Le tartarughe possono volare? Conchiglia d’oro al Festival di San Sebastian, Spagna
 Le dichiarazioni
 Hanno detto le Simone d’Italia:” Nessuno può essere felice dopo 
 tutto quello che abbiamo visto negli occhi dei bambini 
 iracheni” (Cfr.: i quotidiani italiani del 30 settembre 2004).
 E di quelli curdi, per esempio?
 Il Presidente del Pakistan, Pervez Musharraf, in visita in 
 Italia proprio in questi giorni ha risposto ad un giornalista 
 che gli chiedeva del proliferare delle Madrasse (le scuole 
 islamiche più integraliste):”Nel mio Paese un milione di giovani 
 studiano nelle scuole coraniche, alcuni sono estremisti. Perché? 
 Sono ragazzi senza mezzi, cui vengono offerti cibo e una casa. 
 Nessun Paese, nessun governo, potrebbe fare altrettanto. Il 
 terrorismo si vince eliminando la povertà” (Cfr.: La Stampa, 30 
 settembre 2004).
 Ad un consistente numero di lettori è stata posta la domanda: 
 “Dopo l’attentato di New York, ritiene che sia cominciata una 
 sorta di Terza guerra mondiale”? Il 55% ha risposto di sì.
 “E pensate che la guerra in Iraq fosse indispensabile nella 
 lotta al terrorismo internazionale”?
 Il 72% ha risposto : no (in Vanity Fair, 16 settembre 2004).
 Di fatto, i massacri in quella terra dilagano, come altrove (in 
 Africa, ahimé, terra dimenticata dagli uomini ma non da Dio, 
 visto che lì vi sono tanti missionari che vengono anche 
 trucidati per sollevare i fratelli).
 Il mondo è in guerra, né si intravede una possibile pace. Si 
 combattono dappertutto e vengono alimentate da odi religiosi che 
 mai si placheranno.
 In Iraq, al di là delle benevole parole delle due volontarie, 
 per esempio, si sperava di cambiare la cultura politica, nel 
 giro di quattro- cinque anni, ma le inimicizie profondissime tra 
 sciiti, sunniti, curdi sono più prossimi ad una guerra civile 
 che ad una convivenza pacifica.
 In una conversazione tra il politologo del Center for Strategic 
 and International
 Studies, Prof. Edward Luttwak e il segretario alla Difesa 
 Rumsfeld si è detto che gli iracheni non sembrano troppo 
 interessati alla democrazia, né lo saranno neppure tra trent’anni (Cfr.: 
 La Stampa, 26 settembre 2004).
 Si afferma da più parti che il dialogo deve continuare con gli 
 islamici. Ma visto che lì si sbranano tra sunniti, sciiti, curdi 
 : con chi???
 Forse qualcuno ricorda il popolo curdo che soffre e geme in 
 catene da tanto?
 E, forse, qualche popolare trasmissione televisiva, giornale di 
 grossa tiratura, ha per caso, menzionato che al Festival 
 internazionale, San Sebastian, in Spagna, il massimo premio è 
 stato assegnato ad un regista curdo, un certo , Bahman Ghobadi, 
 che in questo suo film richiama la dolorosa odissea dei bimbi e 
 dei giovani della sua terra?
 Con amarezza, dobbiamo ancora una volta ripeterci che nel mondo 
 vi sono persone di serie A e di serie B. Alla faccia della 
 Dichiarazione universale dei Diritti umani.
 Il film: “Le tartarughe possono 
 volare”
 La pellicola narra la storia di alcuni bambini che vivono nel 
 Kurdistan iracheno alla vigilia della guerra. 
 In modo particolare, racconta la vicenda di una ragazzina 14enne 
 che vive in un campo di profughi curdi a nord dell'Iraq, nei 
 giorni prima dell'attacco americano. E del suo disperato 
 desiderio di suicidarsi.
