6 10 NO MAORI, NO MAU. MA COSA, E COME, CI FATE VEDERE? (x)

Certamente Ivo Ismael, il direttore del 7. Festival di Danza contemporanea della Biennale di Venezia, di "emozioni" anche violente ne ha proposte molte. Non tutte capite ed assimilate nel profondo, perché le compagnie venute dalla Nuova Zelanda o dal Canada, hanno linguaggi diversi per proporre la loro cultura e- diciamolo sinceramente- non tutti conoscono la storia dei Maori, proposta con un'audacia unica ed incomprensibile, tanto che gli spettatori fremevano per uscire.. Quando si organizzano spettacoli, nuovi, nuovissimi, è necessario porre la gente in grado di capire quello che vedono. Ed è inutile che le varie addette allo spettacolo rimangano stupite del malumore che ha accompagnato sin dai primi cinque minuti gli spettatori. Chi fa spettacolo con tanto amore come Ivo, è necessario che abbia precise informazioni da trasmettere a coloro che vedranno lo spettacolo. Altrimenti, è un flop garantito. Siamo generosi se diciamo che il 90% non sapeva nulla della storia dei Maori, della loro colonizzazione e del loro "modo" di proporrele loro danze.

La gente- per la verità- si aspettava quei bei gruppi di maori con penne coloratissime, lance, in mano, grida allegre… Invece c'era una tipa che gridava, gridava e poi certi vestiti da bonzi che facevano dei giochi strani. Niente da Fare: NO Maori, No Mau!!!

Ora, però, vi proponiamo che cosa dicono di questo spettacolo:

C'è molto più colore locale in Tempest: without a Body del Sala (gran capo) samoano Ponifasio, che fa ricorso all'armamentario locale (i tatuaggi; la haka, la danza tradizionale delle Isole del Sud) ma con lo scopo di «mettere in scena un'autenticità il più vicino possibile alla realtà», come confessa Ponifasio che ha chiamato la sua compagnia «Mau», cioè «Rivoluzione». È il nome del movimento di resistenza non violenta che nel 1908 i samoani opposero ai colonizzatori tedeschi e neozelandesi. E lo spettacolo vuole essere un atto d'accusa in difesa delle radici culturali dei nativi del Pacifico. Con una scenografia che evoca la fine del mondo (lo spettacolo si apre con un tuono di forza sconvolgente, un uomo nudo giace a terra, un angelo dalle ali piccolissime si aggira impotente), Ponifasio fa ricorso a una gestualità insieme ancestrale e contemporanea e l'intento «militante» del suo spettacolo è sottolineato dalla proiezione sullo sfondo della foto di Amed Yaoui, intellettuale algerina rifugiato in Nuova Zelanda.

Mau (Nuova Zelanda)

5 - 6 giugno ore 20.00

Teatro alle Tese - Arsenale

Tempest: without a body (2007, 90') [prima italiana]

ideazione, coreografia, scene e testo Lemi Ponifasio

luci Helen Todd

suono Russel Walder, Lemi Ponifasio, Marc Chesterman

fotografie Marti Friedlander

film Greg Wood / video Simon Riera, Joe Fish

con Tame Iti, Ioane Papalii, Teataki Tamango, Arikitau Tentau, Bainrebu Tonganibeia, Ade Suharto, Helmi Prasetyo, Kelemete Fu'a, Eko Supriyanto, Maereke Teteka, Keith Binoka

produzione MAU

Unimmaginario ancestrale fatto di terra e aria, acqua e fuoco, abitato da dei e uomini, sottende le visionarie creazioni di uno dei maggiori registi neozelandesi, Lemi Ponifasio, che alle culture aborigene del Pacifico attinge per creare, come uno sciamano, nuovi simboli che parlino anche al nostro presente. Nei suoi spettacoli cerimonie, cultura performativa, danza e teatro contemporaneo si fondono e hanno una forte connotazione di impegno civile.

Il lavoro unico di Ponifasio è difficilmente definibile secondo i parametri del teatro e della danza occidentali. Assistere a uno spettacolo del gruppo MAU vuol dire stupirsi di fronte a una dimensione crepuscolare in cui l'essere umano è vulnerabile e dove il corpo diventa ricettacolo di spiriti, animali, creature della polvere, di un'energia istintuale primordiale. Gli spettacoli di Ponifasio sono stati definiti "ipnotici, fortemente scenografici, caratterizzati dalla forza delle immagini, con una potente relazione tra buio luce e movimento ".

