"PER CHI HA FAME D'AMORE"

Recensione di Nello Colombo

Il rullo della proiezione si è appena arrestato in cima all'ultima emozione.

La pellicola è scivolata via con un rapido sussulto strisciante.

Il film è appena finito. Ora non resta altro che riavvolgere la bobina in un rapido flash back prima di riporre ricordi ed immagini in un cassetto schiavato.

Il tempo per accorgersi che tutto era già previsto, tracciato in un inesorabile karma. Da sempre.

Leggere d'un fiato "La barca senza porto" è stato come addentrarsi in un labirintico inganno della mente frustrata; è stato come ripercorrere sentieri già battuti, come recitare un copione già scritto da tempo. E già vissuto. Il tempo dell'eterno ritorno che si morde la coda.

E' stato come sbirciare dal buco indiscreto della serratura la vita di un altro, pur senza morbosi voyeurismi, senza vellicare istinti pruriginosi, senza rabbia né falsi pudori, senza patetici proclami né possibili assoluzioni per rei confessi dello stupro dell'anima.

Emma, nomade del cuore senza fissa dimora, barca alla deriva, senza porto e senza amore, fanciulla privata della sua infanzia, depredata dei suoi sogni, fiore in boccio che non ha conosciuto che l'algido inverno, reciso da una barbara mano che ha violato la sua intimità.

Eppure non si sfugge al destino.

Povera, dolce Emma, fragile come un giunco e mai doma, forte come le fenditure di una roccia spaccata e avida di luce; come una melograna dal cuore ancora acerbo, assaporata a fior di labbra e mai gustata del tutto; donna ricurva sul suo tormento, docile e indomita, fiaccata dal nerbo ostile di un'esistenza mai facile, di un fato crudele dinanzi a cui non resta altro che proferire quell'umile amen di una preghiera mai scritta, mai pronunciata, mai detta né letta, lasciando che il vento secondi l'onda tumultuosa che corre sul filo di un orizzonte gravido di nubi.

Bello e graffiante il libro di Lara Kant che non esita a vibrare il colpo ferale della denuncia, pur senza infierire insidiosamente con crudeltà sulla vittima designata, sull'ostia consacrata sull'ara del destino, versando sale sulle ferite ancora aperte; che non si esime dalla estrema condanna né dal benefico, amorevole tocco che lenisce la pena senza mai cancellarla, in un'empatia dolorosa da cui si fatica ad uscire. Proprio come dalla fitta tela di un ragno che si annida nel cuore tessendo una trama già segnata dal tempo.

Nello Colombo

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