7 30 19 OBAMA E LA FINE DEL SUO CAPITALE POLITICO

Solo il ventidue percento dei californiani approva il lavoro di Arnold Schwarzenegger, il governatore del Golden State. Nel caso del presidente Barack Obama il quarantaquattro percento degli americani gli dà voti favorevoli.

Il contrasto dovrebbe far sorridere Obama ma solo qualche mese fa il suo tasso di approvazione era del sessantasette percento. Qualcosa non funziona dunque per il presidente degli Usa oltre che per il governatore della California.

Nel caso del secondo si tratta di un'anatra zoppicante dato che il suo mandato finirà a novembre. Per il residente della Casa Bianca si tratta di un'altra storia dato che è solo al secondo anno del suo mandato.

Il calo di popolarità di Obama non riflette i suoi risultati legislativi. Nonostante la forte opposizione del Partito Repubblicano il presidente è riuscito a fare approvare importanti disegni di legge. A cominciare dallo stimolo all'economia di 862 miliardi di dollari. C'è poi stata la riforma sulla sanità e più recentemente la riforma finanziaria che dovrebbe evitare le crisi economiche regolando Wall Street e proteggendo i consumatori.

Tutti questi successi legislativi sono dovuti al presidente Obama ma naturalmente anche al Partito Democratico che in grande misura ha votato favorevolmente. I voti repubblicani a questi sforzi legislativi si possono contare sulle dita di una mano. In linea generale il Partito Repubblicano si è dimostrato compatto nel suo tentativo di deragliare la politica legislativa di Obama.

Il calo di approvazione del presidente statunitense si deve quasi esclusivamente all'economia. Nonostante alcuni segnali di ripresa il numero di posti di lavoro non è ancora aumentato sufficientemente per ridurre la disoccupazione. Lo stimolo all'economia approvato l'anno scorso ha avuto degli effetti positivi. La maggior parte degli analisti credono che lo stimolo abbia salvato tre milioni di posti di lavoro. Ma è molto probabile che la misura dello stimolo sia stata insufficiente. Sono di questo avviso non pochi economisti tra i quali Paul Krugman, vincitore del Premio Nobel per l'economia l'anno scorso.

Le elezioni di midterm che si terranno fra quattro mesi non sembrano dunque favorevoli ad Obama ed il Partito Democratico. Dato che non si tratta di un'elezione presidenziale il numero di partecipanti sarà più basso del solito. Solo questa ragione già favorisce il Partito Repubblicano dato che i membri del Gop si recano alle urne più regolarmente dei loro avversari. L'economia traballante aggiungerà ai problemi del partito di Obama.

Ciononostante si tratta di elezioni locali ognuna delle quali ha le sue caratteristiche nonostante le ramificazioni nazionali. Se i repubblicani dovessero riottenere la maggioranza alla Camera dei Rappresentanti e al Senato si tratterebbe ovviamente di grossi grattacapi per Obama dato che la sua agenda politica sarebbe ancor più bloccata.

Obama deve dunque sperare che l'economia si riprenda al più presto perché gli elettori spesso votano la situazione delle loro tasche. Durante incertezze economiche gli elettori cambiano direzione perché hanno poca pazienza specialmente nel mondo attuale.

Obama potrebbe naturalmente giocare la carta di Ronald Reagan per cercare di spiegare le difficoltà economiche come il risultato di una politica con radici nell'amministrazione precedente. Ecco esattamente cosa fece Reagan nel 1982 quando il gipper dovette fare fronte ad una crisi economica subito dopo la sua elezione.

Nel caso attuale Obama avrebbe tutte le ragioni per additare alle radici dei problemi nel passato considerando ciò che ha ereditato da George Bush: due guerre e un'economia all'orlo del precipizio. Obama potrebbe insistere su questo punto: ci sono voluti parecchi anni per sprofondare in questa crisi economica e ce ne vorranno parecchi per uscirne. Cambiare rotta per ritornare al clima politico del passato caratterizzato da tasse più basse per i ricchi non farebbe che peggiorare la situazione.

Alla fine però Obama dovrà conquistarsi più capitale politico da sé stesso indicando i suoi successi invece dei fallimenti del suo predecessore.

Domenico Maceri (x)

(x) dmaceri@gmail.com), PhD della Università della California a Santa Barbara, è docente di lingue a Allan Hancock College, Santa Maria, California, USA. I suoi contributi sono stati pubblicati da molti giornali (International Herald Tribune, Los Angeles Times, Washington Times, San Francisco Chronicle, Montreal Gazette, Japan Times, La Opinión, Korea Times, ecc.)ed alcuni hanno vinto premi dalla National Association of Hispanic Publications.

Domenico Maceri (x)
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