Alla Biennale di Venezia Ponifasio era stato per la prima volta nel 2003 con Paradise, invitato dall'allora Direttore del Settore Teatro Peter Sellars, che lo aveva scoperto soltanto un anno prima ad Adelaide. Da allora Ponifasio ha cominciato a girare i festival e i teatri di tutto il mondo - Lincoln Center (New York), Southbank Centre (Londra), Holland Festival, Wien Festival, Kunstenfestivaldesarts (Bruxelles) - e l'originalità del suo linguaggio, che riporta al valore ancestrale della danza, fuori da cliché folkloristici come da mode e cultura pop, ne ha fatto uno dei massimi artisti contemporanei.

"Non c'è confine tra la danza e la vita, la danza è una vita vissuta, è la vita del corpo; - dice Ponifasio - la danza è per me un modo consapevole di vivere la vita intensamente: culturalmente, socialmente, intellettualmente, come un animale della natura. Ho danzato quasi ogni giorno per molti anni, perché la danza è stata un modo per conoscere in maniera non preconfezionata".

(Francesca Horsley, "Danz Quarterly")

Tempest: without a body è uno spettacolo che parla dell'oppressione passata e presente, della perdita dei diritti, delle libertà sacrificate dagli Stati nel nome della sicurezza: c'è la violenza della colonizzazione britannica, la strenua lotta per l'indipendenza degli indigeni, ma anche gli effetti devastanti del post 11 settembre e della guerra al terrore che ha scatenato. Ma gli eventi drammatici della storia evocati da Ponifasio sono suggeriti dal baluginare delle immagini e dalla presenza di alcuni personaggi simbolici. La potente visione che emana da Tempest: without a body, uno spettacolo in cui i danzatori sono apparizioni di una "cerimonia estatica" fra luce e tenebre, rievoca la storia di una ingiustizia istituzionale come quella della Tempesta shakespeariana per intrecciarla alle idee del politico e filosofo italiano Giorgio Agamben, alla sua metafora dell'homo sacer, il fuorilegge, l'essere umano privato dei suoi diritti civili, condannato a vivere in una terra di nessuno e senza legge. Lo spettacolo pone interrogativi su come la società contemporanea accetti, senza difficoltà, pratiche che erano state in precedenza considerate disumane ed eccezionali. Si riferisce alla situazione dei Maori, ma anche ai capitoli più inquietanti della storia mondiale, come Auschwitz o Guantanamo.

"La luce ci immerge in una dimensione cupa. Su un enorme blocco sospeso, dove non c'è niente se non un mare di un rosso violento, a simbolizzare la distruzione fisica e culturale dei Maori da parte dei colonizzatori britannici, fa irruzione una immensità cupa in cui 12 danzatori, tutti uomini, appaiono come presenze a tratti spettrali e a tratti animalesche. Sia che avanzino a piccoli passi o che colpiscano le loro cosce in una coreografia guerresca, la loro potenza fisica vacilla.

Due figure simboliche emergono fra queste presenze: Tame Iti, un attivista maori (recentemente rilasciato dietro cauzione), che assume su di sé tutta la rabbia e la forza di resistenza della sua tribù in una danza che oscilla tra l'haka e la volontà di vendetta; la seconda figura simbolica è quella di un angelo dal corpo spezzato, con un paio di ali troppo piccole per volare, che vaga su una landa desolata mentre i ritratti di vecchie donne della tribù dei Tuhoe guardano il pubblico con disprezzo dietro uno schermo. È la visione che libera la voce dell'indigeno troppo a lungo soffocata".

(Catherine Makereel, "Le Soir")

Chi è Lemi Ponifasio -

Originario di Samoa, dopo un lungo apprendistato nella danza e nel teatro tra Giappone, Europa e Pacifico, Lemi Ponifasio fonda l'ensemble MAU nel '95. Il nome deriva dal movimento eponimo di indipendenza della Samoa, movimento di resistenza pacifica al colonialismo tedesco e neozelandese dei primi anni del '900, il cui scopo era affermare quello che significa essere samoani; e Samoa è stato il primo paese dell'area del Pacifico a ottenere l'indipendenza politica nel '62. L'idea di Ponifasio è di creare una compagnia di artisti provenienti dalle diverse aree del Pacifico per presentare storie, miti e leggende di quella particolarissima area geografica attraverso performance radicali nell'utilizzo del linguaggio teatrale. Inizia così a viaggiare attraverso le isole del Pacifico per incontrare e lavorare con gruppi di artisti di diversa provenienza, ma soprattutto con quelli aborigeni del Pacifico.

