Quella volta che...

(a proposito di esami di maturità)

La mia storia inizia come una vecchia pagina sbiadita di diario. Era il tempo dei mitici anni '60, e quella volta nel glorioso liceo leccese "Palmieri" si svolgevano gli esami di V ginnasio. Appartenevo alla eletta schiera della famigerata Quinta B che tanto si era distinta per le sue intemperanze scolastiche, che il nostro storico professor Paiula aveva giurato di farcela pagare in sede d'esame. ""Ci vedremo a Filippi!", ci ripeteva fino allo sfinimento". Ci attendeva l'ardua prova di Greco. Il primo vociare mattunino si era via via affievolito per morire in un silenzio inquietante in cui era quasi possibile udire il crescente tambureggiare del nostro cuore in tumulto. Avevo trovato posto in fretta nella zona mediana della dritta fila di banchi lungo il corridoio dell'istituto stringendo sottobraccio il mio fedele Rocci di seconda mano, in attesa della consegna dei fogli d'esame. Sguardi tesi e interrogativi nei occhi di tutti. E, dinanzi alla cattedra, c'era lui, il castigatore delle folle studentesche, il terrore dei sette mari e delle nostre notti insonni, che sembrava sorridere divertito e feroce. Una lunga, snervante attesa, poi eccoci pronti al sacrificio supremo. Avremmo finalmente saputo di che morte morire. Senofonte il nostro aguzzino. Un passo dell'Anabasi che sciaguratamente presagiva un infelice ritorno sui nostri passi troppo avventati in un passaggio narrativo insidioso e contorto. Praticamente inattaccabile dopo le prime due righe. Arenati, o meglio alla deriva, ostaggi dei flussi malefici di vendici Erinni che assaporavano il sapore delle nostre improbe fatiche. Non sarebbero bastate le 6 terribili ore che ci separavano dalla nostra condanna. Sguardi persi nel vuoto e biro in disarmo sul bianco foglio appena vergato dalla firma del nostro vigile sorvegliante. Dopo due ore di snervante calma piatta, almeno si poteva uscire per una boccata d'aria e dare ali all' improvvido quanto immarcescibile sogno di trovare la traduzione dell'infame versione. I miei compagni agli esami ci erano venuti armati di tutto punto: cartucciera zeppa di tombolini arrotolati, con migliaia di versioni tradotte infilate nelle calze, nelle tasche e perfino nelle mutante. Tanto lì l'ispezione, si sperava, si sarebbe arrestata. E ad ogni ritorno dai bagni lo sguardo nefasto dell'avvilimento più nero. Uno dopo l'altro. Inutilmente. E il tempo passava inesorabilmente, fino allo scandire della mezza che ci ricordava il supplizio vicino o la resa incondizionata. Avevamo ormai perso ogni speranza quando, frugando tra le impalpabili pagine del Rocci, rinvenni un foglietto spiegazzato dall'incerta grafia. Un tuffo al cuore. Inutile girarci intorno: la versione che ci aveva obnubilato cuore e mente era lì, bella e pronta per essere copiata! Ma come, visto che l'arcigno difensore della liceità liceale si era piazzato lì davanti a me, imperturbabile come un Ares inferocito dopo un temibile scontro, quasi avesse presagito la mala parata? Non mi persi d'animo e, nervosamente, cominciai a tormentare un incolpevole, ramingo pezzetto di scotch abbandonato sul banco, finché il Cerbero non mi riprese aspramente. Quasi dimenticavo di dirvi che il nostro ferreo Paiula era un prete, con la sua tonaca nera come la pece, il bianco collare, e … la sua faccia scura da dimenticare. Fu un attimo. Quasi preso da un raptus improvviso e irrefrenabile, con uno scatto felino estrassi il foglietto dal dizionario e lo appuntai, chissà come, all'abito nero del prof. che, drizzate le orecchie per l'esaltazione malcelata dei miei dubbiosi compagni, si girò più volte su se stesso mentre la nostra traduzione veleggiava scomposta ed ardita. Fu un attimo interminabile, ma ad ogni passaggio del nostro esaminatore, ognuno poteva scopiazzare alla grande. Occorreva però disfarsi in fretta del corpo del reato prima dell'arrivo dell'altro commissario chiamato provvidenzialmente in presidenza. Sudavo freddo, ma tanto feci e tanto brigai, che feci cadere a terra la mia penna che, con fare solerte Paiula si affrettò a ghermire per restituirmela con un'espressione tra il candore dell'assassino che ha appena affondato la lama nel cuore della sua vittima e l'inquietudine del malfattore sorpreso a barattare un'inutile scusa dinanzi all'orrore che si stava consumando. Ma io fui lesto a far sparire le prove. Quell'anno la promozione passò anche attraverso una versione di greco con voti eccellenti per tutti. Peccato per lo stesso, identico errore per un aoristo fallato!

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