In Brasile con il Papa. A Roma con la cultura ebraica
Evviva! In Brasile con Papa Francesco e a Roma per il sesto anno consecutivo la Comunità ebraica insieme al Comune di Roma, alla Regione Lazio, all’Ucei e all’Ambasciata d’Israele in Italia, ospita intellettuali, scrittori, ed artisti di respiro internazionale per “mostrare tutte le sfaccettature e le differenze insite nella cultura ebraica” e al contempo dare il proprio contributo al dibattito su temi di più scottante attualità, quali sono quelli sui giovani!. Bene ha detto Papa Francesco che questa è la Settimana della gioventù! Noi “vecchietti” ci saremmo dovuti nascondere in qualche antro se non fosse venuto in nostro soccorso la stupenda frase di Kafka che sottolinea che chiunque manterrà la capacità di vedere la bellezza, non diventerà mai vecchio. Siamo a cavallo, allora. Il nostro impegno, la nostra attenzione è sempre rivolta al mondo che cresce, ai giovani cui auguriamo di cuore che le varie attività promosse sia dai cattolici che dagli ebrei e da tutti coloro che credono che l’umanità sia tutta una grande famiglia, li aiutino a migliorarsi soprattutto nel cuore.
La sesta edizione del Festival di Letteratura e Cultura Ebraica di Roma è dedicato proprio ai giovani e infatti il tema portante dei cinque giorni di iniziative romane prende il titolo di “Un paese per giovani”.
Sabato 20 luglio il Festival si è aperto con la “La Notte della Cabala” con due iniziative di grande interesse: ai Giardini del Tempio Saverio Campanini e rav Roberto della Rocca parlano della storia del simbolo ebraico per eccellenza, la Stella di David (ore 22.00), seguita dalla lezione di Yarona Pinhas – una delle pochissime donne esperte di Cabbalà – sul tema “Toccare il cielo con un dito” (ore 23.30).
All’Isola Tiberina invece Roberto Saviano, Raiz, e i Radicanto hanno presentato uno spettacolo inedito, realizzato appositamente per il Festival, dal titolo “Il ghetto sul Tevere. Monologhi e Musica dalla storia degli ebrei di Roma” (ore 22.30).
Nella notte di sabato, dalle 22.30 all’1.30 ci sarà spazio anche per la visita guidata alla mostra “Survivor. Primo Levi nei ritratti di Larry Rivers” esposta al Museo ebraico di Roma.
Tra domenica e giovedì numerosi gli scrittori ed autori che parleranno dei loro ultimi lavori: lo scrittore inglese Benjamin Markovits, autore di “Un gioco da grandi” e l’israeliano Dror A. Mishani, autore di (“Un caso di scomparsa”, Guanda); martedì 23 il giallista Assaf Gavron che in Italia ha pubblicato per Giuntina il romanzo “Idromania” e che è stato intervistato dalla La Stampa(favoloso, mi sarebbe piaciuto incontrarlo). E poi ancora ci sarà spazio per la cucina con la scrittrice Francesca Segal, autrice de “La cugina americana” (Bollati Boringhieri).
La chiusura del festival, giovedì 25 luglio, è affidata a due spettacoli: ai Giardini del Tempio un ricordo di Primo Levi, con letture tratte da «Se questo è un uomo», interpretate da Maria Rosaria Omaggio e accompagnate dalle danze di Mario Piazza; mentre al Palazzo della Cultura si terrà il concerto del giovane gruppo israeliano “The Shuk” che rivisita le musiche della tradizione ebraica in chiave “worldmusic”( Il programma completo delle iniziative sul sito festivaletteraturaebraica.it).
Parole per capire
La Cabbalà, nasce e si sviluppa intorno al XII secolo – non ha mai cessato di essere una risorsa fondamentale per la lettura e la comprensione della tradizione ebraica e del mondo in generale. Gli argomenti trattati dalla Cabbalà sono vastissimi: si inizia dalla Creazione del mondo e dall’essenza stessa di Dio per giungere ai rapporti sociali tra gli uomini e alla vita quotidiana di ognuno di noi. Per questo motivo, anche oggi, è uno degli ambiti dell’ebraismo che maggiormente affascina e attrae l’interesse di un pubblico non solamente religioso e non esclusivamente di origine ebraica. Per celebrare ancora una volta il sodalizio tra la Capitale e la Roma ebraica, la notte del 20 luglio la zona del Vecchio Ghetto Demolito ha aperto alla città le sue porte per una serata straordinaria tra mistica ebraica, letteratura, arte, tradizioni musicali e culinarie millenarie alla scoperta dei segreti di Roma, che vanta una presenza ebraica da oltre duemila anni.
La musica ebraica, specie klezmer
Il termine nasce dalla fusione delle parole kley e zemer, letteralmente strumenti di canto. Questo genere musicale fonde in sé strutture melodiche, ritmiche ed espressive che provengono dalle differenti aree geografiche e culturali (i Balcani, la Polonia e la Russia) con cui il popolo ebraico è venuto in contatto. Tale musica che accompagna feste di matrimonio, funerali o semplici episodi di vita quotidiana, il klezmer nasce all'interno delle comunità ebraiche dell'Europa orientale, in particolare delle comunità chassidiche. Questa musica esprime sia felicità e gioia sia sofferenza e malinconia, tipica della musica ebraica. Il Klezmer contribuirà non poco alla formazione del jazz, quando gli ebrei che erano stati perseguitati si trasferirono in molti nelle Americhe.