La prima di queste collaborazioni, The Ancient Mother, fu realizzata in Apia con gli abitanti stessi di Samoa nel '95. Un progetto che ha viaggiato attraverso tutta la Nuova Zelanda nel '96. Nel '98 Ponifasio realizza AVA con il gruppo dell'isola di Rarotongan, Tamure. Nel '99, Rise, con il gruppo Maori kapa haka "Nga Toko Wha O Nga Hau E Wha". In una serie di spettacoli raccolti sotto il titolo Bone Flute, Ponifasio collabora con l'anziano compositore Hirini Melbourne. Il lavoro è presentato nel 2000 all'VIII Festival of Pacific Arts, Nuova Caledonia, insieme ai gruppi "Maurakau", proveniente da Waikato, e "Whitireia", da Porirua. Dopo la tournée in Nuova Zelanda, Bone Flute ha presentato il suo ultimo capitolo al Festival di Adelaide del 2002. A Bone Flute sono seguiti Paradise, Requiem e Tempest. Alla Biennale Danza 2010 lo spettacolo del neozelandese Lemi Ponifasio. "Tempest: without a body" si pone al di là dell'estetica, ti entra dentro come un dettato crudo sulla realtà del mondo. E' il grido di una creatura ferita e spaventata, angelo selvatico dalle ali piccine che si aggira in una terra desolata. E' la solitudine di esseri sovrastati dalla catastrofe, che tentano di riconnettersi con armonie perdute.

Ponifasio parla della sua terra d'origine, Samoa. Della violenza del colonialismo bianco e dello stupro fisico e spirituale subito dai nativi. Già nel nome stesso della sua compagnia - Mau, fondata nel 1995 -, si cela il nome del movimento non violento che all'inizio del Novecento si adoperava per l'indipendenza delle isole Samoa. Le parole di Ponifasio sono fatte di visioni. Squarci onirici nel buio da cui affiorano cerimonie rituali, guerrieri ieratici dai gesti ritmici, girotondi frenetici di pretini dalle tonache svolazzanti e l'indice alzato in una perpetua riprovazione, cristi in croce, incombenti lastre tinte di nero petrolio o rosso sangue.

Persino quando le parole sono parole - come nel lungo discorso di accusa contro le violenze colonialiste rivolto alla Regina d'Inghilterra -, si trasformano in suoni arcani e potenti perché a recitarle è Tame Iti, un attivista dei Maori rilasciato su cauzione. Un'apparizione magnetica, dal corpo tatuato, gli occhi fiammeggianti, che riempie di sé la scena, mentre echeggiano lontano canti spezzati.

C'è una verità nella danza di Ponifasio che non ha bisogno di laccature né di pensieri pindarici: affonda nell'anima e la trasforma. Nella sua tumultuosa "Tempesta" ci ritroviamo naufraghi su Pandora. Siamo tutti samoani. Siamo tutti quell'angelo pulcino dalle ali sporche e arruffate. Ma siamo anche quel guerriero dagli occhi di fiamma, pronti a salvare il nostro eden. Forse non è troppo tardi.

Chi sono i maori

I Maori discendono da popolazioni austronesiane provenienti dal sub-continente asiatico che, grazie ad abili tecniche di navigazione, penetrarono in Melanesia circa 4.000 anni or sono.

La ragione per la quale gli antenati polinesiani dei Maori si sono lanciati a bordo delle loro canoe oceaniche, i waca, per lunghi viaggi colonizzatori resta, almeno in parte, un mistero. Quello che si sa è che la più grande delle loro imbarcazioni poteva trasportare fino a 250 persone oltre alle piante ed agli animali dei quali avrebbero avuto bisogno per iniziare una nuova vita. Le manifestazioni archeologiche di questa penetrazione in Oceania sono designate come il "Complesso Culturale Lapita". Fra il 1.600 ed il 1.400 a.C., i portatori della ceramica lapita si diffusero in una regione che comprendeva le Fiji orientali, le Tonga, le Samoa e altre isole di più piccole dimensioni. Questa regione può essere considerata come la patria della cultura polinesiana che qui sviluppò i suoi caratteri peculiari. Infatti, a partire dal 500 a.C., si può archeologicamente distinguere una società polinesiana ancestrale dal precedente complesso culturale lapita. Da questa zona vennero in seguito popolate le isole Marchesi e della Società, gli arcipelaghi della Polinesia centro-orientale fino a giungere a Rapa Nui (l'isola di Pasqua), alle isole Hawaii e ad Ao-tea-roa (la terra della grande nuvola bianca) cioè la Nuova Zelanda.

