UNO "SGUARDO" GENERALE SULLA 53. MA BIENNALE D'ARTE DI VENEZIA

(7 giugno-22 novembre 2009)

Riesce molto difficile- a caldo, dopo tre giorni di "dentro e fuori" dai Padiglioni e da tutte le strutture create dagli artisti della 53. ma Biennale d'arte di Venezia che- per quanto possa essere criticata- rimane l'unica e più famosa nel mondo e a ragione- per la sua "cornice unica", per la possibilità di scontrarsi vis a vis con artisti, intellettuali, il meglio della "razza umana" che cerca, incessantemente cerca "qualcosa che la orienti più serenamente al futuro", dare dei giudizi di merito sul lavoro fatto dal giovane direttore D. Birnbaum. Nel corso degli ultimi anni il mondo della cultura e dell'arte, di riflesso agli eccezionali stravolgimenti economici e sociali, ha conosciuto un'inarrestabile accelerazione e una quanto mai repentina alterazione. Questo straordinario sviluppo ha coinvolto il fenomeno delle grandi mostre portandole ad ampliare gli orizzonti in funzione di un'apertura ai cosiddetti nuovi target riflettendosi, così, inevitabilmente, sui contenuti e sul fare arte.

In linea con questi nuovi orizzonti non poteva non essere la Biennale di Venezia, giunta alla 53. ma edizione. Infatti, da sempre luogo di raccolta e diffusione delle tendenze dell'arte contemporanea, la Biennale di Venezia, fin dalle origini (1895), è stata in grado di determinare gli indirizzi del gusto e delle prosaiche esigenze di mercato, diventando, per antonomasia, centro di fusione e stimolo per l'arte nuova. Laboratorio di ricerca comune, ha svolto, nell'ultimo secolo, il ruolo fondamentale di punto accentratore del poliedrico mondo dell'arte contemporanea per la diffusione dei nuovi apparati hight tech su ampia scala, che vengono usati da pittori, fotografi, videomakers, sia per il loro basso costo economico, che per le loro prestazioni più che sofisticate.

Così , dal 7 giugno al 22 novembre 2009, i Giardini della Biennale, piccola e bellissima raccolta dell'architettura del secolo scorso, l'Arsenale, e il centro storico di Venezia sono teatro per uno spettacolo intergenerazionale e pluridisciplinare, che, secondo gli auspici del direttore, Daniel Birnbaum, vedrà rinascere pittura e disegno affiancati a video-arte e installazioni( ma non troppe però e in questa 53. ma Biennale ce ne sono da morire).