In Polonia, per esempio
Il Festival della Cultura Ebraica va annoverato tra gli eventi culturali più importanti e rinomati di tutta la Polonia. Si svolge annualmente, a cavallo dei mesi di giugno e luglio, nel quartiere ebraico di Cracovia, denominato il Kazimierz. Il Festival dura complessivamente nove giorni, dal sabato alla domenica della settimana successiva. Si tratta di una serie di concerti di musica classica tradizionale e contemporanea e di musica da sinagoga. Vi sono inoltre diversi proiezioni di film, spettacoli teatrali, mostre d’arte e incontri tematici. Si possono “provare” anche numerosi laboratori di cucina, danza e canto. Il Festival coinvolge tutto il quartiere, le strade, le sinagoghe, le piazze. Il programma della manifestazione prevede la possibilità anche di poter visitare le sinagoghe, il cimitero ebraico ed il ghetto. Uno degli obiettivi principali dell'evento è la sensibilizzazione e il coinvolgimento delle persone nelle attività della manifestazione. Il festival è inoltre focalizzato sull’educazione della popolazione riguardo alla cultura e alla storia ebraica che fiorì in Polonia prima dell'Olocausto.
La parashà di Vaetchanàn
comprende sia i Dieci Comandamenti sia lo Shema’. Nel Sèfer Hamitzvòt (Libro dei Precetti) nel quale il Maimonide (Cordova, 1138-1204, Il Cairo) elenca le 613 mitzvòt della Torà, egli scrive: “La prima mitzvà è il comandamento di sapere la verità dell’esistenza divina e che esiste una causa prima che ha generato tutto il creato, come è detto <Io sono l’Eterno tuo Dio…>”. Dopo questa prima mitzvà espressa nel primo dei Dieci Comandamenti, il Maimonide ne elenca altre due tratte dallo Shema’: “La seconda mitzvà è il comandamento di sapere che Egli è Uno… come è detto <Ascolta Israele, l’Eterno è nostro Dio, l’Eterno è uno>”. Da questo e da altri passi della Torà impariamo che Dio è unico, cioè non vi sono altri, e anche che è uno e indivisibile, quindi non composto di due o tre parti. “La terza mitzvà è quella nella quale ci ha comandato di amarLo che significa di approfondire la nostra conoscenza delle Sue mitzvòt, dei Suoi insegnamenti e delle Sue azioni…”. Nello Shema’ è scritto: “E amerai l’Eterno tuo Dio con tutte le tue capacità intellettuali (lett. con tutto il tuo cuore), con tutta le tue capacità fisiche (lett. con tutta la tua persona) e con tutto quello che possiedi…”. Nel trattato Berakhòt (64a) del Talmùd babilonese i Maestri insegnano che le parole “Con tutta la tua persona” significano “Anche se [l’Eterno] ti porta via la tua persona” e che per amore dell’Eterno bisogna essere pronti a sacrificare la propria vita. Nei trattati Sanhedrin (74a) e Yomà (82a) viene spiegato che vi sono tre mitzvòt per le quali bisogna sacrificare la propria vita piuttosto che trasgredirle: Avodà Zarà (abbracciare culti estranei), Shefikhùt Damìm (spargere sangue) e Ghilùi Arayòt (rapporti sessuali proibiti). È con questa fede che i nostri antenati diedero la vita durante le Crociate, quando costretti a convertirsi al cristianesimo a fil di spada o a morire, scelsero la morte. R. David Ganz (Lippstadt, 1541-1613, Praga) nel suo Tzemach David scrive: “Nell’anno 1096 oltre seicentomila cristiani da Germania, Italia, Francia, Spagna e Inghilterra, si radunarono per andare verso Gerusalemme. Indossarono una divisa con una croce rossa e causarono grandi disgrazie agli ebrei … uccidendone a migliaia e decine di migliaia. Molti ebrei piuttosto che salvare la vita con la conversione forzata preferirono farsi uccidere o, come scrive R. Ya’aqòv ben Meir detto Rabbenu Tam (Francia, 1100-1171) nelle Tosafòt del trattato ‘Avodà Zarà (18a), perfino commettere suicidio. Testimonianze delle sofferenze dei nostri antenati sono rimaste nelle elegie che leggiamo durante il giorno di Tish’à Be-Av (il nove del mese di Av, quest’anno il 16 di luglio scorso). Un’elegia (n. 25 nel rito ashkenazita) di R. Kalonimos ben Yehudà (Germania, XII secolo) lamenta le vittime delle persecuzioni dei crociati che nell’anno 1096 distrussero le comunità di Magonza, Speyer e Worms. In questa elegia egli scrive che “il loro massacro merita un lutto come la distruzione del Santuario di Gerusalemme poiché non è permesso aggiungere giorni di lutto [al 9 di Av] e in questo giorno porterò il mio lutto … per la casa d’Israele e per il popolo dell’Eterno che caddero a fil di spada”. Nelle Selichòt (preghiere di perdono) che si recitano prima dei giorni di Rosh Hashanà (capodanno) e di Kippùr (giorno dell’espiazione), si implora l’Eterno a perdonarci ricordando che i nostri antenati hanno sacrificato la vita piuttosto che “accettare una fede fabbricata da uomini” (Selichà n. 12) e piuttosto che “accettare una creazione umana come divinità (n.14); e anche che “essi rifiutarono di accettare una nuova divinità perché servirla è inutile, rigettarono il suo libro e rimasero fedeli al loro Creatore” (n.30)
Conclusione:
La settimana della cultura ebraica fa “il filo” a quella proclamata da Papa Francesco in Brasile che, attualmente, è assediato dall’entusiasmo dei giovani che cercano una risposta al loro vivere tra beni ed intrallazzi vari. Noi ci auguriamo che la trovino non solo nella vicinanza fraterna del Papa, ma soprattutto in quello che lui saprà dire di Gesù che era un ebreo e che mai abbandonò la sua fede. Amen!