Raccontano gli antichi canti marinari, rievocando lo spirito di quel popolo avventuroso:

• Pianta il tuo seme,

• spargilo al vento,

• tu puoi morire ma la forza della vita resta,

• il flusso delle correnti ti aiuterà,

• o viaggiatore!

• I polinesiani si orientavano in mare grazie ad un complesso sistema di indizi che utilizzava una varietà di segnali e simboli naturali. Erano soliti portare con loro i maiali, i quali dotati di un potente olfatto, avvertivano tenui tracce di profumi "terrestri" nell'aria anche a 40 miglia di distanza da un'isola; osservavano il volo dei grandi uccelli marini, come gli albatros, i quali non si allontanano mai a più di 40 miglia dalla costa; inoltre i polinesiani in viaggio imbarcavano, come i Vichinghi, alcuni uccelli. Gli uccelli venivano liberati ad uno ad uno, e se non ritornavano all'imbarcazione, i piloti prendevano la direzione indicata dal loro volo: .osserva la pittima volare laggiù, una si è posata sulla spiaggia, si è posata lì per sempre.

• Studiavano le leggere modificazioni delle onde, delle correnti e dei venti, ma anche le nuvole lontane offrivano ai viaggiatori un tenue indizio di terra emersa, poiché le nuvole stazionano più facilmente sugli atolli che non sul mare aperto. La laguna di un atollo, infatti, è più calda del mare aperto, quindi l'aria si riscalda e richiama le nuvole.

• Una volta avvistata la nuvola, occorreva osservare se aveva sfumature verdastre, questo perché le nuvole riflettono il colore del mare, e l'acqua delle lagune è più verde di quella circostante.

• Infine studiavano le posizioni delle stelle.

• In tutto il Pacifico il cielo veniva rappresentato come una cupola, o come una serie di cupole sovrapposte l'una all'altra. Si assegnavano nomi a stelle e gruppi di stelle specifici e le posizioni ed i moti delle costellazioni maggiori erano ben noti alla maggior parte delle persone. I giovani apprendisti navigatori imparavano però una versione più dettagliata e formale del cielo in speciali "scuole" dirette da maestri piloti che mescolavano la teoria con l'esperienza pratica. Nelle Isole Gilbert, ad esempio, le disposizioni delle travi del tetto negli "edifici di addestramento" rappresentavano le stelle, le costellazioni e le divisioni del cielo. Questi popoli scoprirono presto che l'altezza della Stella Polare al di sopra dell'orizzonte settentrionale era uguale alla latitudine del luogo in cui ci si trovava. In altre parole, quando la Stella Polare si trovava a 10° al di sopra dell'orizzonte nord, l'osservatore si trovava a 10° di latitudine nord.

• La Stella Polare, Polaris, a (alfa) Ursae minoris, è una supergigante gialla distante circa 700 anni luce. A circa 1° si trova l'attuale polo nord celeste, ma sarà verso il 2.100 che la precessione porterà Polaris alla minima distanza dal polo.

• Quelli che navigavano a sud dell'equatore usavano il sistema di una "stella allo zenit".

• Essi imparavano a memoria le posizioni di una varietà di stelle, le quali sono sospese al di sopra alle varie isole. Quando una certa stella passava al di sopra del loro capo, questi comprendevano quale fosse la loro posizione, cioè un osservatore che osserva che una stella particolare passa direttamente al di sopra della sua testa, sa che la sua latitudine è uguale a quella della latitudine celeste della stella. Così, se un pilota vedeva allo zenit Hokule'a (Arturo), sapeva di trovarsi alla latitudine delle Isole Hawaii, mentre se passava direttamente sotto Sirio, sapeva di trovarsi alla stessa latitudine di Tahiti e delle Fiji.