 Il regista, Bahman Ghobadi
 Poco più che trentenne, Bahman Ghobadi, ha alle spalle 
 un'esperienza cinematografica di tutto rilievo: assistente di 
 Abbas Kiarostami e attore in Lavagne. di Samira Makhmalbaf , ha 
 vinto una Camera d'or al Festival di Cannes 2000 per Il tempo 
 dei cavalli ubriachi che è anche un riconoscimento al valore 
 politico dell'opera, in particolare per essere il primo film curdo ed ora “Conchiglia d’oro” 2004 al 
 Festival Internazionale 
 di San Sebastian (Spagna). Egli lavora su un materiale 
 documentaristico talmente forte che da solo basterebbe a fare un 
 capolavoro. In modo particolare, privilegia le storie di 
 bambini, adolescenti del suo martoriato Paese.
 In più Ghobadi sa 
 usare la macchina da presa. Sa restituire la fatica e il dolore 
 di ciò che racconta. 
 Con le immagini riesce ad offrirci una realtà poetica e nello 
 stesso tempo feroce, che la dice lunga sull'ingiustizia e 
 l'assurdità della vita al confine tra Iran e Irak. Certo un film 
 non potrà cambiare il corso della storia, ma almeno un risultato 
 il film di Bahman Ghobadi lo raggiunge: quello di lasciare 
 dentro chi vede i suoi films il peso della tragedia di una 
 minoranza perseguitata, di ricordare i diritti negati a un 
 popolo senza Stato dall'ordine mondiale.
 Chi sono i curdi?
 I Curdi sono una Nazione senza Stato, forse la più grande 
 popolazione senza Stato del mondo, che conta circa 30 milioni di 
 persone.
 Questo popolo, che si nominò tale nel 600 d.C., abita tuttora 
 nella regione montana dove è da sempre vissuto: il Kurdistan, 
 diviso tra Turchia, Iran, Iraq e Siria. Essi, per la maggior 
 parte di religione musulmana sunnita, vivono soprattutto in 
 Turchia. La loro storia iniziò in tempi remotissimi ma in 
 particolare nel 1900 si sono susseguiti alcuni eventi storico – 
 politici che qui brevemente elenco .
 Nel 1920 La disgregazione dell'Impero Ottomano dopo la I Guerra 
 Mondiale riaccese nei Curdi la speranza di un autogoverno e il 
 Trattato di Sèvres citò la possibile creazione di uno stato 
 curdo, ma la versione finale del Trattato di Sèvres (1923 ) non 
 contiene alcuna citazione sulla creazione di uno stato curdo ed 
 essi rimasero disgregati in vari Paesi.
 Nel dicembre del 1945 in Iran venne creato uno Stato curdo 
 indipendente, che crollò quando gli iraniani ripresero possesso 
 del territorio sei mesi dopo.
 Nel febbraio del 1963 dopo un colpo di stato in Iraq, il governo 
 promise loro una maggiore autonomia, ma le promesse non vennero 
 mantenute: le tensioni sfociarono nella formazione del Partito 
 dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) ossia un sistema di 
 reintegrazione di carattere politico- militare.
 Nel 1974 dopo anni di scontri sporadici, l'Iraq concedette ai 
 Curdi un'autonomia limitata, ma poco dopo gli accordi vennero 
 violati e la guerriglia si trasformò in guerra e ondate di 
 profughi curdi si riversarono in Iran.
 Nel 1979 dopo la morte dello Scià, essi fecero pressioni per 
 l'autonomia in Iran e l'Ayatollah Khomeini rispose ordinando al 
 suo esercito di soffocare le loro rivolte con la forza.
 Nel 1984 i ribelli curdi, guidati dal PKK, iniziarono una lunga 
 e violenta campagna per l'autonomia in Turchia.
 Il 28 febbraio 1991, al termine della Guerra del Golfo, 
 incoraggiati dal Presidente americano George Bush, iniziarono 
 una violenta rivolta conto l'Iraq. Saddam Hussein rispose con 
 violenza e migliaia di loro fuggirono in Iran e in Turchia. Le 
 Nazioni Unite organizzarono massicci interventi per aiutare i 
 profughi.