Certamente, anche se criticatissimo( ma che diavolo ha a che fare sempre la maledetta politica italiana di destra o di sinistra, quando si parla di arte???), una delle più grandi innovazioni della 53. ma esposizione della Biennale di Venezia é il padiglione dell'Italia curato da Beatrice Buscaroli e Luca Beatrice, raddoppiato nelle dimensioni dall'annessione di un nuovo edificio, che noi abbiamo trovato "riposante", dopo un percorso tra le nuove proposte a volte allucinanti e che- onestamente- non hanno nulla a che vedere con l'arte. Diteci cosa significa mostrare una montagnola di sabbia con infitti degli steli ogni tanto, oppure, subito all'ingresso del Padiglione Centrale dei Giardini ci si trova di fronte ad un'ingombrante confusione di tele di sapore pop e barattoli di colore, della coppia Guyton e Walker, come ad ammonirci che si deve attraversare l'accumulo del già fatto per rielaborare forme e significati diversi. Che sarebbe vano cercare nelle frasi sciocche di Yoko Ono, vedova Lennon, cui una giuria internazionale ha generosamente assegnato un Leone d'Oro (l'altro è andato al californiano John Baldessari ) per aver "rivoluzionato il linguaggio dell'arte". Quando mai, ci si chiede. Ma subito poi si entra nel salone centrale occupato da una galassia di strutture architettoniche aeree, fatte di fili neri, una complessa ragnatela ispirata all'incredibile resistenza di quelle vere della vedova nera. E dalle serigrafie fumettistiche di Fahlstrom, scomparso nel '73, al dipinto di De Dominicis che dieci anni fa ha lasciato interrotto un percorso creativo fatto di rigore, di pulizia formale, di intelligente rifiuto delle convenzioni, si passa ad Hans Peter Feldmann, col suo affascinante teatro di ombre che scorrono e si incrociano freneticamente sulla parete di una stanza buia, determinate da una moltitudine di piccoli oggetti comuni raggruppati su basi ruotanti. Si ritrova anche la ben nota coppia Gilbert & George, questa volta con la non invadente dichiarazione firmata di essere solo 'sculture viventi'. Si passa poi, dall'operazione concettuale alla pittura di sapore baconiano, di Pietro Roccasalva, alla sensibilissima unione di scrittura e disegno del russo Pavel Pepperstein, e a Blinky Palermo, scomparso nel '77, coi suoi richiami un po' a Beuys, un po' a Richter. Il gioco degli intrecci, delle relazioni fra maestri e allievi, un motivo prediletto da Birnbaum, va di pari passo con quello delle presenze ripetute lungo il percorso della mostra. ironica e provocatoria quella di André Cadere, polacco d'origine, morto a Parigi nel '78. Quasi in ogni stanza ci si imbatte nelle sue barre rotonde di legno dipinte a strisce: un' invasione dello spazio altrui con una presenza incongrua. Da questi segni minimali, alle 'ricostruzioni' dello storico gruppo Gutai degli anni Cinquanta: una tenda appena mossa da un ventilatore, una superficie nera traforata alla 'Fontana', un telo con impronte di scarpe che da terra s'arrampicano su una parete, una distesa di sabbia da cui spuntano delle luci, una tela con pittura gestuale, e via dicendo nella memoria di un'avanguardia che aveva fatto di tutto, dal quadro all'happening. Un accumulo di materiali, immagini, oggetti, tribali e tecnologici, di George Adéagbo, del Benin, denunciano il passaggio dalla violenza coloniale alla finta benevolenza post- coloniale. Ben più inquietante la foresta notturna di fiori giganti, piante carnivore di un Eden mostruoso, di Nathalie Djuberg. Passando all'Arsenale, l'ingresso è dato da uno spazio senza luce, segnato dagli esili raggi di un'architettura luminosa, opera di Lygia Pape, seguito da una sala degli specchi giganti, alcuni infranti, allestita da Pistoletto. Poi il villaggio africano decontestualizzato del camerunense Pascale Marthine Tayou , i bastoni neri alla Magritte o alla Chaplin, che sembrano volare in alto su una parete, di Richard Wentworth, e il chiosco con offerta di caramelle(ne abbiamo mangiate alcune: non erano male) e bustine di the, prodotti in Zambia, di Anawana Haloba, e più oltre il video bellissimo, tramato di luci misteriose di Grazia Toderi, per proseguire fino agli interventi ambientali al Giardino delle Vergini, con la palude nera di Lara Favaretto. Nella continuità dei grandi spazi dell'Arsenale, più che ai Giardini, si apprezza l'eterogenea galassia di creazioni assemblate, un campionario abbastanza significativo dell'arte contemporanea. Sulla sezione italiana s'è già scritto un gran male, anche per la nomina politica dei curatori, oltretutto non proprio in linea, come critici, con le indicazioni dell'ufficialità internazionale. Chissà cosa ne penserebbe Marinetti, al cui 'teatro di varietà' è ispirato il Padiglione. Ma non è tutto. Abbiamo il "dente avvelenato" per quello che abbiamo visto ai Giardini. Per esempio, accanto al Padiglione nordico c'è un signore in piscina. A testa in giù, annegato. Sul fondo si intravedono alcuni oggetti personali del caro estinto: un pacchetto di sigarette e un orologio di lusso. È un collezionista, così dice la didascalia. A qualche metro di distanza, nel Padiglione russo, Andrei Molodkin espone un'installazione messa in moto da un liquido rosso: è il suo sangue pronto a irrorare la carcassa della Nike di Samotracia. Facciamo ancora qualche passo, ed ecco l'enorme fila per entrare nel Padiglione degli Stati Uniti. Dentro, ma anche lungo le pareti esterne, ci sono le opere di Bruce Nauman (1941). Nessun cadavere, niente globuli rossi, solo qualche testa mozzata, ma con grazia. Dappertutto si respira un'aria stantia: non c'è nulla di nuovo. Tutta roba già vista, risalente al passato. Strano. Per tradizione i padiglioni nazionali della Biennale, gestiti in autonomia dai vari Paesi, espongono artisti emergenti o almeno opere nuove di zecca, spesso create per l'occasione. In questo caso gli Usa hanno optato per un omaggio a una stella dell'avanguardia. L'involontario effetto mummificazione è immediato. Puzzano di vecchio anche i messaggi lanciati dai neon intermittenti sulla facciata: dietro al coraggio si nasconde il pericolo, la fede cela la lussuria, la speranza si trasforma in invidia. Le virtù diventano vizi. I valori americani hanno sempre un lato oscuro, come la Forza nell'universo di "Guerre stellari". In questa Biennale, tra molte proposte, c'è gloria per l'avanguardia. Oltre a Nauman basta pensare al Leone d'oro consegnato oggi a Yoko Ono, o alla sala di "Fare mondi" dedicata al movimento Gutai, pionieristico (negli anni '50) gruppo di performer giapponesi. Odiavano l'accademia. Ora ne sono parte. Alla fine degli anni '70 la punk band bolognese Skiantos cantava in faccia agli spettatori: «Fate largo all'avanguardia, siete un pubblico di merda, applaudite per inerzia». Il "pubblico di merda" rispondeva giustamente con sputi e lancio di oggetti contundenti. Oggi la canzone rimane bella e irritante, ma il testo è superato. L'avanguardia si gode felice i riconoscimenti. Non sappiamo se il pubblico (che per noi, a scanso di equivoci, merita il massimo rispetto) applauda per inerzia, ma potrebbe anche darsi, viste le facce smarrite di chi si aggira per i Giardini della Biennale, che avessero contro tutto questo ciarpame- ma non tutto- un "cattivo pensiero". Del resto, l'arte contemporanea è un insolito caso di consumo culturale in cui il pubblico non ha quasi voce in capitolo nell'influenzare le nuove tendenze. Lo scriveva molti anni fa Tom Wolfe in Come ottenere successo nell'arte: quando un romanzo o un disco arriva sul mercato è nelle mani della gente. Può essere promosso o bocciato. L'arte contemporanea è invece una partita che giocano in pochi: collezionisti, galleristi e artisti. Sono loro a dare l'imput. A noi profani non resta che acconsentire o schifarsi.

Noi, sinceramente, siamo rimasti schifati. A parte "qualcosa" di cui poi vi scriveremo.

Maria de falco Marotta & Team

Informazioni tecniche:

Biennale di Venezia: "Fare mondi"

Apertura: dal 7 giugno al 22 novembre 2009

info: www.labiennale.org

Maria de Falco Marotta & Team.

Maria de Falco Marotta & Team.
Società