• Arturo, a (alfa) Bootis, nel Boote, è la quarta stella più brillante del cielo. È una gigante rossa, 24 volte il diametro del Sole, distante 36 anni luce. Arturo ha una massa assai simile a quella del Sole, e si ritiene che tra 5.000 anni, la nostra stella si gonfierà fino a diventare una gigante rossa come Arturo.

• Canis major contiene molte stelle brillanti che lo rendono una delle costellazioni più facilmente visibili: la sua stella più brillante, Sirio, dal greco "sfavillante", una stella bianca distante 8,7 anni luce è la più luminosa dell'intero cielo. Gli antichi Egizi basavano il loro calendario sul suo moto annuale intorno al cielo. Nel Cane maggiore si trova anche M 41 (NGC 2287), un grande ammasso stellare di circa 50 stelle distanti 2500 anni luce e che, in condizioni favorevoli, è visibile anche ad occhio nudo, tanto che era già noto ai greci.

• Molto più spesso i polinesiani utilizzavano le stelle Fanakenga, le stelle all'orizzonte, che si usavano come bussole per seguire una rotta. I punti di levata e di tramonto indicavano direzioni generali sull'orizzonte.

• Nella mitologia della Micronesia Aluluei era il dio della navigazione. Egli fu ucciso dai fratelli e risuscitato dal padre, che gli diede mille occhi con i quali proteggersi. Questi occhi sono le stelle Fanakenga, che guidano i naviganti.

• Le mitologie degli antichi egizi (con Geb e Nut), degli antichi greci (con Urano e Gea) e dei Maori presentano leggende sorprendentemente simili riguardo la creazione del mondo.

• Nella religione dei Maori, Taaroa (l'intimo dell'essere interiore) rappresenta l'essere supremo, il capostipite di tutte le divinità, il padrone dell'universo ed il suo nome può essere solo sussurrato. Dalla sua unione con Feii-Feii- Maiterai, derivano la notte ed il crepuscolo, la luce del giorno (entità maschile, Rangi) e la terra (entità femminile, Papa).

• In seguito regnarono le tenebre perché Rangi, il Cielo, era strettamente unito a Papa, la Terra. I figli, sebbene fossero divenuti molto numerosi, non conoscevano la differenza tra luce e tenebre poiché erano rimasti nascosti nel seno dei propri genitori. Così si consultarono e decisero di separarli, ma nonostante gli sforzi non ci riuscirono finché non provò Tane-mahuta, il dio degli alberi, che facendo puntello fra di loro, sollevò il Cielo sopra la Terra. Così il popolo uscì e divenne visibile.

• I figli rappresentano i dodici dei della natura di grado più elevato, noti complessivamente come Atua. Di questi fanno parte Tangaroa, dominatore del mare e dei pesci e capostipite dei capi; Tane-mahuta, il signore dei boschi, degli alberi e degli insetti; Tu, colui che è instabile, signore della guerra; Rongo, il dio della pace e delle piante coltivate; Haumia, signore delle piante selvatiche; Tawhiri, divinità del vento e delle forze della natura.

• Le divinità locali come Hina, dea della Luna, dell'aria e del mare e Atea, dea dello spazio, costituiscono gli Aku. Taaroa si unì anche con la dea dell'aria Ohina e diede la vita alle nuvole rosse, all'arcobaleno e al chiaro di Luna.

• Tutti gli elementi, compreso l'uomo, sono fratelli e quindi possono essere invocati in aiuto. Caratteristico è il rispetto nei confronti di tutto ciò che è considerato tabù (in Maori "tapu") ovvero dotato di forza misteriosa e sovrumana.

• Nella cosmologia degli abitanti dell'isola Anaa, nelle Tuamoto, l'universo è stato creato da Kiho, il dormiente, che destatosi chiamò a raccolta i pensieri e si rivolse al suo noe (il doppio astrale, rappresentante la potenzialità, che traduce il pensiero in realtà) per dare vita all'universo che appare diviso in tre sfere stratificate, una sotterranea, una terrestre, una celeste. Infatti Kiho gettò il basamento del Mondo della Notte, il regno degli inferi, che doveva stare di sotto e dove abitavano gli spiriti dei morti. Poi sistemò le radici del Mondo della Luce, che doveva stare di sopra, come sede degli dei supremi, e fra i due regni pose le Fondamenta Spaccate, cioè il mondo terrestre.