 Le ribellioni più notevoli sono accadute in Turchia ed in Iraq.
 Infatti la Turchia è il Paese in cui la questione curda è più 
 evidente agli occhi del mondo e dove, spesso, avvengono atti 
 terroristici, ad opera di un gruppo terrorista di ispirazione 
 marxista leninista che è stato fondato in Siria nel 1974. Negli 
 ultimi anni il Pkk si è reso responsabile del rapimento di 
 numerosi occidentali, tecnici e turisti, che sono comunque stati 
 tutti liberati indenni. 
 La situazione dei Curdi che vivono in Iraq, invece, si è 
 aggravata in tempi recenti. Negli anni '70 e '80 hanno 
 combattuto, con il sostegno delle truppe iraniane, contro il 
 governo iracheno. Quando la guerra è terminata nel 1988, essi 
 sono divenuti non solo il bersaglio delle ire di Saddam Hussein, 
 ma anche, ormai privi dell'aiuto iraniano, soggetti alla 
 repressione anche in Iran. A centinaia di migliaia sono stati 
 costretti a rifugiarsi nelle zone arabe dell'Iraq perché i loro 
 villaggi venivano attaccati con gas velenosi. Grazie 
 all'intervento di protezione dell'ONU, 3 milioni e mezzo di 
 Curdi iracheni hanno potuto costruire ospedali e creare la 
 propria legislatura, senza abbandonare la speranza di formare 
 uno Stato autonomo.
 Ancora oggi, i Curdi per 3000 anni hanno combattuto per formare 
 uno stato indipendente, ma la possibilità di realizzare il loro 
 progetto rimane molto lontana. In Iraq , sono protetti dagli 
 alleati americani, in Iran lottano contro i fondamentalisti 
 islamici, e in Turchia, dove vive circa metà della loro 
 popolazione, alcuni cercano di cooperare con il governo, altri 
 fomentano la guerra civile.
 In realtà, allo stato attuale delle cose, i curdi avendo fornito 
 appoggio agli americani sul fronte nord permette loro di 
 inserirsi nella discussione sul post Saddam. Il loro futuro 
 dipende dagli americani e da come riusciranno a gestire il 
 mosaico etnico-religioso che Saddam aveva tenuto in piedi 
 grazie al collante della repressione.
 Un Iraq unito, una repubblica laica in cui curdi, arabi e 
 turcomanni possano vivere insieme. Questo chiedono ora i curdi.
 Essi dicono:
 «Abbiamo vinto la guerra. Abbiamo creduto alle promesse 
 americane. Adesso vogliamo uno Stato federale”.
 Un Iraq federale in cui trovi spazio anche uno Stato autonomo curdo sarà possibile? Questa soluzione non è, però, affatto 
 scontata, visto che permetterebbe loro di gestire le abbondanti 
 risorse del nord dell'Iraq, in particolare i giacimenti 
 petroliferi di Kirkut e Mosul. Gli arabi, in primo luogo, ma 
 anche la Turchia, si oppongono: non resta che fidarsi degli 
 americani…Forse. Essi temono di essere nuovamente traditi.
 Kurdistan: un sogno
 Popolo nomade e tribale, essi sono consapevoli della loro 
 identità comune troppo tardi. Il sogno di un Kurdistan unito e 
 indipendente ha innescato lotte, guerriglie e dure repressioni 
 da parte di tutti gli stati in cui vivono. È realisticamente 
 impossibile che in futuro, anche in un futuro molto lontano, si 
 possano riunire sotto un'unica bandiera. La speranza piuttosto è 
 quella di una Federazione di Kurdistan autonomi, che 
 permetterebbe un surrogato di unificazione rispettando le 
 frontiere internazionali. Un sogno vincolato alla 
 democratizzazione dei regimi e dei sistemi politici del Medio 
 Oriente.
 Per questo lavorano anche i cineasti delle nuove generazioni 
 come Ghobadi: la pace è anche questione di cultura.
 Maria De Falco Marotta & 
 Elisa
 GdS 10 X 2004 - www.gazzettadisondrio.it
