle casse del tesoro con imposte ai ricchi. Un messaggio alla supercommissione dei dodici parlamentari e senatori che devono trovare il compromesso per ridurre il deficit onde evitare i tagli automatici già approvati.

In effetti, Obama è ritornato alla sua proposta della campagna presidenziale del 2008 che coloro che hanno beneficiato economicamente negli ultimi anni devono contribuire di più. Ha battezzato la sua proposta la "Buffett rule", la regola di Buffett, facendo richiamo alla proposta dell'ultra miliardario americano. Buffett, infatti, in un recente articolo ha affermato che i ricchi come lui dovrebbero pagare di più e che in tempi recenti sono stati coccolati dal governo.

La reazione dei repubblicani era prevedibile. Gli aumenti alle tasse in un periodo di crisi economica non avranno un impatto positivo alla riduzione della disoccupazione. Si punirebbero i "creatori dei posti di lavoro" secondo Paul Ryan, parlamentare del Wisconsin e leader della Commissione al Bilancio. Per lui, il concetto di "guerra di classe" è utile politicamente ma non economicamente.

È interessante che i repubblicani abbiano rietichettato i milionari da benestanti a "creatori di lavoro". Difficile capire però perché questi creatori di lavoro non fanno il loro dovere considerando la disoccupazione del 9,1 percento negli Stati Uniti. Difficile capire come con le tasse più alte nel passato l'economia andava meglio ed i creatori di lavoro facevano meglio il loro dovere.

La realtà è che negli ultimi dieci anni i ricchi si sono arricchiti di più mentre l'economia ha sofferto e il tasso della povertà negli Stati Uniti è aumentato raggiungendo il 15% della popolazione.

Considerando la timidezza di Obama in tempi recenti nei suoi rapporti con i repubblicani la proposta di aumentare le tasse ai ricchi è stata benvenuta dalla sinistra. Finalmente Obama è tornato alle sure radici. O forse no. La storia recente ci dice che Obama, nel suo tentativo di governare in modo bipartisan, alla fine cederà è darà tutto ciò che vogliono i repubblicani.

Secondo alcuni analisti la proposta di Obama sugli aumenti delle tasse ai ricchi non è altro che campagna politica. Non importa che il Congresso, dominato dai repubblicani, non approverebbe mai aumenti delle tasse ai ricchi. Ciò che conta è creare una netta separazione fra l'ideologia di destra e quella di sinistra. Spingendo i repubblicani a difendere i milionari Obama ha probabilmente trovato una carta vincente dato che mette le carte allo scoperto.

I sondaggi gli danno ragione. La maggioranza degli americani crede che il deficit andrebbe risolto con tagli ma anche mediante aumenti alle tasse. Politicamente dunque Obama si trova su un terreno solido. Poco importa se i repubblicani non approveranno la sua proposta. Il presidente potrà sempre accusare il Congresso di essere un buono a nulla come fece il presidente Truman nel 1948. La bassa popolarità del Congresso gli darebbe ragione. Nonostante i diminuiti consensi di Obama (43 per cento degli americani approvano), solo il 14 percento approva l'operato del Congresso.

Ma i repubblicani sanno manipolare i dati. Ripetono con frequenza che durante crisi economiche non si possono aumentare le tasse. Quando si possono aumentare le tasse? Durante i periodi di vacche grasse? No, dicono di nuovo i repubblicani.

Risolvendo la questione del deficit solo con tagli colpisce i più poveri, gli anziani, i bambini, e le madri single con figli. Nonostante la loro retorica di essere profamiglie il Gop non fa altro che proteggere i ricchi a scapito delle classi più basse.

Sono le classi più basse che Obama sembra avere deciso meritano essere difese. Si vedrà se manterrà la promessa o cederà come ha fatto in grande misura fino ad oggi.

Domenico Maceri (x)

(x) dmaceri@gmail.com), PhD della Università della (x) dmaceri@gmail.com), PhD della Università della California a Santa Barbara, è docente di lingue a Allan Hancock College, Santa Maria, California, USA. I suoi contributi sono stati pubblicati da molti giornali (International Herald Tribune, Los Angeles Times, Washington Times, San Francisco Chronicle, Montreal Gazette, Japan Times, La Opinión, Korea Times, ecc.) ed alcuni hanno vinto premi dalla National Association of Hispanic Publications.

Domenico Maceri (x)
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