• Gli abitanti delle isole Tonga sono più veloci a spiegare le cose, anche se non molto logici. L'universo è stato creato dall'unione dell'alga e del fango trascinati dai flutti del mare e dal vento. Ma da dove sono giunte queste cose?

• Secondo gli abitanti delle isole Tonga, il cielo un tempo era molto più basso di oggi. Maui, un eroe polinesiano che è raffigurato come un Ercole degli antipodi, un giorno stava approntando un forno di terra ma il suo bastone continuava a sbattere nella volta celeste. Così, per creare più spazio e lavorare più comodamente, Maui conficcò il bastone nel cielo e lo spinse verso l'alto.

• Il motivo del sollevamento del cielo con pertiche compare anche in molte altre parti del mondo, come in Indonesia, nel Nord America e in Australia.

• Per gli abitanti di Tahiti il cielo si è formato dalla conchiglia primordiale Rumia, la dimora di Ta'aroa, l'Increato, l'Unico, l'origine di tutte le cose. Rumia racchiudeva il mondo in formazione e man mano che Ta'aroa cresceva e maturava, le forze che erano in lui - pensiero, memoria, contemplazione, osservazione - diedero esistenza al creato. Creò anche il Grande Polpo che trattenne saldamente la volta celeste aderente alla terra, abbracciandola con le sue braccia. Per sollevare il cielo e dare la possibilità all'uomo e agli alberi di vivere sulla Terra, Ta'aroa fu costretto a tagliare i tentacoli al polpo.

• Nella mitologia hawaiana il dio del cielo è Lono, che è anche il dio dell'agricoltura, della fertilità e della pace, ed in questa veste era legato alle Pleiadi. Il periodo dell'anno a lui dedicato era il mahahiki, che durava circa quattro mesi ed era annunciato dal sorgere annuale delle Pleiadi al tramonto.

• In questo periodo Lono ritornava e portava con sé le piogge fertilizzanti dell'inverno, mentre tutte le normali attività umane erano sospese per potersi dedicare a sport, giochi, canti e danze hula. Alcune di queste ultime, simbolizzando una copulazione cosmica, avevano lo scopo di eccitare il dio affinché fertilizzasse la terra.

• M 45, meglio noto come Pleiades (le Pleiadi), è l'ammasso stellare più brillante e famoso di tutto il cielo, citato in ogni tempo, da Omero a D'Annunzio. Il nome è di origine greca e deriva da plein, cioè navigare, oppure da pleios cioè molti.

• Ad occhio nudo si possono vedere circa sette stelle, le quali sono Alcyone, h (eta), la più brillante, quindi troviamo Celaeno, Electra, Taygeta, Maia, Asterope, Merope, Atlas, Pleione, una stella con inviluppo esteso che emette anelli di gas a intervalli regolari, la cui luminosità fluttua imprevedibilmente. In realtà, dell'ammasso distante da noi 415 anni luce, fanno parte circa 250 stelle, comprese molte giganti blu, immerse in una debole luminosità, residuo della nube da cui si sono formate "soltanto" 50 milioni di anni fa.

• Il Sole è una sfera incandescente di idrogeno e di elio la quale non essendo solida, ha la velocità di rotazione intorno al proprio asse diseguale alle varie latitudini, così che normalmente si considera la velocità all'equatore, la quale si approssima ai 25 giorni.

• Il diametro del Sole è di circa 1,4 milioni di chilometri, la massa è 330.000 volte quella della Terra con una densità che è 1/4 di quella terrestre ed una forza di gravità 28 volte superiore a quella sulla Terra.

• Il colore delle stelle ci dà indicazioni riguardo alla temperatura della parte più esterna, cioè quella che vediamo, della stella stessa. Si va dalle stelle bianco-azzurre, con temperature tra i 30.000 ed i 60.000 gradi, alle stelle rossastre con temperature inferiori ai 3.000. Il nostro Sole è una stella bianco-gialla con una temperatura esterna di circa 6.000 gradi ed una temperatura interna valutata intorno ai 15.000.000 gradi.

• Il Sole era considerato come un carro che volava nel firmamento, così come la Luna. È interessante constatare che ritroviamo la stessa idea nella cosmogonia di molti popoli distanti tra loro, tanto da far correre il pensiero all'inconscio collettivo di Jung o all'Akaschi degli Indù: Egizi, Nativi americani, Vichinghi, Indiani, Israeliti, Greci, Romani, ecc.

• Riguardo alla creazione del Sole, nella mitologia Papua si parla di Dudugera.

• Egli fu concepito in maniera misteriosa. Un giorno sua madre si trovava in un giardino presso il mare quando vide un grande pesce che si trastullava nell'acqua bassa. Attratta dallo splendore delle sue squame, entrò in acqua e si mise a giocare con lui. Il pesce era in realtà un dio. Qualche tempo dopo la gamba della donna, contro cui esso si era strofinato, cominciò a gonfiarsi e a dolere, e quando il marito incise il rigonfiamento ne balzò fuori un bambino, Dudugera.

• Crescendo, l'aggressività di Dudugera incuteva timore negli altri ragazzi, che avevano paura di giocare con lui, e suscitava una tale avversione che venne gravemente minacciato.

• La madre, per metterlo al sicuro, decise allora di inviarlo da suo padre. Scese dunque al mare ed il dio pesce comparve, prese in bocca suo figlio e si allontanò verso oriente.

• Prima di essere portato via, Dudugera raccomandò alla madre di rifugiarsi all'ombra di una grande roccia perché egli stava per diventare il Sole, flagello dell'umanità. Sua madre e i suoi parenti seguirono il consiglio e dal loro riparo videro il calore del Sole aumentare e distruggere a poco a poco le piante, gli animali e gli uomini. Mossa a pietà da quello spettacolo, la madre di Dudugera decise di fare qualcosa.

• Un mattino, al sorgere del Sole, gli gettò della calce sul viso: in cielo si formarono così delle nubi che da allora proteggono la Terra dall'effetto nefasto del calore del Sole.

• Nareau, divinità creatrice degli abitanti delle Isole Gilbert, nel Pacifico settentrionale, all'inizio del tempo era da solo. Così, impastando sabbia e acqua, creò due esseri primordiali, maschio (Na Atibu) e femmina (Nei Teurez).

• Nareau chiese loro di aggiungere al Creato l'umanità poi se ne andò in cielo. Sfortunatamente sorse una lite tra i due, che si concluse con l'uccisione e lo smembramento del componente maschile della coppia. Il suo occhio destro venne gettato nel cielo d'oriente e divenne il Sole; l'occhio sinistro fu lanciato nel cielo d'occidente e divenne la Luna; il cervello andò a formare le stelle, la carne e le ossa divennero isole e alberi.

• Il capostipite degli dei degli abitanti dell'isola del nord di Nias, il proavo Luo Zaho, modellò un bambino con un pugno di terra, gli impose il nome di Sihai, infine gli donò una casa nel mondo. Sihai morì vecchio ma senza generare discendenza, dando vita però con il suo corpo esanime agli alberi Tora'a, Mahara e Feto, dai quali discendono tutti gli altri. L'occhio destro divenne il Sole, che rischiara il cammino ed il sinistro la Luna, che guida nella notte.

• Il tema della nascita degli elementi cosmici da un corpo smembrato è molto diffuso, dall'Europa germanica all'antica Cina, dall'India al Nuovo Continente.

• La Luna è l'astro più vicino a noi e, sicuramente, il più osservabile ad occhio nudo. Ha un raggio di 1.738 chilometri, un quarto circa di quello terrestre, con una massa solo 81 volte inferiore a quella del nostro pianeta ed una densità che é circa la metà di quella terrestre. Non essendo dotata di atmosfera, la Luna presenta ampie differenze di temperatura, dai 130 °C nella parte illuminata ai -150 °C in quella oscura. La gravità è circa sei volte minore di quella terrestre.

• Quando il Sole tramonta, la Luna richiama l'attenzione con il suo candore e le sue macchie. La Luna riflette verso di noi la luce del Sole, ma la riflette in misura diversa a seconda che la regione colpita sia montagnosa o piatta.

• Si potrebbe pensare che le zone piatte riflettano più intensamente, quasi fossero degli specchi, ma non è così: le zone piatte appaiono simili a macchie, sono i mari di Galileo, e sono costituiti da rocce laviche scure, che assorbono la maggior parte della luce solare, riflettendone soltanto una minima porzione (il 7%). Le regioni montagnose, invece, hanno una composizione petrografica diversa, più chiara, due o tre volte più riflettente.

• La luce tenue della Luna ha avuto fantasiose spiegazioni.

• Il litigio di due amici delle isole Fiji aveva portato al proposito di uno dei due di privare l'altro del chiarore notturno. Preparò una trappola e fece confezionare alla propria moglie dolci prelibati e succo di canna. La donna, però, era una persona di buon senso e preparò di nascosto anche due gusci pieni di acqua e fango.

• L'uomo si rivolse alla Luna appena spuntata per offrirle tutto quelle bontà e la Luna non se lo fece ripetere due volte. Ma non appena fu scesa la donna le gettò sul viso l'acqua e il fango, così da spaventarla e da farle evitare la trappola.

• La Luna riguadagnò il cielo ma le macchie di fango non sono più andate via.

• Uno dei fenomeni più evidenti che riguarda la Luna sono le fasi lunari, le quali sono dovute alle varie posizioni che il nostro satellite assume, nel corso della sua rivoluzione, rispetto alla Terra e rispetto al Sole.

• Per gli abitanti della Nuova Guinea, la Luna è un vecchio con la fronte bendata. Le fasi lunari sono in relazione alla posizione della sua fascia: quando è del tutto tolta, è plenilunio.

• Le definizioni delle culture originarie delle terre dell'Oceania, dove la fioritura dei miti dei primordi è più copiosa che in ogni altra parte del globo, lasciano ampio spazio a reciproche influenze, connessioni, interferenze, legate alla complessità degli eventi migratori, solo in parte ricostruiti dagli studiosi. Come in ogni popolo indigeno, cosmogonia e antropogenesi si fondono in una successione evolutiva che abbraccia i fenomeni naturali, gli uomini e le divinità: il poema sacro Kumulipo, cantato dagli indigeni al capitano Cook, riconnette la famiglia reale con le generazioni divine, le stelle, le piante, gli animali.

• Nel suo "Mith and Ritual in Christianity" (1954), Alan Watts scrive: «Il mito è un insieme di più racconti che gli uomini considerano come uno strumento adatto a spiegare i più riposti significati dell'universo e della stessa vita umana». Viene da chiedersi cosa sarebbero le attuali società, ed in definitiva noi stessi, se non fossero esistiti i miti antichi.

• Oggi i Maori, al contrario di altre sfortunate minoranze presenti nel mondo, sono presenti in tutte le forze politiche della Nuova Zelanda ed esiste anche un partito Maori, il Mana Motuhake.

• Gli indigeni non sono attivi solo a livello politico, ma anche culturale ed accademico: pubblicano varie riviste, da "Mana" alla "Maori Law Review", e la lingua viene insegnata in varie università.

• Diversamente da molti popoli indigeni, che abitano solo certe regioni del paese in cui si trovano, i Maori abitano in tutte le parti della Nuova Zelanda.

• Ma ogni medaglia ha il suo rovescio e la storia odierna dei Maori è anche un'altra, segnata dall'alcolismo, dall'abbruttimento e dalla violenza.

• Una curiosità

• ALOHA è la parola più conosciuta che ci proviene da terre così distanti da noi. Probabilmente tutti crediamo che sia l'equivalente di un semplice saluto, ma cosa significa realmente?

• È in pratica una sigla che raggruppa le caratteristiche dello stile di vita più gradevole e tipico degli abitanti di tali terre:

• A - akahai

• cortesia che deve essere espressa con un sentimento di tenerezza.

• L - lokahi

• unità che deve essere espressa con un sentimento di armonia.

• O - olu'olu

• gradevolezza che deve essere espressa con un sentimento di affabilità.

• H - ha'aha'a

• umiltà che deve essere espressa con un sentimento di modestia.

• A - ahonui

• pazienza che deve essere espressa con un sentimento di perseveranza.

• Una bussola può sbagliare,

• le stelle mai.

• (Detto degli abitanti delle isole Tonga)

Quello che ci ha colpito, in modo particolare, alla fine dello spettacolo noiosissimo ed incomprensibile per le ragioni su esposte, è stata la presunzione delle varie addette allo spettacolo: infelici creature, non sanno ancora che qui in Occidente siamo troppo avanti per pensare che la loro Compagnia MAU possa trovare molto credito???

Maria & Enrico Marotta

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Maria & Enrico Marotta
Società